Verrà quel giorno.

Verrà quel giorno e ti guarderò negli occhi.

Tu già conoscerai le mie parole così che potrò tacere e cingerti tra le mie braccia finalmente sicure.

Verrà quel giorno e chiuderemo le palpebre guardando il futuro.

Mi stringerai, la mia aria sarà la tua aria così che consumeremo tutto l’ossigeno restando inspiegabilmente vivi, più vivi che mai.

Verrà quel giorno e indosserò un vestito verde, una primavera anche in pieno autunno.

Guarderemo quei paesaggi di cui siamo innamorati, con cui ci siamo innamorati.

Non so dirti quando, forse tra un’ora, forse tra dieci anni. Ma tu non disperare e io non dispererò.

Tu non smettere di crederci ed io ti seguirò.

L’avresti mai detto? Ora, ti dico, sì.

Prenditi il tuo tempo, concedimi il mio tempo. Lasciami riordinare casa prima di accoglierti, ti lascio scegliere i vestiti prima di giungere.

Sai che odio le mele, dunque ti dico che siamo due metà della stessa fragola.
Una fragola selvatica con tutti quei semini e il suo sapore che, se colta prematuramente, ti stordisce per l’acidità.

Ed è per questo che ancora la osserviamo, perchè abbiamo imparato ad aspettare la dolcezza della maturità.

Ed è per questo che morderla sarà tremendamente rosso, tremendamente bello.

Un frutto spontaneo non soggetto a regole.

E noi le regole le abbiamo infrante una ad una.

Verrà quel giorno ed è già un po’ più vicino.

Ancora.

Caro Amore,

spero che la tua giornata a lavoro sia andata bene. Spero che tu non ti sia stressato troppo, spero che tu non abbia inveito contro gli automobilisti che non scattano un millesimo di secondo dopo il verde come fai sempre.

Mentre leggi questa lettera sentirai un profumo dalla cucina, sono le lasagne che ti ho lasciato in forno. Le ho fatte con le mie mani, le ho cucinate per te.

Sarai entrato in casa chiamandomi e, non sentendo risposta, avrai pensato che sono ancora alla mia stupida lezione di yoga.

Non avrai notato che ho tolto il quadro della ballerina dal soggiorno. Bene, ora che hai guardato il muro avrai visto il tuo poster preferito con cui ho colmato il vuoto di quella parete.

Oggi non sono andata a lavoro, ho preso qualche giorno di ferie. Mi dispiace per le sbavature d’inchiostro su questa lettera, è che sono un po’ emozionata.

Ho deciso che non ti sposo. Né ora né mai.

Ho già portato via tutte le mie cose, non preoccuparti. Non che tu l’abbia mai fatto, s’intende, ma lo dico nel caso decidessi di iniziare a farlo oggi. So badare a me stessa, e lo sai bene.

Ora ho un dubbio atroce nella testa: cosa starai pensando della mia frase “ho deciso che non ti sposo”?  ho due ipotesi a riguardo: nella prima tu stai ridendo della grossa pensando che sia una delle mie solite crisi, di quando mi sento confusa, agitata e depressa ma dopo quarantotto ore torno normale. Nella seconda stai inveendo contro di me dandomi della stronza e scervellandoti sul perché io abbia deciso di scriverti anziché guardarti negli occhi e dirtelo. In entrambi i casi, spero che tu non abbia ancora stracciato questi pochi fogli e che stia continuando leggere.

Ho chiesto il trasferimento a lavoro, torno a casa mia. Sono tre mesi che aspetto questo momento e finalmente è arrivato. Avevo anche provato ad accennartelo ma, come al solito, i tuoi capelli fuori posto erano più importanti dei miei inutili “problemucoli da femminuccia”.

Non voglio che tu ora pensi  io sia arrabbiata con te, che ti reputi una persona malvagia o quant’altro. Ho semplicemente deciso di cambiare vita.

La verità è che quando ci siamo conosciuti all’università tu eri devastato dai tuoi problemi esistenziali e credevi fossi la tua ancora di salvataggio. E lo sono stata. Credevo di essere felice, l’ho sempre pensato. Ti avevo preso per mano e insieme avevamo sorriso, e insieme abbiamo amato. Quello che non sapevo è che le ancore sono fatte per essere gettate a fondo, e tu mi hai gettata con una violenza inaudita. Un po’ come una spugna dopo aver lavato i piatti sporchi. E tu eri il piatto sporco, ed io la tua spugna. Ho assorbito il tuo nero dandoti indietro bianco senza mai chiederti nulla in cambio. Ho accolto il tuo amore sempre più sbriciolato pensando che fossi io il problema, pensando che fossi io a non essere abbastanza.

La verità, Amore, è che non è mai stato amore vero. Pensavamo di essere due formine complementari come in quei giochi per bambini, solo che io sono cerchio e tu un cubo pieno di spigoli. Sei entrato nella mia vita come un caterpillar nato per distruggere ed io ora esco dalla tua in punta di piedi, anzi di penna. Non siamo fatti per stare insieme ma ciò non ti rende peggiore, ma ciò non mi rende migliore. È semplicemente la verità, Amore. Io ho bisogno di sorrisi, di un tè caldo la sera e una carezza prima di dormire. Ho bisogno del mare sulle ciglia d’estate, di sudare scalando le montagne. Ho bisogno di sapere che se voglio partire, la persona al mio fianco è disposta a seguirmi. E vedi bene che adesso ho il coraggio di essere egoista, di non pensare innanzitutto ai tuoi problemi. Perché non mi riguardano. Perché ho la nausea delle tue inutili lamentele su come il lavoro ti distrugga, su come la tua vita non abbia senso.

Reagisci per Dio, alzati. A volte ho come l’impressione che tu ami crogiolarti nelle tue piccole disgrazie, nei tuoi drammi da soap opera. Ma io cerco il Sole, e tu sei nube che mi porta pioggia. Aveva ragione il nostro amato Battiato, arrivederci amore ciao le nubi sono già più in là. Ti prego non cercarmi, nemmeno io sono ancora riuscita a trovarmi. Sii semplicemente forte una volta nella vita, te ne prego. Abbi, da domani e per sempre, il coraggio di essere sfacciatamente felice come io, a tuo dire, so essere.

C’è un marron glacé nel frigo,

il nettare degli dei.

Tua,

Lady M.

Vorrei sapere chi ti ha ucciso

Vorrei sapere chi ti ha ucciso. Vorrei  conoscere chi ti ha tagliato in mille pezzettini e stringergli la mano. Lo inviterei a prendere un caffè, gli chiederei che arma ha usato, se un coltello da cucina o uno da barca. Il pugnale sarebbe troppo scontato, farebbe troppo professionista ma nessun professionista ti farebbe fuori. Sì perché tu hai sempre pensato di essere importante e invece, invece forse no.

Vorrei sapere chi ti ha ucciso e organizzare una festa, come quelle che fanno gli zingari quando muore qualcuno. Brinderei con un martini come piaceva tanto a te. Brinderei alla tua nuova vita chissà dove, chissà con chi.

Perché io sono convinta che esista la vita dopo la morte e tu ne sei la dimostrazione. Forse esiste pure la resurrezione. Così, penso, se t’incontrassi per strada ti chiederei di risorgere.

Alla fine qualcosa l’ho capito. Si può accoltellare l’anima senza ferirne la carne. Ed è strano ma me l’hai insegnato tu, l’ho visto su di te.

Vorrei conoscere chi ti ha tagliato in mille pezzettini e chiedergli come ha fatto a non lasciare segni, se ci sono tecniche particolari o basta seguire l’istinto. Gli chiederei se hai lottato o se sei rimasto imbambolato col tuo sorrisetto idiota.

Come ci si comporta davanti a un assassino? Uno che magari ti chiede di seguirlo, uno che premedita. Ci vuole un bel coraggio per resistere, ci vuole un bel coraggio per non lasciarsi andare a quello che crediamo sia il nostro destino, a farci uccidere. Ma non è che puoi pensare di essere lucido in quegli istanti, non è che se uno ti mette spalle al muro non hai scelta.

Ricordi il giorno del tuo assassinio? Mi chiedesti di non seguirti, che da solo andavi più veloce. Solo che non avevi calcolato lo schianto. Non avevi calcolato che la difesa non è mai stata il tuo forte, eri un animale da attacco, eri tu quello che faceva gli agguati, mai il contrario. E così ti sei lasciato uccidere come un povero stronzo qualunque.

È vero, non si dovrebbe parlar male di chi non c’è più ma concedimelo lo stesso. È dura riprendersi da un lutto quando realizzi che semplicemente, puff, non rivedrai più quella persona. È dura perché io sono della scuola “nulla si crea e nulla si distrugge”, ma la morte in un certo senso fa eccezione.

Sei stato un bello stronzo a lasciarmi qui col peso della tua scomparsa, senza preavviso come al solito. Un messaggio sarebbe stato apprezzato “ciao, vado a morire, è stato tutto molto bello”.  Perfetto, almeno uno lo sa e si prepara, almeno uno non lo viene a sapere da uno sconosciuto.

Ho creduto di vederti per strada certe volte, iniziavo a correre sorridendo ma poi mi ricordavo che non c’eri più e chinavo il capo. E dire che avresti potuto lottare, magari avresti pure vinto. Invece la paura ti ha paralizzato il cervello. Ti è mancato il fegato, forse l’avevi annegato in troppi martini. Così adesso io vorrei sapere chi ti ha ucciso e dirgli che è proprio un bello stronzo. Siete stati due egoisti. Non avete pensato a chi sarebbe rimasto qui ad affrontare la dura realtà, ma no certo in fondo dura poco un assassinio.  Meglio risparmiare le energie della lotta per un paio di drink. Bè io quei drink se t’incontrassi per strada te li tirerei in piena faccia, stronzo.

Non avere fretta.

Ci sono frasi che ti si attaccano dentro non sai nemmeno bene come. Vien da chiedersi se sia una questione di nodi, come se tutte le frasi che ascoltiamo cercassero di legarsi alle nostre sinapsi, ma solo alcune sapessero fare nodi da marinai, di quelli che si sciolgono solo quando lo decidi tu. Allora la nostra mente è davvero un porto di mare, noi vi facciamo entrare tutto e la selezione vien da sé. Ci sono frasi che ti si attaccano dentro e invecchiano con te.  Sono quelle che la notte a volte tornano, e t’addormenti col sorriso.

Sì, parlo proprio di quella frase che mi dicesti tu. No, sono sicura che non mi stai leggendo a meno che io non scriva da Dio, a meno che anche in paradiso prenda il wi-fi. Nel caso, la password è sempre la stessa.

Non avere fretta. Ci ho provato spesso ad ascoltarla. Non avere fretta. Avevi ragione, dannatamente ragione. Mi arrabbio sempre meno, conto fino a dieci prima di agire. Fino a cinque. Va bene, a volte solo fino a tre ma apprezziamo lo sforzo. E poi non scendiamo nel dettaglio, sai che ho sempre odiato i puntini sulle “i”, se ne stanno in alto a vigilare su quello stelo e si credono chissà chi. Vorrei incontrare un puntino e dirgli che io la “i” riesco a leggerla benissimo anche senza di lui, che scenda pure da quel piedistallo.

Non avere fretta. Giuro che mi sono impegnata, ma continuo ad impostare le lancette cinque minuti in avanti per non arrivare in ritardo. E sono talmente tonta che me ne dimentico e penso che il mondo viva cinque minuti indietro.

Nessuno mi ha mai fatto gli auguri di buon compleanno a mezzanotte, sempre almeno a mezzanotte e cinque. E in quei cinque minuti ci concentro la solitudine nel realizzare che il mondo ancora non si è accorto che sono un anno più vecchia, che ho almeno due nuove rughe d’espressione, che ho stappato lo spumante da un pezzo. Poi tutto passa, e io sorrido con un anno e cinque minuti di vita in più.

Non sei fatta per il quotidiano.

Avrei anche da ridire, sono una persona molto costante: faccio tre pasti al giorno tutti i giorni, il caffè al bar la mattina è la mia unica religione, dormo tendenzialmente tutte le notti.  È impossibile dire che non si è fatti per il quotidiano, un po’ come andare da un pesce e dirgli “bè non è che nuotare sia il tuo forte”. Non esiste, lo è per natura.

Dovrei smetterla di attaccarmi al significato letterale delle parole, dovrei guardare più lontano. Sarebbe così banale sottolineare che sono miope che ho deciso di non farlo. Che mossa astuta, no? Però in fondo è vero, in un certo senso non sono fatta per il quotidiano. Ho anche discrete difficoltà a scrivere la parola “stabilità”.

Vedi bene che nemmeno nel camminare l’equilibrio è il mio forte, possono testimoniarlo i miei sei tutori, la vecchia che mi ha soccorsa svariate volte sotto casa, la farmacista che si è comprata la casa al mare a forza di vendermi creme all’arnica.

Forse è vero, non sono capace di stare ferma. Mi muovo, faccio, disfo, viaggio, leggo, scrivo, strappo, inizio, devio, cambio, ricambio, salto, cado.

È un po’ come se l’equilibrio fosse la meta ultima, ed io non riuscissi mai a raggiungerla. Mi pongo obiettivi che so essere impossibili ed inizio a correre come una dannata, senza sosta. Corro, corro, corro fino al bivio. Se la lepre è troppo lontana mi fermo a riprendere fiato e aspetto qualcosa di nuovo, se la vedo ad un passo da me mi volto e inizio la fuga divertita.

Io e l’equilibrio flirtiamo senza mai concludere. Siamo due profumieri non v’è dubbio. Il problema non è il gusto della conquista, il problema è che tu, cara stabilità, non mi piaci abbastanza. Vorrei davvero poterti dire adesso che non è colpa tua, che sono io, che tu sei stupenda ed io mi pentirò di questa scelta. Ma la verità, la mia verità, è un’altra.

È che il giusto mezzo a me non basta, io voglio l’intero. È che anche il fiume prima di diventare pacato e sereno è stato cascata violenta ed energica. È che se tu sei la mia nuova alba, io adesso ho voglia di vedere quant’è buia la notte.

Ti dedico parole come di un innamorato, ti chiedo il tuo tempo. Ci sono frasi che ti restano dentro.

Ed allora io sono ad implorarti di aspettare, a pregarti di non avere fretta.

Non preoccuparti, sai bene che arriverò cinque minuti prima.