La vela è tutta una cazzata.

È tutta una cazzata, la vela è solo un insieme di cazzate.

Ora si penserà che sono volgare, che uso parolacce e magari è anche vero.

Il vento in faccia, il mare che ribolle sotto la barca, le vele spiegate che tu le puoi spiegare quanto vuoi ma insegnare ad amarle è compito difficile: tutte cazzate.

La verità è che la vela ti fa cazzare, cazzare di brutto. Di quella cazzatura sana che ti vien voglia di dimostrare che anche tu ne sei capace, che anche tu puoi fare un miglio fatto bene, un bordo esemplare.

E bada bene che ogni lascata è persa.

La verità è che in barca si fa una vita da cani, si dorme nelle cuccette.

In barca quando ti urlano “strambo” mica stanno dicendo che sei anormale, ti viene da pensare che forse i pazzi sono loro.

La prima volta che mi hanno chiesto di fare un Savoia mi sono messa ad imitare Emanuele Filiberto, non è andata molto bene.

La prima volta che mi hanno detto “orzo” ho risposto “no grazie, sono un’irriducibile del caffè” ma, nonostante loro si aspettassero una cazzata, non era la cazzata che volevano.

In barca ho imparato a fare il limbo a forza di schivare il boma.

Ho imparato che l’unico nome logico a bordo è scotta, e lo possono testimoniare le mie abrasioni.

Ho dedotto che l’ancora si chiami così perché quando la dai tutti urlano di darne ancora.

Ho scoperto che la deriva, nonostante il nome poco rassicurante, è quella che ti permette di portare il culo a casa e che non da tutti i bulbi nascono i fiori, quindi caro De Andrè aggiungi anche questa ai diamanti.

Ho capito che il fiocco a collo non è un papillon ma la farfalla puoi comunque farla, che per un cambio di mura non serve un condono.

Ho imparato che se dici “guarda questa che bella poppa” nessuno ti prende per maniaco sessuale, che lo strozzatore non è un serial killer nascosto in bagno.

Ho scoperto che in pochi soffrono il mal di mare ma che tutti poi patiamo il mal di terra. Che il mal di terra è sentirsi il mare dentro in piedi sul cemento, sentirti cullato dalle onde nel centro di una piazza.

Tutto quello che ho capito, alla fine, è che la barca è una secchiata d’acqua salata in pieno viso mentre cerchi di sentire il vento ad occhi chiusi, ti scuote dentro e ti fa subito urlare di dolore e sorpresa per poi, dolcemente, farti sentire il sangue che piano piano ti riscalda, il sorriso che si distende, la voglia di altre mille secchiate.

Ti sposo ma nulla di serio.

Ho deciso che ti sposo, stai tranquilla non è nulla di serio.

Ti sposo ma voglio che sia leggero come i tuoi vestiti di seta. Dire che è una cosa seria mi fa subito intristire, mi farebbe sentire uno di quei pinguini in giacca e cravatta sempre dritti con la schiena, sempre bassi con lo sguardo per non inciamparsi nelle loro scarpe di vernice.

Ho deciso che ti sposo per come muovi le mani quando ti arrabbi, che io mica riesco ad arrabbiarmi davvero con te che disegni nell’aria.

Ho deciso che ti sposo per come mi stringi quando facciamo l’amore, per come afferri la mia anima e la tieni al sicuro.

Ho deciso che ti sposo perché se c’è una cosa che voglio fare nella vita è contarci le rughe una ad una come stelle a San Lorenzo.

Ho deciso che ti sposo perché non trovavo una scusa plausibile per regalarti un anello uguale al mio. Sai quelle cose un po’ infantili tipo il braccialetto dell’amicizia, ecco una cosa del genere. Puoi metterlo dove vuoi, anche nell’alluce destro se ti va, l’importante è sapere che io e te avremo qualcosa di uguale ed unico al mondo. Che a ben pensarci è una contraddizione ma non è che sia famoso per la coerenza.

Ti sposo ma non è nulla di serio, nessuna gabbia e nessun limite, voglio essere libero di amarti ed essere amato.

Ti sposo perché alle feste mi diverto da morire e faremo una festa enorme con amici, parenti ed una piscina di vino bianco.   

Con gli anni ti tingerai i capelli per paura di vederli ingrigire e io sicuramente non avrò mai il coraggio di dirti che quando ti guardo io ci vedo tutti i colori dell’arcobaleno.

Ti sposo perché sono sicuro, sicuro di voler passare il resto della mia vita libero insieme a te.

È solo che mi è rimasta quella paura un po’ infantile, quelle cose che la mamma esce per fare la spesa e tu vai nel panico pregando perché torni e alla fine lei torna sempre. Ecco io voglio guardarti negli occhi e sentirmi dire “sì”, perché quel sì vorrà dire che entrerai ogni giorno dalla porta principale con il latte e due baguette ancora calde. Tranquilla, io ti starò aspettando con due calici di vino francese.

E vedi bene che sono ancora un po’ bambino, che ho ancora delle paure dietro ai muscoli e lo sguardo da duro.

Ti sposo ma non è nulla di serio perché la verità è che lo faccio perché se non avessi il tuo sorriso il cuore mi batterebbe un po’ più lentamente.

Così ti sposo per vederti sorridere giorno dopo giorno e capisci anche tu che non può essere nulla di serio, perché l’unica cosa seria del nostro matrimonio è che io ti amo, ma ti amo col sorriso.

E penserai che sono un po’ sciocco, un eterno fanciullo e per darti ragione, perché qualche volta la ragione ce l’hai anche tu, ti lascio un bigliettino al fondo di questa lettera e barra pure la casella che vuoi, sai che sono estremamente democratico.

Fai con calma, ti aspetto in cucina.

daje