Elogio del dentifricio

In qualsiasi viaggio tra amici che si rispetti lui c’è sempre : quello col dentifricio.

Uomo previdente e dalle mille risorse, è lui che salva l’imbarazzante momento in cui tutti girovagano con uno spazzolino elemosinando non si sa bene cosa.

La mamma del gruppo, il vecchio saggio del villaggio, un uomo che sa girare il mondo o forse semplicemente un maniaco dell’ordine.

Ce lo portiamo dietro solo per questa sua essenziale funzione ?

Tutti con grandi sogni, grandi aspettative, grandi viaggi alla scoperta di noi stessi pensando di essere i nuovi Buddha e poi ci dimentichiamo puntualmente il dentifricio a casa.

Non che Buddha lo usasse, ben inteso, ma è come partire senza la voglia di lavare via il vecchio per lasciare spazio al nuovo.

Un po’ come non leggere il primo capitolo del libro di testo : pensi sempre che non ti tornerà utile fino a quando il professore, indeciso sul voto, ti chiede esattamente la terza riga del quarto paragrafo del manuale e tu ti rendi conto di essere un cretino. Come hai fatto a non pensarci ? Era una cosa così semplice, così banale, così « tanto non me lo chiederà mai », « tanto il dentifricio lo portano già gli altri » e invece scopri che ragioniamo tutti allo stesso modo e rimani fregato da quei piccoli dettagli che fanno la differenza.

Non c’è la mamma come qualche anno fa che ti piega i vestiti, ci sei solo tu e il tuo beauty case, tu e le tue responsabilità.

Mutande prese, calzini pure, quel vestito non posso non portarlo, ma questa maglia ci sta troppo bene con questi pantaloni, il mascara waterproof che non si sa mai, la canottiera che metti faccia freddo, le aspirine che io lo so già che mi sveglio col cerchio alla testa domenica mattina, un costume da bagno, la macchina fotografica, la moleskine per annotare curiosità, l’ipod per isolarsi dal mondo al tramonto, soldi per le birre. E il dentifricio ? Ma che ha fatto di male per essere abbandonato in bagno e attendervi fedele al ritorno come un labrador ? Molto bene uscire tutta truccata e ben vestita la sera ma, tesoro mio, se c’hai la fiatella non farai molta strada.

Non si può partire senza la voglia di fare un viaggio, senza essere pronti a farlo.

Se credi di voler scoprire il mondo allora conta su te stessa e non c’è nulla di filosofico, non devi fare l’eremita o quella super-indipendente-super-tutto che se vuole una mano la trova al fondo del suo braccio, no. Dico solo che devi farti da mamma, pensare ai tuoi bisogni e cercare di soddisfarli senza sperare in qualche povero cristo con un tubetto di mentadent sempre pronto, qualcuno che ti trascini in giro mentre tu passiva lasci che tutto ti scorra attorno.

Se fossi in Irene Grandi riscriverei una delle sue canzoni: prima di partire per un lungo viaggio, porta con te lo spazzolino e il dentifricio.

come un granello di sabbia

Non so se sia meglio partire o tornare.
Se sia più eccitante scoprire posti e visi nuovi o ritrovare volti amici.
Assaggiare un piatto dal gusto sconosciuto o lasciarsi riconquistare dai sapori della tradizione.
In fondo dipende tanto dal perché non ci sei, se viaggi o scappi.
Non è mica facile capire la differenza.  Io, per esempio, non saprei spiegartela.
È come partire con un bagaglio leggero pronto a riempirlo di sensazioni bellissime e momenti duri, o correre in stazione lasciando a casa una valigia troppo pesante.
Che poi è solo un’illusione, che anche se è piena di granito stai tranquillo che arriva a destinazione prima di te, come se i problemi non rispondessero alle leggi fisiche della gravità.
È dura accettarlo, voglio dire se non pesa, se non obbedisce alle leggi della natura, esiste davvero? Quanto è grande un problema?  Un metro cubo? O quanto un grattacielo?  Forse quanto un granello di sabbia che ti s’ insinua sotto la pelle e poi t’infetta, s’ infetta.
Per quanto tu cerchi di ignorarlo non è che se vai a 1000 km da casa lui sente nostalgia e ti dice “no guarda io ti aspetto qui o sai che faccio? torno da dova sono venuto ci prendiamo poi un caffè se vuoi una volta, stammi bene vecchio mio”.
No lui ha già pronti i bagagli prima che tu abbia acquistato il biglietto.
Allora, ne convieni, tanto vale toglierlo.
Certo devi riaprire la ferita e fa un male cane, se poi è tanto in profondità dopo ti danno pure due punti e capita che ti resti una brutta cicatrice, perché no in pieno volto, ma quella non è dolorosa.
Hai ragione pure tu a dirmi che se la mettiamo in questi termini non fa differenza guarire a casa davanti al camino o lontano davanti ad un pessimo caffè.
Infatti io mica volevo dirti che non devi uscire o convincerti che la tua è solo una fuga inutile, intendevo che puoi andare dove vuoi, puoi restare immobile oppure no, e potremmo discutere delle ore sul fatto che puoi restare fermo anche dall’altra parte dell’oceano così come puoi darti una mossa a dieci metri dalla casa in cui sei nato; quello che davvero sto cercando di dirti, amico, è che, ovunque tu decida di stare, l’importante è che trovi il coraggio di curarti quella brutta infezione.

Mamma ho preso l’aereo

Una ragazza un po’ goffa e piena di valigie gesticola in mezzo alla strada cercando di fermare un taxi.
Indossa il vestito a fiori, quello che piace tanto a lui.
A vederla le si darebbero vent’anni, sarà per il suo viso innocente, sarà per quell’aria sbarazzina e i capelli mossi.
E’ agitata, come al solito è in ritardo.
Oggi però non doveva succedere, il check-in chiude alle 10:30 e non può permettersi di perdere l’aereo, non questa volta.
Finalmente un taxi accosta.
“dove la porto signorina?”
“milano malpensa grazie”
Le trema un po’ la voce mentre pronuncia quelle parole.
Un’emozione quasi impercettibile che lui, ne è certa, avrebbe notato.
Si erano conosciuti anni prima in un bar del centro quando lei, mettendosi la sciarpa, gli aveva rovesciato il caffè bollente addosso.
Erano scoppiati entrambi a ridere e non si erano più lasciati.
Una coppia di universitari come ce ne sono tante.
Belli, felici, complici.
Fino a quel 19 ottobre.
Era già passato qualche mese dalle loro lauree, stavano pensando di andare a convivere.
Lui, però, ricevette un’offerta di lavoro in svezia.
“non posso rinunciare amore, è una di quelle occasioni che ti capitano una volta nella vita.”
Casa, ottimo impiego e uno stipendio da capogiro, roba che in Italia te lo sogni a ventisette anni.
“vieni via con me” le aveva detto, ma lei a seguirlo proprio non ci pensava.
Allontanarsi dalle sue certezze, dalla sua casa, dal suo cane?
Non sopportava nemmeno l’idea di dover rinunciare ai suoi amici e ai sughi della nonna, al suo nido.
Certo a Milano abitava da sola in quanto studentessa fuori sede, ma tutti i week end tornava dalla sua famiglia.
Lui era partito.
L’aveva supplicata di seguirlo, di ricominciare da zero e farsi un’ esperienza solo loro due, solo un paio d’anni o chissà forse un po’ di più.
Tutto quello che lei era riuscita a fare era stato accompagnarlo all’aeroporto e vederlo decollare.
Non aveva avuto il coraggio di trattenerlo, sapeva che se l’avesse fatto lui avrebbe finito con l’odiarla.
Allo stesso tempo non aveva avuto la forza di partire al suo fianco.
Si erano detti le solite frasi di rito “la distanza rafforza l’amore vero, in fondo sono solo un paio d’ore di volo” ma in quelle parole nemmeno lei ci credeva.
Si sa che un rapporto è fatto anche di fisicità, di quotidianità, di silenzi eloquenti e di gesti nascosti che skype non sa rendere.
Erano passati sei mesi da quel giorno.
Un inferno.
Ogni mattina si svegliava chiedendosi cosa avesse davvero da perdere a parte lui.
La risposta era sempre la stessa: niente.
In fondo la sua laurea in economia e commercio le avrebbe permesso di poter cercare lavoro all’estero senza difficoltà.
La sua famiglia avrebbe capito ma rimaneva ancora un dubbio: e se fosse andata male?
Se lui, per esempio, l’avesse lasciata dopo poco tempo?
Era questo timore che ancora la tratteneva.
Poi la svolta.
Una mattina, dopo tanti risvegli pieni di domande, si era alzata con la risposta.
Aveva capito che il suo viaggio non sarebbe stato un sacrificare la propria vita per lui,
sarebbe stato un rimettersi in gioco con lui.
Sarebbe partita per se stessa e avrebbe avuto lui al suo fianco.
Aveva comprato il biglietto di sola andata.
“scusi quanto manca?”
Sbuffa, Malpensa sembra ancora così lontana.
Guarda nervosamente l’orologio.
“eccoci signorina”.
Paga lasciando 10 euro di mancia, “non ho tempo di prendere il resto!!!”
Corre al check-in, arriva con qualche minuto d’anticipo e le sembra un miracolo.
Mentre aspetta che aprano l’imbarco beve tre caffè e cammina avanti e indietro quasi come a fare il solco di una linea di partenza, la sua.
Finalmente chiamano i passeggeri. Sale, posto finestrino.
Trema, sorride, si commuove. quella bomba di sensazioni che ti esplode dentro quando sai che la tua vita sta per cambiare, in meglio.
I portelloni si chiudono.
Un ultimo sms prima del decollo.
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“mamma ho preso l’aereo”.
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