Nei panni di lei. ( Ho fatto l’amore controvoglia II. Lei )

Finalmente Andrea mi ha chiesto di uscire, non posso crederci.
È da due anni che te ne parlo in modo ossessivo e questa sera è la grande sera.
In quarantacinque minuti sono pronta, tempo record. Abbigliamento studiato fino al colore della suola delle scarpe che deve obbligatoriamente abbinarsi alla clip degli orecchini, è tassativo.
Manco a dirlo il risultato è quell’elegante che può sembrare il “scusa ero di fretta mi sono messa addosso la prima gonna che ho trovato nell’armadio”. Non ci si può presentare troppo appariscenti al primo appuntamento, ne va della propria dignità.
Camicetta color crema vedo non vedo con due bottoni aperti, diventano tre se il vino è buono.
Passa a prendermi alle otto e mezza e ho un sorriso così grande che mettere il rossetto risulta più complesso del previsto.
In macchina c’è la radio e non riesco a capire quale genere preferisce, odio non conoscere chi ho davanti.
Mi porta in quel ristorantino sulla piazza giusto accanto al giornalaio, sai quello con i tavolini fuori e le tovaglie rosse. Quello dove lavora Giacomino, cazzo. Si quel Giacomino, quello che mi ha gettata nel cesto delle bambole usate manco fossi stata Patty Bravo e ora ha un senso di colpa grosso come quella collina fuori città. Odio fare pena alla gente, odio fare pena a quel cretino. Ci sediamo e ordiniamo da mangiare. In realtà voglio solo bere, sono tesa e inizio a dire cose senza senso giusto per alleggerire l’atmosfera mentre Andrea sembra perfettamente a suo agio. Dio mi sento il fuoco nelle guance e ne ho ben motivo, il vino fa dodici gradi.
Tengo banco, praticamente un monologo. Lui mi fissa con un sorriso ebete mentre io cerco di cavargli fuori le parole di bocca ma nonostante l’aspetto fisico parla meno di uno scorfano.
Che palle, perchè mi prendo sempre di quelli sbagliati? Dico lo sai che io ci puntavo molto su questo appuntamento, praticamente avevo già deciso il nome del secondogenito prima di salire in macchina (il primo quando mi ha chiesto di uscire) e invece adesso più che andarci a letto non saprei che fare. Si ok non è moralmente corretto, questo Andrea non ti piace davvero e tu non sei un uomo, tu non puoi fare sesso.
Ma sono scema o cosa? Ha un viso che neanche il David, un corpo pazzesco e poi senti sono adulta e vaccinata potrò ben fare cosa voglio no? Si ma cosa voglio? Non farmi problemi, non stasera. Basta paranoie, pregiudizi, oddio ma poi quello che dice, la moglie del fiorista cugina dello zio di mio padre cosa penserà, mi vedrà sicuramente il prete che battezzò il figlio dell’amico di Giulio mio cugino di terzo grado da parte di madre. No, la prendo alla leggera, mi godo il momento. Faccio l’uomo anzi meglio, faccio la donna libera. Bevo due Jagermeister che, anche se non sono Red Bull, mi mettono le ali. Sono carica, spacco il mondo.
Prevedibile come le occhiaie del lunedì mattina, durante la passeggiata digestiva si ferma e fa la mossa del “vediamo se ci sta ma non facciamoci sorprendere” e, questa volta, lo sorprendo io. Non gli do il tempo di fare il grande classico passo indietro che lo bacio. Un bacio di ribellione, di passione che ha il sapore di vittoria sulle mille paranoie di origine probabilmente preistorica. Non era male anche il retrogusto alcolico comunque ma lo sai quanto mi piace questa filosofia da tarallucci e vino, soprattutto vino.
Lo guardo come un leone guarda un cucciolo di antilope e mi sento la versione romana di Eva Kant.
Sta zitto per circa dieci secondi mentre io penso “se non mi chiede di andare da lui mi butto sotto le rotaie, ho pure il completino di pizzo coordinato”.
Mi salva inconsciamente la vita proponendomi “un caffè per toglierci quel gusto amaro dalla bocca”.
Adrenalina a mille manco stessi per salvare il mondo. Sei pronta? Si. Ci credi? Si. È normale parlare da soli quando si è agitati. No questa non era una domanda, era una giustificazione per la mia psicosi.
Saliamo da lui, non ho voglia di perdere tempo con un caffè, non saprei che dirgli. Cerco di appoggiarmi sensualmente sul letto e invece inciampo su un osceno tappeto finto persiano made in china e cado goffamente di faccia sul copri piumone. Mi giro pensando che la mia copertura sia saltata, la panterona è partita, ormai avrò il sex appeal di heidi ai suoi occhi e invece no. Mi prende, mi bacia, mi spoglia e quando sta zitto non è così spiacevole. 
È passionale, dolce, forse troppo. Ora senti ciccio bello non mi rovinare i piani, ma quale dolcezza e dolcezza io voglio sesso! Devo fare la rivoluzionaria mica la ragazza occhi a cuoricino che poi getti in un angolo. Tieni su la maschera, tieni su la maschera. Non ti intenerire qualunque cosa accada anche se dovesse chiederti di sposarlo sta notte. Si perchè le bambole accettano senza opposizione di essere abbandonate mentre io questa volta voglio andarmene da sola. Finiamo, mi abbraccia, mi chiede se voglio fermarmi da lui. M’invento che ho un rito pre-esame con la mia coinquilina e saltarlo è impossibile. Non preoccuparti abito qui accanto vado a piedi. Esco per strada,  non so che ore siano. Accendo una sigaretta e cammino tranquilla. Ho vinto in un gioco con me stessa e ho avuto una degna spalla.
Altro che Risiko.
Guarda un po’, mi sta chiamando proprio adesso.
Non rispondo, un bel gioco dura poco.

Ho fatto l’amore controvoglia

Pizzo nero. Sì, era decisamente pizzo nero. Ottima fattura, nulla da dire anche se non è che m’importasse molto.
L’avevo portata a cena in quel ristorantino che dà sulla piazza, quello con i tavolini fuori e le tovaglie rosse proprio accanto al giornalaio.
Guarda sarò sincero, mi sono pure divertito. Potrà suonare un po’ razzista ma lei è bella, davvero bella e non pensavo potesse essere anche così simpatica. Roba rara amico, genere “una su un milione” per citare quella musichetta da due soldi che a te piace tanto.
Abbiamo bevuto senza fare troppi complimenti, io ero tranquillo e poi mi piaceva vedere che iniziava ad arrossire sulle guance quel tanto che basta per lasciarsi andare. Ho speso pure poco, fortuna che conosco Giacomino che in quel ristorante ci lavora da anni sennò manco per piangere mi rimanevano i soldi. Quel ragazzo è uno spettacolo, ci facciamo certe partite di calcetto che in quanto a tensione e adrenalina juve inter sembra un incontro tra i pulcini dell’oratorio.
Ti dicevo comunque che dopo cena abbiamo fatto due passi, sai quando devi creare il momento. Bè che faccio vengo ad insegnarlo a te? È scritto nella Bibbia del primo appuntamento che non puoi provarci al tavolo né in macchina ma solo ed esclusivamente durante la passeggiata digestiva, magari sorprendendola con un complimento che racchiude un mix di dolcezza ed ironia perfettamente bilanciate.
Bene guarda io proprio da manuale le sorrido e mi avvicino quasi per caso, tasto il terreno e vedo che ci sta. Sarebbe banale baciarla subito quindi fingo imbarazzo e mi allontano di un passo, mi sarei dato una pacca sulla spalla da solo. Una performance degna di oscar. Lei mi guarda mezza delusa, mezza curiosa, mezza presa bene e boom mi bacia. Quelle cose come quando ti arriva un messaggio ed è una ricarica da venticinque euro omaggio che non sai perchè, un trenta ad un esame che credevi fosse andato uno schifo. Ma poi che bacio, cioè sesso puro. Tuttavia mantengo il controllo e, al limite delle mie facoltà fisiche, non poso le mani in zone eccessivamente erogene per non risultare il porco polipone, genere che le donne schifano. Io voglio farla morire, seducimi tu moretta, fammi cedere tu bellezza.
Si stacca, mi guarda e, ti giuro, mi manda una scarica di ormoni che è come un’onda d’urto, hai presente? Quegli occhi che c’hanno scritto “prendimi” manco fosse il “tilt” del flipper, ecco così.
Poi il bivio: che tattica uso adesso? Cioè stai confuso, vai diretto sul “prendiamo un caffè da me” o punti sul “ti accompagno a casa” rischiando di rimanere davanti ad un portone chiuso come un cretino? Risiko del sesso, valutazione dell’avversario: questa tipa è aggressiva apparentemente ma fino a che punto? Abbiamo all’attivo una bottiglia di rosso in due, un paio di amari e sì, è evidente che siamo brilli dunque vale tutto. Poi senti io mi butto al massimo anziché la moretta mi guardo un video e mi faccio una Moretti.
Accetta il caffè da me, la sua coinquilina si alza alle sei e non vuole disturbarla.
Fantastico, posso anche farmi la doccia nel mio bagno.
Senti qui, saliamo da me, quella sua gonna leggera e la camicetta reggono circa un secondo e mezzo. Subito letto, via tutto. Ma chi se ne frega della forma, chi se ne frega del caffè, questa tipa è spaziale. Dio, colpisco lo spigolo del comodino col ginocchio ma ragazzi qui c’è iron man non sento nulla, vado dritto alla meta come un All Black. Lei si spoglia io la guardo, diamine che bella e già mi sembra strano non dirlo volgarmente ma in fondo che c’è da pensare ammira e stai zitto cretino che questa te la stai per fare.
Una dea nel corpo e nel sesso. Sai la storia della coppa di champagne? Tette perfette che quasi mi dispiace toccarle manco avessi un Caravaggio davanti, pancino tondo ma tonico, una pelle dal gusto sensuale. E poi scendo piano piano, la guardo dritta negli occhi mentre le sfilo le mutandine e lei mi sorride maliziosa di rimando.
È mia, è mia adesso. La sento forte sotto le mie mani e ci provo, ci riprovo, tento ancora ma non ci riesco. Non riesco a farci sesso.
È terribile quando succede. Uno parte con l’idea di fare una serata giusto per dare due colpetti, una sigaretta poi tutti dormire ognuno a casa sua invece no, io non ci riesco. Questa sera proprio non ce la faccio. È che questa ragazza mi piace e non riesco a farci sesso. Dici che fare l’amore fa male alla salute? Non rischio nulla? Cardiopatie, psicosi, magari una bronchite che ne so. No?
Ok perchè senti io c’ho fatto l’amore. Come me ne sono accorto? Ma guarda mi sono pure spaventato all’inizio. Per me il sesso è scollegare il cervello e lasciare che i gioielli di famiglia comandino la spedizione mentre i piani alti chiudono, vanno in ferie, hasta la vista, siesta fino a nuovo ordine.
L’altra sera non trovavo il tasto off, tutto qui. Mi sono impegnato, ripetevo “spegniti spegniti spegniti” e il cervello nulla, lavorava ancora più del normale e mi sembrava di godere più nella mia testa che tra le gambe. Anzi forse è andata proprio così. Una figata senza senso, roba senza precedenti. Niente di speciale eppure tutto speciale. Una cosa semplice nessuna acrobazia o kamasutra però ti giuro il miglior orgasmo della mia vita, un po’ come passare da una barbera ad un barolo del ’99 e sai quanto mi piace il barolo.
Guarda ho fatto per la prima volta l’amore e pure controvoglia, ho cercato di opporre resistenza ma alla fine mi son lasciato andare, che mica ti puoi controllare. Ora non farei altro tutto il giorno anzi sai che c’è?
Magari la chiamo e le chiedo se ci prendiamo un altro di quei caffè che solo noi sappiamo fare e che non lasciano l’amaro in bocca.

Babbo vorrei un anticipo

Caro Babbo Natale,
lo so che tu ora sei in vacanza con la tua mamma e il tuo papà, hai lavorato tanto e mio zio dice che se lavori poi devi andare al mare.
A me piace tanto il mare, ci vado sempre d’estate con Gianpiero che è il mio cane. Gioco alle biglie con i miei amici e mangio un sacco di gelati.
Oggi piove e a scuola ho preso 9 in matematica. La maestra ha detto che sono bravo e che se continuo così da grande potrò fare lo scienziato. Io però voglio ammaestrare i canguri e farmi portare nella loro sacca tutto il giorno. Non devo mangiare gelati però sennò poi vomito come sul bruco mela. La mamma si era arrabbiata tanto quel giorno, si arrabbia sempre tanto ma alla fine ogni sera mi dà un bacino sulla fronte e mi sorride.
Ha le rughe quando sorride ma lei dice che non è vecchia, è solo saggia. Ho chiesto alla maestra Chiara cosa vuol dire “saggia” e lei mi ha detto che è quando hai la risposta giusta a molte domande. Che bello Babbo Natale, la mia mamma è proprio saggia allora! Sa i nomi di tutti i fiori, cosa mi piace mangiare, quando è nato il mio papà e il numero di telefono di tutti i suoi amici.
Io lo so che tu adesso sei al mare a mangiare i gelati e che sei in vacanza fino al compleanno di Gesù però ho un desiderio e ti chiedo un anticipo. Mio zio mi ha detto che un anticipo è quando chiedi un regalo prima del compleanno o di Natale e se te lo danno prima poi non arriva più dopo.
Allora, caro Babbo, io voglio il mio anticipo. Vorrei, l’erba voglio non esiste neanche nel giardino del Re dice sempre la Nonna Maria.
Ho visto la mia mamma piangere. Le ho chiesto se si era fatta la bua e lei mi ha detto di sì. Io non ho capito però, non aveva le ginocchia sbucciate e non era caduta. Lei mi ha detto che ci sono bue che non si vedono con gli occhi come quando hai l’aria nella pancia ma per me non è vero.
Ha detto che non le faceva tanto male, che se le davo un bacino passava tutto. A me non passa la bua quando mi danno un bacino però.
Le ho dato c-e-n-t-o-c-i-n-q-u-a-n-t-a baci e l’ho abbracciata forte forte fortissimo fortissimissimo.
È da tante sere che la mia mamma ha la bua e non le passa.
A me non piace quando la mamma piange, a me piacciono le rughe quando sorride.
Ecco cosa vorrei Babbo Natale: io sono stato bravo, ho preso nove in matematica, faccio sempre i compiti, non litigo coi miei amici e voglio bene a tutti, anche alla zia Ilda. Mangio la verdura (anche quella verde), vado a dormire quando me lo dice la mamma.
Io vorrei vedere la mamma piena di rughe da sorriso. È brutta quando piange, ha tutti gli occhi rossi  e mi bagna le guance quando la bacio. Che schifo.
Posso avere la mamma che ride? Con tante rughe, sì. Così tutti possono dire che la mia mamma è saggia e sorride sempre. Lo sai che è proprio bella quando sorride? Lo dice anche il mio papà e il mio papà ha sempre ragione. 
Allora Babbo mi dai questo anticipo? Mi mandi una cartolina dal mare? Se tu mi mandi una cartolina te ne mando una anch’io da Sanremo a Giugno.
Ciao babbo natale, quando arrivi ti faccio trovare due pacchi di biscotti al cioccolato e una tazza di latte con tanto tanto tantissimissimo miele caldo.
Mattia

Pronto tra vent’anni.

E se davvero mi telefonassi tra vent’anni?
Ci hai mai pensato? Cosa ci diremmo?
“Compra il pane tesoro che io sono ancora nel traffico”.
O forse mi dirai che hai avviato le pratiche, quelle del divorzio.
Sì perché non ce la facevi più, io con le mie ansie e tu con le tue ali che sapevo solo tarpare.
Che poi io nel matrimonio non so nemmeno se crederci.
Forse starò ancora correndo per inseguire ciò che non ho il coraggio di raggiungere. È proprio necessario correre per qualcosa che si ha accanto?
Invece no, tu mi chiamerai e userai il numero privato per stupirmi col suono della tua voce come fai sempre.
Mi chiederai come sto, è da tanto che non ci si sente, ti risponderò che va tutto bene, qualche intoppo a lavoro ma che vuoi è la vita, a casa una meraviglia.
Tu sarai felice, un uomo realizzato che voleva chiamare una persona che tanto gli era stata cara.
Era.
Sì perché non ne abbiamo azzeccate molte, lo sai, e alla fine il tempo, il lavoro, le nostre colpe e il nostro orgoglio ci hanno divisi.
Chissà se dopo aver schiacciato il rosso riprenderemo a camminare tranquilli o se avremo bisogno di sederci su una panchina.
Io mi accenderò una sigaretta, tu no, odi i vizi che non hai.
Guarderemo il vuoto sentendoci vuoti.
Una valanga di ricordi che ti cade addosso con una violenza tale da farti male alle spalle.
Sorrideremo da soli e poi, quando penseremo ai litigi, scuoteremo lievemente la testa pensando a quanto siamo stati stupidi e immaturi, a quando avremmo potuto dire “va bene” anziché intestardirci.
A quando avremmo potuto chiudere un occhio anziché tirarci un pugno, amarci piuttosto che urlarci addosso.
Ci morderemo le labbra come avremmo dovuto fare vent’anni prima, appoggeremo le mani sulle ginocchia e a fatica ci alzeremo tornando meccanicamente al presente.
Sarà dura forse, ma col tempo saremo diventati dei professionisti nel nascondere i sentimenti.
E se, semplicemente,  ti dicessi “certo amore, passo io in panetteria”?
Facciamo così, telefonami tra vent’anni e vediamo che mi dici.

Cinema metropolitano

Parigi, linea 10 fermata Cardinal Lemoine.

Non è molto affollato il vagone : una coppia di colore che sembra uscita da un video di Snoop Dogg limona durissimo in fondo a destra, un rabbino legge un testo religioso forse per esorcizzare la carica sessuale dei due amanti, una mamma col passeggino cerca di calmare quella belva di suo figlio che di stare zitto proprio non ne vuole sapere, due ragazze coi nasi all’insù parlano di un loro compagno di classe di cui sono entrambe perdutamente innamorate ma che ovviamente non ne ricambia neanche una.

Siamo tutti apparentemente immersi nel nostro mondo e ciò che vorremmo è semplicemente arrivare il prima possibile a destinazione.

Mentre continuo a guardare nervosamente e quasi in modo ossessivo l’orologio dando la colpa del mio ritardo ai trasporti pubblici, un francese tutto sorridente sale e si lascia più o meno dolcemente cadere su uno dei tanti sedili vuoti.

Lo guardo di sfuggita assorta come sono dalla mia ansia di non arrivare in tempo.

Non sembra avere nulla di particolare: una giacca marrone, dei jeans anonimi, capelli normali, né alto né basso, né bello né brutto (si ok era bruttino ma ci tenevo ad essere delicata). Si guarda intorno e sorride, apre la sua tracolla e tira fuori una scatola di pop corn. Mi strofino gli occhi incredula e ora ne sono certa, quelli sono pop corn caramellati. Si sistema come al cinema e inizia a sgranocchiarli osservando noi, i suoi casuali compagni di viaggio. Di un solo misero viaggio in metro.

« o è pazzo o è un fan sfegatato di Bukowski » penso.

« la gente è il più grande spettacolo al mondo. E non si paga il biglietto », quando si dice prendere una frase alla lettera.

Il rabbino sembra non notare nulla mentre a me viene da ridere e da saltare in piedi sui seggiolini urlando “oddio ma quest’uomo è un genio, un genio dio mio”. Forse lo è inconsapevolmente ma non ha alcuna importanza.

Mi guarda incuriosito mentre io mi immergo goffamente nella borsa, manco avessi l’Oceano Indiano a tracolla, in cerca di carta e penna per annotare questa stranezza.

« non capita tutti i giorni di vedere uno che mangia i pop corn in metro e che osserva gli altri in cerca chissà poi di cosa », « non capita tutti i giorni di vedere una ragazza che ride di gusto da sola frugando, con tanto di testa dentro, nel caos della sua borsa » sembriamo dirci mentre furtivamente ci guardiamo in silenzio. Finalmente trovo uno scontrino ed una matita e inizio a scrivere “bukowsi, metro, brutto, limone duro, rabbino, pop corn, pop corn in metro, mangiare pop corn in metro, mangiare pop corn in metro studiando i passeggeri”. Per fortuna per il mio conto in banca è solo la ricevuta di un caffè dunque finisco subito lo spazio. Continuiamo a guardarci cercando di capire se è lui o sono io quella stramba e le nostre risposte non sembrano coincidere.

Scendo dopo poche fermate, non prima di avergli sorriso : siamo stati per alcuni minuti i reciproci protagonisti dei nostri spettacoli anche se, caro Charles, devo darti torto.

Il biglietto, nonostante fosse quello della metro, l’ho pagato eccome.

Alla fine non c’è fine

Ho sentito dire che la vera magia di un film o di un libro è la non conclusione, la democratica scelta di lasciare che sia lo spettatore o il lettore a decidere che fine mettere.
Abbiamo un bisogno viscerale di avere sempre l’ultima parola manco l’intero film dipendesse dalla nostra umile opinione ?
O forse non abbiamo il coraggio di accettare le cose semplicemente per quel che sono : lui muore, lei si risposa, la trottola cade.
Vorremmo plasmare il finale in base ai nostri bisogni, immaginare ciò che più ci piace proiettato sullo schermo senza arrenderci al naturale corso degli eventi.
Siamo dei rivoluzionari della fantasia che lottano contro un regista o uno scrittore anzichè occuparsi della propria personale storia.
È inaccettabile, totalmente inaccettabile, che una trama abbia un inizio ed una fine ben definite : che banalità. Come se nulla potesse mai concludersi in un libro così come nella realtà.
Un’idea si può cambiare, una storia ricominciare, ad un punto si può sempre aggiungere una virgola.
Bè io non ci credo.
Per me un film inizia e si conclude, il cerchio si chiude ed è la fine la più importante.
Io non ho nulla di democratico, non quando leggo.
Io sono un’assetata di ultime righe, voglio vedere cosa succede nero su bianco e non rimanere a fissare il vuoto con un’espressione da ebete pensando a quale taglio di capelli avrà deciso di farsi la protagonista che abbiamo lasciato dal parrucchiere.
Se tutto scorre allora a me piace costruire dighe, almeno nei libri.
Sì perchè se è vero che coi romanzi e con i film ci astraiamo anche solo per un paio d’ore dal nostro mondo, allora io voglio un finale che non ammetta repliche, lo voglio netto, deciso,chirurgico.
Voglio i titoli di coda che non vedo scorrere quando prendo una decisione che, in fondo, non è mai davvero definitiva.
Voglio il punto e a capo che non sempre riesco a mettere, voglio il vissero felici e contenti che raramente ho visto per strada.
Ecco a me piace l’ultima pagina, mi piace proprio tanto perchè non mi lascia troppe strade aperte né la paura di doverne intraprendere una.
Mi presenta i fatti per come si sono svolti e accetto le conseguenze di scelte che, purtroppo, ha preso lo scrittore al posto mio.
Per fortuna, comunque, si parla solo di libri o poco più.
Forse.

Elogio del dentifricio

In qualsiasi viaggio tra amici che si rispetti lui c’è sempre : quello col dentifricio.

Uomo previdente e dalle mille risorse, è lui che salva l’imbarazzante momento in cui tutti girovagano con uno spazzolino elemosinando non si sa bene cosa.

La mamma del gruppo, il vecchio saggio del villaggio, un uomo che sa girare il mondo o forse semplicemente un maniaco dell’ordine.

Ce lo portiamo dietro solo per questa sua essenziale funzione ?

Tutti con grandi sogni, grandi aspettative, grandi viaggi alla scoperta di noi stessi pensando di essere i nuovi Buddha e poi ci dimentichiamo puntualmente il dentifricio a casa.

Non che Buddha lo usasse, ben inteso, ma è come partire senza la voglia di lavare via il vecchio per lasciare spazio al nuovo.

Un po’ come non leggere il primo capitolo del libro di testo : pensi sempre che non ti tornerà utile fino a quando il professore, indeciso sul voto, ti chiede esattamente la terza riga del quarto paragrafo del manuale e tu ti rendi conto di essere un cretino. Come hai fatto a non pensarci ? Era una cosa così semplice, così banale, così « tanto non me lo chiederà mai », « tanto il dentifricio lo portano già gli altri » e invece scopri che ragioniamo tutti allo stesso modo e rimani fregato da quei piccoli dettagli che fanno la differenza.

Non c’è la mamma come qualche anno fa che ti piega i vestiti, ci sei solo tu e il tuo beauty case, tu e le tue responsabilità.

Mutande prese, calzini pure, quel vestito non posso non portarlo, ma questa maglia ci sta troppo bene con questi pantaloni, il mascara waterproof che non si sa mai, la canottiera che metti faccia freddo, le aspirine che io lo so già che mi sveglio col cerchio alla testa domenica mattina, un costume da bagno, la macchina fotografica, la moleskine per annotare curiosità, l’ipod per isolarsi dal mondo al tramonto, soldi per le birre. E il dentifricio ? Ma che ha fatto di male per essere abbandonato in bagno e attendervi fedele al ritorno come un labrador ? Molto bene uscire tutta truccata e ben vestita la sera ma, tesoro mio, se c’hai la fiatella non farai molta strada.

Non si può partire senza la voglia di fare un viaggio, senza essere pronti a farlo.

Se credi di voler scoprire il mondo allora conta su te stessa e non c’è nulla di filosofico, non devi fare l’eremita o quella super-indipendente-super-tutto che se vuole una mano la trova al fondo del suo braccio, no. Dico solo che devi farti da mamma, pensare ai tuoi bisogni e cercare di soddisfarli senza sperare in qualche povero cristo con un tubetto di mentadent sempre pronto, qualcuno che ti trascini in giro mentre tu passiva lasci che tutto ti scorra attorno.

Se fossi in Irene Grandi riscriverei una delle sue canzoni: prima di partire per un lungo viaggio, porta con te lo spazzolino e il dentifricio.

In orario per nulla

Parigi, place du Trocaderò.

Una ragazza si siede ad un tavolino al sole, si accende una Marlboro light.

Il cameriere le chiede cosa desidera e lei, prima di ordinare una coca cola zero, si toglie gli occhiali : le piace guardare la gente nelle pupille senza filtro alcuno.

Sorride senza motivo, sembra aspettare una persona: una sua amica o il fidanzato di una vita.

Non guardarla è impossibile bella com’è, i lunghi capelli castani che incorniciano quel viso dolcemente sensuale, quegli occhi che hanno molto da raccontare. Sembra sicura di sè dentro il suo vestito nero che le dona un’eleganza senza tempo. Si accorge di me ma non sembra infastidita, mi sorride e mi dice « bonjour » anche se non ci siamo mai viste prima, ha una dolcezza che mi sorprende e mi avvolge.

C’è un momento, un istante brevissimo, proprio mentre si sta voltando in cui noto qualcosa, un luccichio nell’angolo sinistro dei suoi occhioni verdi.

Ci leggo sofferenza, un’infanzia un po’ particolare certo, di quelle che ti segnano e che, a giudicare dal suo sorriso, lei ha vinto senza nemmeno rendersi conto fino in fondo delle difficoltà.

Non sempre la leggerezza è negativa, a volte serve a mantenerci in alto senza farci affondare.

Le chiedo da accendere, mi risponde « ci siamo già viste ? » e io non so che dirle.

In un attimo ci troviamo allo stesso tavolo, le racconto la mia vita e non so nemmeno il perchè, lei mi ascolta cercando di guardarmi dentro, vuole captare ogni emozione e annuisce dolcemente.

Non m’interrompe mai e rimane concentrata, dopo un tempo che non saprei definire mi zittisco, è il suo turno.

Mi parla di suo padre e lo sguardo inizia a brillarle sognante, mi dice che è lontano ma, ben inteso, solo fisicamente. Dice che è la sua guida che le indica il cammino senza forzarla nel seguirlo, una fonte di amore incondizionato.

È molto legata alla famiglia, mi parla per un’ora dei suoi fratelli, cugini, zii senza mai smettere di sorridere.

Rompo la magia e le chiedo di sua madre, lei mi guarda con un velo di tristezza che cerca subito di nascondere e mi dice « è molto bella Parigi vero ? ». Annuisco cercando un modo delicato per scusarmi, è sempre brutto porre involontariamente domande scomode.

Ha un fidanzato, ne ha avuti molti in realtà, ed è innamorata dell’amore. Mi dice che non capisce chi ha paura di lasciarsi andare, che le ferite passano mentre il bene resta, che per quante lacrime versi un abbraccio dato con amore ti farà sempre tornare il sorriso.

La osservo stranita, sono troppo cinica per lasciarmi incantare e lei mi guarda interrogativa, mi chiede da dove nasca tutta questa paura.

Uno ci mette anni per costruire il suo bel muro di tempi comici, sarcasmo stuccato con un po’ di cinismo e infine una bella mano di autoironia per poi sentirsi dire in pochi secondi da una sconosciuta francese « dimmi da dove ti nasce tutta questa paura» ? Pensavo di essere al tavolo con una mia coetanea non con Maga Magò. Lei ride divertita, mi dice che sono pazza ma a me quella fuori dal comune sembra lei. Non ha filtri, sa aprirti il cuore e fa quello che pensa.

Le piace spendere e non se ne vergogna, le piace viziare gli altri ma arrossisce se le fai un regalo, ama amare e si butta senza reti di sicurezza, ha un viso dolcissimo ma quando decide non cambia facilmente idea. Dice di non sapere cosa le riserverà il futuro ma che ha ben presente con chi vuole guardare avanti.

Da come mi parla si vede che è caduta tante volte ma le sue ginocchia sono morbide come quelle di un bambino. Si trucca molto ma è chiaro che è una di quelle persone che al mattino appena sveglie sono belle come sul red carpet.

Sorride e mi dice « che hai da guardarmi così ? » e stiamo un minuto in silenzio.

Rispondo che non ci eravamo mai viste forse, ma che di sicuro ora voglio rivederla, che è la prima volta che incontro una persona come lei nella mia vita.

Voglio dire vi è mai successo di trovare qualcuno che riesce ad avere la forza di spostare il Vesuvio a mani nude come se stesse bevendo un bicchiere d’acqua, qualcuno che vi ascolterebbe per ore parlare di nulla solo per avervi accanto, qualcuno che dà tutto senza davvero aspettarsi nulla in cambio, qualcuno che non ha paura di ascoltare il suo cuore e che, pur amando senza freni, riesce a non farsi intimorire dalle delusioni ?

Torno a casa quando già fa buio e rido da sola mentre scrivo al computer, l’ho vista una volta soltanto e già sta facendo vacillare il mio cinismo.

Non stava aspettando nessuno e nemmeno io, ma siamo arrivate perfettamente in tempo al nostro appuntamento.

Odio relativo

Io non odio nessuno e questa è una bugia.
Odio quelli che in metro si appoggiano contro i seggiolini mobili senza sedercisi.
Io sono stanca e tu, tamarro da tre soldi che fingi di non accorgerti del mio sguardo gelido, stai lì indeciso sul da farsi: sedersi o non sedersi, essere o non essere?
Come se non avessi il coraggio di andare fino in fondo lasciando sempre le cose a metà.
Tiro ad indovinare: tu sei quello intelligente che non si applica, quello che la rincorre ma quando la guarda negli occhi scappa, quello che a monopoli non costruiva mai alberghi perchè costavano troppo e poi metti che non ci passa nessuno, quello che al posto della birra ordina una panachè.
Uno che va in palestra ma non per farsi i muscoli, quello che fa il bagno in mare ma solo fino a dove tocca, uno che mangia gli spaghetti aglio olio e peperonicino ma mi raccomando con pochissimo piccante e magari senza aglio, uno che fa sesso sempre a luce spenta. 
Toccare ma non guardare, guardare ma non toccare, appoggiare ma non sedersi.
Ad ogni permissione corrisponde una proibizione uguale e contraria, mantieni un equilibrio innaturale e infatti io rido quando la metro si ferma bruscamente e tu cadi, cioè quasi cadi, sia ma che porti a termine qualcosa.
Finalmente scendi guardandoti fugacemente intorno sperando che qualcuno, ma non molti, ti abbia notato.
Mentre ti avvii all’uscita con passo mediamente veloce e mediamente lento, penso che peggio di te ci siano solo quelli che guidano col cappello, quelli che vanno ai 50 all’ora anche in autostrada, quelli che passeggiano in mezzo alla strada mentre tu hai cinque minuti per attraversare la città, quelli che non hanno ancora capito che se hanno paura di mettersi alla guida possono prendere i mezzi pubblici, quelli che solo perchè hanno il suv non rispettano i ciclisti.
In breve, da buona italiana, odio tutti quelli che anche solo lontamente potrebbero intralciare la mia strada quando sono di fretta senza dimenticarmi di detestare quelli che corrono mentre io faccio la turista.