Mr Destino

A me questa storia della predestinazione proprio non va giù, credo anzi che se incontrassi questo signor Destino per strada lo prenderei a ceffoni.
Com’è possibile che ci sia tutta questa gente in giro che come scusa per star seduta tutto il santo giorno sul divano a grattarsi il deretano dica « doveva andare così, è evidente » ?
È una brutta droga, crea più dipendenza dell’eroina e chi ci crede ciecamente secondo me è solo destinato ad essere un cretino.
Come se Jim Morrison si fosse trovato il disco di platino già nella culla saltando puntualmente le lezioni di chitarra perché tanto lui Jim Morrison c’era già nato e anche se ancora non sapeva che le note sono sette, durante una notte di mezza estate sarebbe sicuramente arrivato Mr. Destino col suo mantello nero e la sua ventiquattrore di pelle a infodergli il sapere.
Un po’ come se quando incontri per la prima volta la tua anima gemella dopo una stretta di mano vi sentiste già uno accanto all’altra nella tomba con quarant’anni di felice matrimonio e dieci nipoti alle spalle.
Certo riconosco che esista la sorte altrimenti non mi spiegherei perché quando devo andare ad una cena romantica puntualmente il cihuahua della mia vicina defechi sul terzo gradino delle scale esterne o perché quando decido di andare dal parrucchiere debbano scatenarsi delle piogge tropicali che torno a casa in gommone ogni santa volta.
Il problema è che tutto può essere destino : la vecchia che ti pesta un piede col bastone alla fermata dell’autobus, il nuovo barista figo del tuo caffè di fiducia, il perdere il treno come in quel film con Gwyneth Paltrow ; ma così non ha senso, non c’è scopo educativo anzi non c’è proprio nessuno scopo e tanti cari saluti al libero arbitrio.
La verità è che ammettendo pure che qualcosa di ”già scritto” ci sia è meglio non saperlo perché l’homo erectus, alla costante ricerca del massimo risultato col minimo sforzo, appreso che da grande diventerà il presidente del consiglio degli Umpa Lumpa, passerà il resto dei suoi giorni a sfondarsi di canne in attesa che accada ciò che deve accadere.
Un sillogismo le cui premesse sono infondate e dunque un non-sense bello e buono.
Quando incontri la tua anima gemella non è che hai fatto jackpot, non è che solo avendola conosciuta hai vinto un contratto milionario a tempo indeterminato con sei mesi di ferie pagate all’anno e otto ore di lavoro a settimana con week-end da mercoledì a domenica.
No.
L’amore te lo devi sudare, il principe azzurro può averti leggermente influenzata ma quello che hai davanti in carne ed ossa spesso può sembrare un nobile decaduto con problemi di aerofagia e il vissero felici e contenti nella realtà significa saper accettare anche quello che proprio non sopporti.
Io ci ho anche provato a crederci a questa storia, mi sono presentata ad un’esame senza aver aperto libro pensando che fosse scritto da qualche parte che io dovessi laurearmi ma l’unica cosa che ho letto è stata il labiale del professore mentre mi invitava a ripresentarmi all’appello successivo.
Io non sarò di certo Gesù Cristo ma per cortesia alzati e cammina figliolo, non è guardando Batman che diventerai un supereroe e non è partecipando da spettatore alla tua vita che inizierai a Vivere.
Ora scusami ma devo andare in palestra, ho capito che anche se è Destino che io arrivi in forma smagliante alla prova costume, se gli do una mano a questo signore di sicuro non sbaglio.

Mamma ho preso l’aereo

Una ragazza un po’ goffa e piena di valigie gesticola in mezzo alla strada cercando di fermare un taxi.
Indossa il vestito a fiori, quello che piace tanto a lui.
A vederla le si darebbero vent’anni, sarà per il suo viso innocente, sarà per quell’aria sbarazzina e i capelli mossi.
E’ agitata, come al solito è in ritardo.
Oggi però non doveva succedere, il check-in chiude alle 10:30 e non può permettersi di perdere l’aereo, non questa volta.
Finalmente un taxi accosta.
“dove la porto signorina?”
“milano malpensa grazie”
Le trema un po’ la voce mentre pronuncia quelle parole.
Un’emozione quasi impercettibile che lui, ne è certa, avrebbe notato.
Si erano conosciuti anni prima in un bar del centro quando lei, mettendosi la sciarpa, gli aveva rovesciato il caffè bollente addosso.
Erano scoppiati entrambi a ridere e non si erano più lasciati.
Una coppia di universitari come ce ne sono tante.
Belli, felici, complici.
Fino a quel 19 ottobre.
Era già passato qualche mese dalle loro lauree, stavano pensando di andare a convivere.
Lui, però, ricevette un’offerta di lavoro in svezia.
“non posso rinunciare amore, è una di quelle occasioni che ti capitano una volta nella vita.”
Casa, ottimo impiego e uno stipendio da capogiro, roba che in Italia te lo sogni a ventisette anni.
“vieni via con me” le aveva detto, ma lei a seguirlo proprio non ci pensava.
Allontanarsi dalle sue certezze, dalla sua casa, dal suo cane?
Non sopportava nemmeno l’idea di dover rinunciare ai suoi amici e ai sughi della nonna, al suo nido.
Certo a Milano abitava da sola in quanto studentessa fuori sede, ma tutti i week end tornava dalla sua famiglia.
Lui era partito.
L’aveva supplicata di seguirlo, di ricominciare da zero e farsi un’ esperienza solo loro due, solo un paio d’anni o chissà forse un po’ di più.
Tutto quello che lei era riuscita a fare era stato accompagnarlo all’aeroporto e vederlo decollare.
Non aveva avuto il coraggio di trattenerlo, sapeva che se l’avesse fatto lui avrebbe finito con l’odiarla.
Allo stesso tempo non aveva avuto la forza di partire al suo fianco.
Si erano detti le solite frasi di rito “la distanza rafforza l’amore vero, in fondo sono solo un paio d’ore di volo” ma in quelle parole nemmeno lei ci credeva.
Si sa che un rapporto è fatto anche di fisicità, di quotidianità, di silenzi eloquenti e di gesti nascosti che skype non sa rendere.
Erano passati sei mesi da quel giorno.
Un inferno.
Ogni mattina si svegliava chiedendosi cosa avesse davvero da perdere a parte lui.
La risposta era sempre la stessa: niente.
In fondo la sua laurea in economia e commercio le avrebbe permesso di poter cercare lavoro all’estero senza difficoltà.
La sua famiglia avrebbe capito ma rimaneva ancora un dubbio: e se fosse andata male?
Se lui, per esempio, l’avesse lasciata dopo poco tempo?
Era questo timore che ancora la tratteneva.
Poi la svolta.
Una mattina, dopo tanti risvegli pieni di domande, si era alzata con la risposta.
Aveva capito che il suo viaggio non sarebbe stato un sacrificare la propria vita per lui,
sarebbe stato un rimettersi in gioco con lui.
Sarebbe partita per se stessa e avrebbe avuto lui al suo fianco.
Aveva comprato il biglietto di sola andata.
“scusi quanto manca?”
Sbuffa, Malpensa sembra ancora così lontana.
Guarda nervosamente l’orologio.
“eccoci signorina”.
Paga lasciando 10 euro di mancia, “non ho tempo di prendere il resto!!!”
Corre al check-in, arriva con qualche minuto d’anticipo e le sembra un miracolo.
Mentre aspetta che aprano l’imbarco beve tre caffè e cammina avanti e indietro quasi come a fare il solco di una linea di partenza, la sua.
Finalmente chiamano i passeggeri. Sale, posto finestrino.
Trema, sorride, si commuove. quella bomba di sensazioni che ti esplode dentro quando sai che la tua vita sta per cambiare, in meglio.
I portelloni si chiudono.
Un ultimo sms prima del decollo.
Cerca tra la rubrica, compone il testo:
“mamma ho preso l’aereo”.
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