Sono già passati sei mesi, Nonna. La metà di un anno, la metà di qualcosa che si è spezzato. Altrimenti sarebbe intero, giusto?
Mi manchi.
Anche adesso, ancora adesso, mi manchi. Ti sento addosso nell alito di vento dietro l’angolo, nel sole alto a mezzogiorno. Ricordo ogni istante, la sensazione nelle vene, quel senso di nausea, la seggiolina rossa, le tue ciabatte lasciate cadere in terra, fuori posto. Niente per te è mai stato fuori posto, fuori dal proprio ordine. I cerchietti in basso a sinistra nel tuo bagno, l’orzo nell’antina accanto al frigo, i quadri perfettamente dritti. Ma ci sono cose che non possiamo controllare, che sfuggono alle nostre mani, ai nostri occhi e non possiamo metterle in ordine, non possiamo salvarle. Un po’ come le tue ciabatte bianche, Nonna. Non è proprio in quel momento che bisogna essere forti? Che poi cosa voglia dire essere forti io mica l’ho capito. Ripenso a quando sollevavi le bottiglie d’acqua per allenare i bicipiti e non posso che sorridere. Ripenso a quando mi dicevi che qualcosa ti sfuggiva dalle mani, che la testa non funzionava come tu avresti voluto e non posso che commuovermi. Sono passati sei mesi e non so dirti se sono tanti o pochi, è come se viaggiassi su due binari divergenti, quel giorno sembra un incubo ricorrente ma lontano, il nostro abbraccio questione di ore. Sento distintamente un nodo in gola, sono quasi certa che vuoi dirmi di mettere un cravattino di lana che fuori fa freddo.
Non preoccuparti Nonna, fuori c’è da battere i denti ma il tuo sorriso mi riscalda.