Dove volano le farfalle?

Chissà perché ci si uccide più di frequente dopo il tramonto. Sarà che prima San Pietro è a mangiare, “signora non ha letto il cartello? So le sette, la bottega apre alle sette e mezzo, che crede d’esse già arrivata in Paradiso? Se metta ‘n fila va”. Sarà che in tempo di crisi pure Caronte si è messo a fare tariffe agevolate sulle tratte notturne.

Sarà che sono due anni che mi faccio la stessa domanda e solo di notte mi sembra che tu venga a sussurrarmi la risposta.

Cosa si prova a stare in bilico tra la vita e la morte, tra un passo indietro e un passo nel vuoto? Tu lo sai dove porta il vuoto? E dimmi, che cosa si ascolta in quel momento? Il proprio cuore o un’ombra che ci insegue e che oscura la luce che abbiamo negli occhi? Tu dimmi se il freddo delle tegole ha riscaldato la tua anima, se dopo esser caduti s’impara a volare.

Mi hai insegnato a non avere paura dei mostri sotto il letto ma allora com’è che, alla fine, proprio tu li hai lasciati vincere? Erano verdi oppure gialli? In ogni caso, sappi che io sono incazzata nera. Incazzata come una madre che sgrida il proprio figlio per aver attraversato di corsa senza guardare, un’incazzatura d’amore bella e buona. Mi si è quasi spezzata una corda vocale, mi si è quasi spezzato il cuore di netto.

Perché mica è giusto quello che mi hai combinato, che la parte difficile è sempre per chi rimane qui come uno stronzo con un pugno di mosche morte in mano. Sì, ho fatto morire pure le mosche. E va bene, va bene sono egoista, devo lasciarti andare, tenere la mano aperta per non uccidere la farfalla come in quelle metafore inutili e mielose sull’amore. Ma che ne sanno le metafore dell’amore, delle farfalle, di te che sei la mia farfalla. Ma che ne sai tu di cosa significhi abbracciarti solo in sogno e svegliarsi con la faccia nel cuscino, che ne sai tu di cosa significhi guardare giù e sentirsi mancare il fiato, sentirsi rimbombare nella testa il mio urlo di dolore.

Ti sfido. Ti sfido a venirmelo a chiedere davanti a una tazza d’orzo e tu lo sai che io l’orzo lo detesto, che lo berrei solo per te. Ti sfido a rispondere alle domande che io getto nel vento sperando salgano fin da te e tu potrai fare lo stesso con me, se vorrai. E lo sai bene, lo so bene, è una sfida d’amore, un duello tra innamorati separati dal destino. È solo che mi fai così tanta rabbia, è solo che ho questa roba qui dentro che non so dove mettere, ho amore in eccesso capisci? Ho tutto questo amore che non so più dove mettere perché non ci sei più tu a riceverlo, perché mica posso smaltirlo insieme all’organico, che mica fa la muffa l’amore. E allora lo nascondo come i chili dell’inverno sotto i vestiti, sotto il tuo maglione nero che ora ha perso il tuo profumo. E allora magari già che sono qui indosso i tuoi panni, il tuo caschetto biondo e quel sandalo che hai tolto un attimo prima che gli attimi finissero.

T’immagino piegare i tuoi vestiti adagio sul letto, non c’è nessuna fretta, non c’è più nessuna fretta. T’immagino togliere i gioielli come ogni sera prima di andare a dormire, prima di un lungo sonno. T’immagino tremante voltarti a guardare tutto il tuo bel mondo per l’ultima volta, almeno l’ultima coi tuoi begli occhietti azzurri. Che poi forse si saranno un po’ arrossati come un mare al tramonto. I ricordi ti riempiono il cuore così tanto che non c’è più spazio per averne di nuovi, che non ti ricordi nemmeno che giorno sia domani. È l’amore a muovere il mondo e adesso, lo so, anche le tue braccia. E allora è giunta l’ora di scegliere un’ultima volta. È così tanto che non scegli più.

Una farfalla che spicca il volo, colomba bianca nel giorno di Pasqua. Se il corpo c’incatena che almeno l’anima si possa liberare, se è l’aria a mancarci che si possa diventare quell’aria, quel vento fresco che soffia all’alba di un nuovo giorno. Che la gravità sia una legge e tu la sua deroga. Che le tue braccia diventino ali giusto in tempo per invertire la rotta e volare fin dentro i miei sorrisi.

Sei la mia farfalla bella, il mio Sole con un po’ di pioggia leggera. Sei il mio amore immenso.

Mi manchi e so che la mia voce arriverà fin là, dove volano le farfalle.

Ad Intermittenza.

Bimba mia,
Un tempo quando parlavo di lucidità mi riferivo a quella del tavolo di cristallo, mai avrei pensato di usarla per parlare della mia mente.

Ti chiedo scusa, immensamente scusa anche se, purtroppo, non ricordo bene per cosa.

La demenza senile è una cosa strana, è una lampadina avvitata male che si spegne e si accende come vuole. Ti chiedo scusa perché non so riavvitarla. Tu guardandomi pensi che sia fulminata, un vecchio aggeggio da cestinare. Hai mai pensato che io sento l’energia ma non riesco a illuminarmi? Non sono spenta, non sono morta. Sono intermittente.

Non ho scritto se ho preso la pastiglia, non ricordo se proprio non l’ho presa o se mi sono dimenticata di appuntarlo. Se adesso ti chiamassi forse tu ti arrabbieresti, mi diresti che sono rincoglionita e ti direi che hai ragione. Forse tu non lo vedresti ma il mio cuore avrebbe un battito in meno, morirei per un istante.

Ti ho messa al mondo e ho giurato che ti avrei protetta dal freddo, dal mostro sotto il letto e dalla sofferenza inutile. Così mi chiedo che senso abbia continuare a stare qui se sono io stessa a gelarti il cuore, io stessa a chiamarti per scacciare i mostri della memoria, io stessa a farti soffrire.

Ti ricordi com’ero bella e forte mentre ti crescevo? Se mi abbracci troverai ancora un po’ di luce nei miei occhi. Lasciami andare, non verso la morte questo no, lasciami scorrere senza preoccupazioni verso una nuova fanciullezza. Lascia che dimentichi le pastiglie ma che ricordi l’aperitivo con le amiche. Lascia che ti chieda venti volte se hai già chiamato Laura, credi che non abbia anch’io la sensazione di avertelo già chiesto?  Io non ho colpa ma forse me lo merito, non sono mai stata spensierata come adesso, non sono mai stata fantasiosa come ora. Ho perso la memoria ma non è nel mio nascondiglio segreto. Nemmeno quello ricordo dove sia. L’ho persa ma, come vedi, ancora viene a trovarmi come uno spasimante che non si rassegna.

Prendimi tra le tue braccia e cullami come facevo io, dammi un bacio in fronte e dimmi che andrà tutto bene, che ci sei tu a tenermi la mano. Cerca di vedere la luce anche nei miei attimi di buio, cerca di immaginarti come io mi senta in colpa nei miei attimi di luce. Non ricordo se non le cose importanti, allora da vecchia mamma un po’ rimbecillita tutto quello che davvero ti chiedo è: fai sì che le cose importanti che ricordo siano il tuo sorriso e le risate dei nipoti, niente lacrime e urla. Perché nessuno ne ha colpa, non rendermi colpevole. Non ho scritto se ho preso la pastiglia, non ricordo se proprio non l’ho presa o se mi sono dimenticata di appuntarlo. Se adesso ti chiamassi forse tu ti arrabbieresti, mi diresti ancora che sono rincoglionita?

 

Mamma

Un Amore di malattia.

La malattia è una cosa strana. No, non l’influenza o il raffreddore, la malattia quella vera.

La malattia è alzarsi la mattina sicura del tuo matrimonio che va avanti da anni in una routine che ormai sembra non ti appartenga più. È aprire il cassetto di tuo marito e trovare una sua lettera per un caro amico in cui dice di volersi separare da te.

Separare? Com’è possibile? Non ti sei mai accorta di niente, non hai mai notato atteggiamenti diversi dal solito. Forse è proprio questo il problema, hai smesso di accorgerti di lui.

Avrai due scelte, dipende solo da te: potrai arrabbiarti, urlare fino a farti mancare il fiato, rigargli la macchina, bucargli le ruote della moto, pulire il water con il suo spazzolino da denti e usare i suoi vestiti come legna per il camino. Odiare quel referto fino a non riuscire a pronunciare le parole stampate sopra. Potrai aspettare che torni da lavoro e urlargli in faccia che è uno stronzo, che maledici il giorno in cui te ne sei innamorata anche se a ben pensarci forse non l’hai mai amato davvero ed è stata tutta colpa di tua madre, che tu avresti voluto sposare il tuo compagno di banco dell’asilo, che avresti voluto vivere una vita diversa e te ne accorgi solo ora che ti vita forse non te ne resta poi tanta.

E forse questo ti farà subito sentire meglio, non ti farà fermare a riflettere sulle mancanze che tutti, in fondo, abbiamo e su come colmarle. Tutto il tuo dolore sarà concentrato nell’odio profondo verso tuo marito ed in men che non si dica ti ritroverai in una casa nuova, vuota, fredda.

Non ti sfiorerà mai l’idea che quella lettera forse era stata scritta di pancia dopo un litigio ed è per questo che non aveva francobollo, che probabilmente non sarebbe mai stata spedita e che si guarisce innanzitutto nella testa. Mai potrai pensare che per una cazzata ti sarai rovinata la vita, che hai disertato prima ancora della chiamata alle armi.

Oppure potrai piangere, piangere a lungo restando immobile a pensare a quella volta che non gli hai dato una carezza, a quando lui ti aveva chiesto di fare l’amore e tu ti sei inventata troppi mal di testa. Certo lui non è perfetto ma ciò che davvero si ama sono i difetti, con i pregi siamo bravi tutti.

Riporrai la lettera nel cassetto dove l’hai trovata, uscirai a comprarti un vestito nuovo, proverai a cucinare il suo piatto preferito senza che ci sia un’occasione speciale, proverai ad amare più forte la sua ruga sulla fronte, proverai a sorridergli anche quando è arrabbiato, proverai ad estrarre il succo del vostro amore togliendoti la scorza indurita dal tempo, proverai a sorridere anche col male dentro. Proverai e non ci sarà nessuno a dirti che ce l’avrai fatta, nessuno. Ma scoprirai giorno dopo giorno che amando di più in fondo ti amerai di più, che vivere per la malattia è un paradosso bello e buono, che l’amore e la vita non sono solo fortuna, sono compromessi, sorrisi e a volte medicinali. E se lui ti guarderà innamorato come un tempo allora i tuoi sforzi saranno valsi la pena e sarà vero che il bene che si fa prima o poi torna indietro, che anche la malattia può regredire. Imparerai però soprattutto ad accettare che ciò che rende grandi sono le sconfitte a patto che ci sia stata una battaglia. Ed è allora, solo allora, che se anche lui rimanesse inflessibile davanti al tuo amore, che se anche il tuo male non si dovesse fermare, avrai perso ma l’avrai fatto col sorriso. E non ci sarà separazione che potrà cancellare l’amore che avrai messo nei piccoli gesti, non ci sarà referto che rovinerà le piccole gioie di una battaglia combattuta con i fiori e senza cannoni. Ti siederai a scrivere e ti sembrerà che i tuoi fantasmi siano seduti accanto a te nella poca luce dello scrittoio, proprio sopra la tastiera. Imparerai a chiamarli per nome e forse, col tempo, faranno sempre meno paura così che quando arriverà il giorno in cui non dovrai più avere paura, ecco quel giorno l’ultima espressione sul tuo viso sarà un sorriso rilassato e non gli occhi stretti nell’odio.