Fu di lunedì mattina che il mondo si rese conto che la follia era fuggita.
Negli ospedali psichiatrici i pazienti risolvevano problemi di logica mentre medici e infermieri si giravano i pollici. Gli ubriaconi si diedero al the verde e gli psichiatri furono messi in cassa integrazione.
Fu di lunedì mattina che i pazzi del paese tennero conferenze di filosofia morale, che tutti smisero di comprare biglietti last minute. Le sorprese si estinsero e gli ingegneri diventarono capi di governo.
Ricordo che stavo sorseggiando il mio caffè quando decisi, d’un tratto, che il vino non l’avrei più bevuto. Andai in strada e vidi che nessuno indossava più il verde né il rosa. Nessuno aveva tacchi né profumo, le chiese erano diventate centri di ricerca di geometria euclidea.
La bellezza aveva ceduto il passo alla funzionalità e di Leonardo a scuola si studiava solo più la macchina volante.
Ricordo che tutti andammo al funerale dell’Amore solo per rispetto, come alle esequie di una persona incontrata per caso in un bar di provincia. Non ci furono strette di mano né lacrime, solo una lenta processione di cappotti grigi e calcolatrici.
Il fine settimana divenne lavorativo così come il capodanno, le perdite di tempo non erano funzionali e nessuno si domandava “funzionali a cosa?”.
Gli atleti si allevano per le Olimpiadi di matematica, le maratone furono rimpiazzate da tornei di sudoku. La parola casualità venne messa fuori legge e i libri di narrativa riciclati per pubblicare ricerche sull’origine della forza centrifuga.
Nessuno più guardava i tramonti e i pittori divennero geometri e i poeti riempitori di moduli.
Fu di lunedì mattina, se non ricordo male, che mi svegliai di soprassalto da un brutto sogno, andai in piazza e presi la mano a una pazza. Piansi fino a non avere più lacrime e la ringraziai con tutto il cuore per quel pizzico di follia che portava nel mondo.
Fu di lunedì mattina che mi ubriacai di poesia, colore e bellezza. Ricordo che chiamai il mio capo dicendo che non sarei andata a lavoro perché non ne avevo voglia.
“Lei è folle” mi rispose, “Per fortuna, a volte sì” dissi io.
#pazzia
Monologo dell’educatore.
Quanto segue è un monologo teatrale scritto a quattro mani. Parla di un educatore professionale, una figura che fa del bene a chi non si ricorda cosa significhi il bene. È un monologo che parla di matti, di chi è cresciuto troppo in fretta pur restando bambino, di persone che hanno perso la loro forza. La mia musa, Chiara, è l’ideatrice di questo pezzo, io non ho fatto altro che mettere in parole i suoi pensieri. Grazie Chiara per avermi fatto sbirciare nella tua testa riccia.
Entra in scena l’attore con una valigia nella mano sinistra, in quella destra tiene un caleidoscopio. Poggia il bagaglio a terra, si schiarisce la voce.
Ho viaggiato per mare, mi è sempre piaciuto guardare come il vento ne increspi la superficie.
Mia madre diceva che solo provando la fame si può davvero gioire della sazietà così ho pensato che… bè è solo stando nell’oceano che si può amare la terra ferma.
Sono partito pensando che ciò che mi attraeva fosse solo il mare, nient’altro. Ho poi scoperto che il vero viaggio erano le isole nascoste, quelle che a volte quasi non si vedono sulle mappe, quelle isole un po’ dimenticate, un po’ pericolose, un po’ piene di un fascino che solo i veri viaggiatori sanno apprezzare.
Ci sono così tante isole diverse che non basta una vita intera per scoprirle tutte. Ad esempio, all’incirca tra il Polo Sud e il Polo Nord, ce n’è una dove si sta sempre in silenzio.
Zittisce il pubblico.
Shhhhhh, non parlare, non parlare. Tutti zitti, ognuno nel suo spazio, guai a te se lo invadi. Ogni persona è uno Stato a sé, tiene tutto dentro. Shhhh fai piano. Non parlare, non toccare, puoi solo guardare.
Lì ho capito perchè diciamo che gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Canticchia “tu prova ad avere un mondo nel cuore”… e saperlo esprimere anche senza parole. Perchè se scavi a fondo, dietro le ciglia, dietro la paura, dietro le pupille giù in fondo fino all’anima, bè ci trovi un mondo. Ho messo nella mia valiga un po’ di quel silenzio, ho insegnato loro la bellezza di un sorriso.
Ma voi lo sapete che esiste un’isola dove ci sono dei fiori bellissimi, dei fiori così belli che se per caso provi ad annusarli il tuo cervello diventa una lucina di natale, di quelle intermittenti? E tutti gli abitanti quel fiore l’hanno annusato eccome.
Che ci frega di avere delle sinapsi perfette se ci è negata la bellezza?
Ho dato loro delle mascherine per proteggersi dal polline, ho prestato attenzione solo ai momenti di luce, dimenticando i loro bui.
Ho incontrato una donna che piangeva in un angolo, e già questo è strano visto che la sua isola era tonda.
Aveva paura degli elefanti, ma non vedeva che intorno a lei c’erano solo foche. Piangeva piangeva piangeva e dio solo sa quante delle sue lacrime adesso fanno parte di me, le ho messe in una bottiglia qui nella mia valigia. Mi si è stretto il cuore, mi si è strettA al cuore così forte che per un breve lunghissimo istante ci siamo fuse insieme e anch’io ho visto gli elefanti, e anche lei ha visto le foche.
Mi sono spogliata dei miei abiti quando ho incontrato una ragazza nuda. Stava ferma immobile al freddo ed era nuda. Mica lo senti il freddo quando pensi di avere il ghiaccio nel cuore, quando ti spengono il fuoco dell’anima.
Ho raccolto la poca legna che ho trovato, sono stata una modesta scout dopo tutto. Ci siamo impegnate, abbiamo sofferto, ci siamo aperte le mani a forza di sfregare e poi tutto d’un tratto eccola. Eccola lì, la scintilla che si accende, il calore che ti penetra implacabile dentro le ossa e tu sì, capisci di essere ancora vivo perchè un fuoco, se sai sfregare i legnetti, si accende sempre.
Io il mio viaggio l’ho fatto e per quante tempeste abbia incontrato, per quante giornate senza vento ci siano state, per quanti porti difficili io abbia visitato, ecco io ripartirei domani se potessi. Rifarei tutto da capo, mi godrei il silenzio e gli sguardi di chi non sa parlare con la bocca, gli elefanti che ci travolgono la testa, i bui della mente umana e il freddo, il freddo glaciale di chi non ha più nulla, di chi non ha mai avuto nulla. E ripartirei da capo per vedere tutti sorridere, per donare loro nient’altro che luce, per imparare da loro la felicità che non hanno mai conosciuto. E vedi questa valigia non ha quasi nulla al suo interno perchè in fondo nessuno ha ancora capito come si possa imbottigliare un sorriso, un’emozione.
Prende il caleidoscopio e lo porta davanti all’occhio.
Verde rosso blu giallo indaco arancione bianco. Bianco arancione indaco giallo rosso verde. Un naso un braccio una bocca l’orecchio sinistro. Ti devi avvicinare per vederlo.
Lo allontana un po’.
Ecco adesso non c’è nulla, solo grigio. È che in fondo, io credo, in fondo le persone per guardale nella loro meraviglia mica puoi tenerle lontane, ci devi andare dentro, scavare, amarne i colori, ogni singola sfumatura di blu. Come questo caleidoscopio no?
Guarda nel caleidoscopio.
Solo se ci ficchi bene contro la pupilla allora si rivelerà, altrimenti cosa vale? Nulla. Ecco il mio viaggio, ecco la mia vita. Io ricerco costantemente l’amore per quel puntino rosso, quello che vedi proprio solo da pochi centimetri di distanza. Io viaggio tra le isole perché ognuna è diversa, perché ognuna mi costringe ad approdare in porti difficili facendomi scoprire che, in fondo, so essere un discreto marinaio.
Raccoglie la valigia da terra. Esce.
“L’educatore professionale in Italia è l’operatore sociale e sanitario che, in possesso della specifica laurea di I livello e dell’ abilitazione, attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato da un’equipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà.
L’educatore professionale rientra nel novero delle professioni sanitarie della riabilitazione assieme al Logopedista, al Fisioterapista, al Terapista Occupazionale, al Terapista della Neuro-Psicomotricità dell’età evolutiva, al Podologo, al Tecnico di Riabilitazione Psichiatrica e all’Ortottista ed assistente in Oftalmologia.”
Fonte http://www.wikipedia.it