Questa che vado a raccontare è una storia vera anche se potrebbe sembrare una leggenda. Questa che vado a raccontare è una storia in cui ognuno di noi, nessuno escluso, può ritrovarsi senza essersi mai perso.
I cattivi di questa storia sono molti e tutti simili. Vagano per le strade armati di rughe, cappello e una macchina targata Cuneo. I nostri cattivi pensano di essere buoni, di essere depositari della guida in sicurezza e dell’eterna giovinezza. Si mettono al volante con le lenti così spesse che qualche mala lingua sostiene siano antiproiettile. Escono di casa e il loro obiettivo agli occhi del mondo sembra essere uno solo: mettere alla prova l’altrui capacità di conquistarsi il paradiso.
Vien quasi da pensare che siano i black blocks delle parolacce, istigatori di scurrilità.
Procedono con calma senza mai oltrepassare i venti chilometri orari, sia mai che volasse il cappello per la velocità. Si fermano a semaforo verde, si buttano con non chalanche a semaforo rosso. Forse la vecchiaia stimola il daltonismo.
Fortunatamente sono una specie rara, o forse no. Contrariamente ai panda e alle tigri siberiane, gli anziani cuneesi col cappello sembrano essere numericamente superiori ai cinesi.
Il perchè vaghino in macchina costantemente e a qualsiasi ora del giorno rimane per la scienza un mistero nonostante stia dando buoni risultati una ricerca sul magnetismo triangolare rughe-coppola-cantiere.
Nella nostra storia, tuttavia, pur non essendo una favola esiste una morale. E quale sarà, vi starete chiedendo, tale morale?
Forse che bisogna apprezzare la gratuità del corso di meditazione offerto mentre si trattengono le ingiurie verso i saggi cappelluti?
Forse che non tutti i cuneesi vengono per nuocere?
No. La realtà signori miei è che queste figure quasi mitologiche sono davvero mandate da Dio. E lo prova non solo il fatto che statisticamente sono arrivati alla loro tenera età nonostante la discutibile guida, non solo il fatto che la fuga di molti rapinatori si è conclusa mentre aspettavano che i nostri paladini parcheggiassero, ma anche il fatto che oggi, sì oggi, stremata da un’estenuante attesa io, voce narrante, ho ceduto alla tentazione diabolica delle ingiurie ed io, innocente vittima di un disegno divino forse troppo grande per essere compreso, dopo aver finalmente parcheggiato sono stata assaltata dal mitologico Piccione Defecatore.
Ed ecco dunque la morale: chiunque voi siate, ovunque vi troviate, dai cuneesi col cappello scampo non avrete: se male non direte attendere dovrete, se al clacson vi attaccherete sul cappotto un escremento del Puccion Defecator vi troverete.