Fiocco A Collo

Non c'è arte nel decifrare l'anima da un volto

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Promesse SPA

settembre 18, 2017carlottamarengo Lascia un commento

Ti ho pensata una domenica mattina. C’è chi sfoglia album di famiglia, chi impasta gli gnocchi. E poi ci sono io, io che una domenica mattina ho pensato a te.

Ti ho rivista accendere i fornelli con quel tuo sguardo da bambina. “non è bella la scintilla? Certo, non abbiamo un camino, ma mi basta un fornello per immaginare un falò”.A me è bastato guardare il letto vuoto per immaginare te.

Chissà dove finiscono le promesse lanciate nel vento, chissà se sono nel letto del fiume insieme ai sassi dei bambini. Chissà se arriva la cicogna a prendersele o se ci pensa la fatina del dentino. Che mica possono starsene davvero nel vento le promesse non mantenute, che mica ci respireresti in un aria così pesante. Te lo immagini? Esco a prendere una boccata d’ansia. Ah, questa è decisamente quella volta in cui promisi a mia madre che non avrei più detto parolacce, oh guarda, ecco quella volta che avevo giurato di non bere più. Forse domenica mattina ho respirato il nostro per sempre. Sapeva ancora delle tue sigarette.

Magari esiste un archivio, tipo un’isola nel Pacifico. “Promesse SPA, società per amareggiati”, magari con un motto “archivio promesse, un tempo solide realtà”. Magari con un’impiegata con la erre moscia di quelle stridule e quella parlata snob di chi ti risponde sempre come se ti stesse facendo un favore.  Che poi a ben pensarci avrebbe pure ragione, deve essere deprimente avere a che fare solo con gente come me. Chissà se su quell’isola è tutto come in Peter Pan, se sulle bianche spiagge del Pacifico ancora ci amiamo. O forse le nostre promesse se ne stanno relegate in uno spazio appena più grande di quello che gli lasciamo dentro al cuore. Chissà se le onde che infrangono quelle scogliere fanno più male delle mie assenze.Magari le ho mandate io quelle promesse in quell’archivio, magari quel per sempre io lo sapevo che valeva solo un attimo ma è che io, in quell’attimo, ci crederò per sempre. E magari a poco a poco ci ho mandato una discussione, un silenzio, una piccola indifferenza.

Ma sono tutte frottole, io non ci credo a queste cose, tu lo sai.

Le promesse finiscono nel vento, è ovvio. Tu le stringi nelle mani e poi arriva il Maestrale, prima a poco a poco, poi tutto in un colpo. È così che mi sei scivolata tra le dita. È così che ti ho sentita nelle narici una domenica mattina.

Ma non preoccuparti, ho acceso il caffè per coprire il tuo profumo.

Illuminami il cuore.

settembre 16, 2016carlottamarengo 1 Commento

Il vento fa volare i miei vestiti come se non pesassero, come se in mezzo al mare la gravità seguisse regole tutte sue. Non mi piacciono i traghetti, sai nonna? Non mi piace questo viaggio in cui manchi tu. Sul ponte mi appoggio al parapetto e il ragazzo che fuma alle mie spalle si muove impercettibilmente, ha paura. Non preoccuparti, voglio solo vedere la schiuma bianca.
Tra questa creuza de mar cerco il tuo sorriso nonna, chissà quante volte hai solcato questo centimetro di mare, chissà quali segreti hai lasciato andare sul fondo. Guardo l’orizzonte e nonostante sia notte fonda una linea sottile divide un mare nero da questo cielo limpido. T’immagino camminare su quella linea in punta di piedi, in bilico tra i tuoi diari e i miei ricordi. Il ragazzo che fumava è rientrato, forse ha capito che sto solo prendendo un po’ di vento, forse mi ha lasciata in custodia a quella giovane coppia appena arrivata, forse mi sono immaginata tutto.
Ma tu dimmi Nonna, qualcuno ha mai capito perché ci si confida più con le persone da morte che da vive? Una specie di giudizio divino che forse non ci tocca veramente o forse è purificato sì, perché non posso guardare i tuoi occhi mentre ti parlo. O forse perché le parole non abbandonano il mio corpo, rimangono intrappolate in qualche cellula del pancreas, in qualche millilitro di bile. Non mi sono mai piaciuti i traghetti, ti portano verso isole felici eppure trasudano tristezza. I camerieri hanno uniformi sgualcite e denti marci, gli ufficiali con le loro divise bianche stonano con tutto quell’ottone che c’è a bordo come pinguini in uno zoo. Al bar c’è chi si scola bottigliette di prosecco sperando che impedisca agli occhi d’inumidirsi. Qualche vecchio sbraita per una brutta giocata a scopa ma nei suoi occhi si legge la tristezza di chi ha non ha più nulla per cui valga la pena arrabbiarsi.
Esco sul ponte e un cane piscia incurante dei ragazzi che si siederanno su quella pozza quando il sole l’avrà seccata. C’è così tanto vento che mi sembra di essere stretta in un tuo abbraccio, l’aria è calda e profuma di te. Non preoccuparti nonna, ho messo il maglione per non avere freddo. Sarà che da quando non ci sei più il freddo lo sento davvero, anche sulla pelle.
Tirarmi una sberla. Una sberla in pieno volto, forte, così forte da farmi sanguinare il naso. E poi un’altra per essere sicura che abbia sentito il dolore e quel ciaf assordante nel timpano. Così sarei punita per quel senso di colpa che nascondo sotto le scarpe e mi toglierei quei massi che sento ad ogni passo. Una sberla per togliere via coi palmi della tua mano le lacrime che scendono. Chiedimi se adesso sono sveglia e cantami ancora una volta Volare per esserne sicura. Che destino beffardo quello di chi cerca la morte per rivivere e chi muore un po’ vivendo. Posati ancora sulla mia spalla come una farfalla impalpabile e dimmi che tutto andrà bene, che tutto passa come il caffè nella moca la mattina. Spingimi se mi fermo e fermami se corro troppo. In questo blu dipinto di blu cerco ancora il tuo sorriso nonna e il mio sguardo si ferma su una stella luminosa, illuminami il cuore.

La teatrante.

Maggio 4, 2016Maggio 4, 2016carlottamarengo 2 commenti

Ciao, disturbo?

È tardi lo so ma volevo farti i complimenti. Ho avuto modo di osservarti sul palcoscenico e devo dire che sei un’attrice straordinaria, le tue interpretazioni sono così naturali che quasi ci si dimentica di essere a teatro. La passione che metti nei tuoi sorrisi, nei tuoi pianti e nelle tue risate è impareggiabile, sembra che ti esca dritta dal cuore e non da anni di esercizio. Mi hai veramente impressionato, grazie. Se posso fare un piccolo appunto, se posso proprio spaccare il capello in quattro, cercare l’ago nel pagliaio, il pelo nell’uovo, il centimetro di nube in un cielo terso, ecco, se posso, ti direi che usare il mio cuore da palcoscenico non è stato così piacevole.

Perché vedi io non so tirare il sipario, non so applaudire e poi uscire dalla porta principale, non so tornare alla realtà se nella realtà credevo già di esserci. Perché quando il tuo spettacolo finisce non mi rimane che chiedermi se almeno i tuoi orgasmi erano veri o se lo richiedeva il personaggio, se tu l’amore sai almeno che esiste fuori da un copione.
Ma come fai a scrivere semplicemente un altro nome, ma come fai a voltare pagina come con libro sfogliato in autogrill? Insegnami ti prego, insegnami perché io sono ancora qui a leccarmi le ferite ma sto finendo la saliva. Dimmi come fai a chiudere un cassetto e dimenticarti la foto che ci hai nascosto, dimmi come fai a non averla stampata davanti al tuo bel muso come faccio io. Dimmi come fai a far innamorare senza innamorarti mai, ad avere le scintille negli occhi e il buio nel cuore.
Se solo tu ti amassi un po’ di più, se solo non cercassi nell’amore degli altri l’amore per te stessa forse non scapperesti così in fretta, forse ti siederesti con calma a cercare il buono dietro le urla.
Sei salita sul mio cuore senza chiedermi il permesso, ci hai montato una piccola pedana e hai iniziato a recitare il tuo copione, mi hai sorriso per sentirti dire che sei bella, hai scoperto le gambe per farti amare un po’ più forte, mi hai confidato vecchie ferite per conquistare la mia fiducia, hai detto che mi amavi solo per sentirti dire che io senza di te il vino lo trovo meno buono, hai detto per sempre intendendo per ora e quando l’ora è arrivata hai fatto un inchino sperando ti lanciassi delle rose. Hai detto che il tempo era esaurito, che di questo spettacolo vi era un solo atto senza intervallo, senza possibilità di replica.
Ma tu che vai di palco in palco hai mai pensato che il fallimento è parte dello spettacolo ma non è abbastanza per chiudere il sipario? Ma tu che vai recitando hai mai visto il volto dietro la tua maschera? Ma tu che sai essere chi vuoi hai mai desiderato essere te stessa? Hai mai avuto il coraggio di ascoltarti, ascoltarti per davvero, senza un pubblico adorante?
Tu dici di cercare l’amore ma reciti monologhi, tu vuoi essere la protagonista ma non accetti altri attori, solo spettatori. Tu che arrivi, punti le luci, apri il sipario, vai in scena e se si alza la voce fuggi in camerino, fuggi verso un altro teatro, tu non ti rendi conto di essere sola, non capisci che per quanto forte possa essere un applauso nessuno risponderà mai alle tue domande perché tu, su quel palco, non lasci entrare nessuno, nemmeno chi nascondi dietro il tuo bel musino. Mi chiedo se almeno tra un teatro e l’altro, tra una fuga e l’altra, tu abbia il coraggio di fermarti a conversare con te stessa, di studiare la tua anima che, fidati, sarebbe il tuo miglior personaggio. Adesso che chi ti applaude non sono più io, adesso che posso solo ricordare lo spettacolo che sei, ti auguro un’esibizione senza pubblico e di ricevere l’applauso di cui hai più bisogno: il tuo.

Carlo e la nebbia.

novembre 18, 2015carlottamarengo Lascia un commento

Caro Babbo Natale,

ti scrivo un po’ in anticipo quest’anno, scusa.

Il fatto è che il mio compleanno è già passato e non ho candeline alle quali chiedere un desiderio. Ma è vero che ogni candelina è magica? E se soffio su sette candeline posso esprimere sette desideri? Perché se è così al prossimo compleanno chiederò di avere novant’anni per poter esprimere novanta desideri.

Scrivo a te perché a Gesù bambino non credo. Cioè non è che non ci credo, è che la mamma mi ha detto che Gesù è una cosa da grandi e devo diventare grande prima di capire se ci credo o no. Devo dirti, caro Babbo Natale, che non mi sono mai chiesto se esiste per davvero questo Gesù, io al parco non l’ho mai incontrato e ci vado tutti i giorni a portare Willy, il mio cane.

Ti scrivo, Babbo Natale, perché ho paura.

Oggi a scuola la maestra ci ha raccontato che siamo in guerra. Ero così felice, io ci gioco sempre alla guerra. Mi metto il fango sulle guance e sparo con le mani. Le mie mani sparano, sai? Fanno “pum pum pum” velocissime, è bellissimo. Ci gioco anche alla playstation, uccido i cattivi sullo schermo fino a che non vinco. Non vinco sempre, però. Così ho chiesto alla maestra se alla guerra ci giocavamo in giardino o alla playstation ma lei mi ha detto che non si giocava. Ha detto che degli uomini cattivi hanno fatto del male a degli uomini bravi e che gli uomini bravi adesso vanno a fare del male ai cattivi per insegnargli che non si fa del male. Io non ho capito, non si possono parlare? Perché un buono deve diventare cattivo per dire al cattivo di fare il buono? Ma come si fa a riconoscere un cattivo? Secondo me ce l’hanno scritto sulle magliette come quel cattivone di Mattia che mi ruba sempre la merenda, lui ha la maglietta “cattivissimo me”, non puoi sbagliarti. Ma io a Mattia non rubo la merenda per dirgli che non deve rubarmi la merenda, gli dico di non farlo più, che è mia. Gliene do un pezzo se me lo chiede per favore. Lo giuro.

La maestra ha detto che questi cattivi spaventano i buoni e ci ha chiesto cos’è secondo noi la paura. Secondo me la paura è come la nebbia nel parco. Guardi l’altalena e di colpo tutto diventa bianco, io lo so che l’altalena è davanti ma non la vedo, ci sono le nuvole. La mamma però mi ha insegnato che quando c’è la nebbia basta contare fino a mille e poi arriva il Sole. Io però non so contare fino a mille ma è vero che arriva il Sole.

Non possiamo parlare con questi cattivi? La maestra ha detto che questi cattivi sono sordi, che non si può parlare perché non sentono neanche il rumore degli spari, il “pum pum”. Come se sparassero sempre per sentire nel cervello il “pum pum”. La maestra ha detto che questi cattivi, gli jihadisti, sono bugiardi. Perché prendono un libro molto bello come il Corano in cui c’è molto amore e lo trasformano in odio. E sono bugiardi perché gli jihadisti dicono di sapere la verità sul Corano, ma a me il Corano sembra un libro bello. La maestra ha detto che questi cattivi uccidono i loro fratelli, ne hanno uccisi più di tantissimissimi.

La maestra dice che è una guerra contro la paura, perché così né io né la mamma dobbiamo avere paura dei super cattivi perchè adesso hanno ucciso a Parigi, fuori dalla playstation.

Adesso tutti abbiamo paura, anche Alessandro che non ha mai paura nemmeno dei ragni. Adesso siamo tutti nella nebbia e non vediamo l’altalena. Ma la nebbia non se ne va se faccio “pum pum” con le mani. Così, Babbo Natale, posso chiederti un regalo? Puoi contare tu fino a mille che io non sono capace e fare uscire il Sole prima che qualcuno faccia pum pum con le pistole vere? Io non voglio avere paura, io voglio il Sole. Vorrei, volevo dire vorrei. L’erba voglio non esiste neanche nel giardino del Re dice sempre la maestra. Ma io il Re non l’ho mai visto e neanche il suo giardino.

Carlo

 

pic by Jam Cermelj (jancermelj.com )

In una bolla di sapone

novembre 9, 2015carlottamarengo 3 commenti

Io una volta ci son stata dentro una bolla di sapone, giuro. Sono stata dentro una bolla di sapone per settantadue ore.

Ricordo che ero a casa mia quando mi hai chiamata. “Partiamo” mi hai detto “scegli tu dove, basta partire”.

Ora si potrebbe pensare che sia totalmente irreale, frutto esclusivo della mia fantasia. Ma giuro di no e lo giuro con le stesse dita che hanno sfiorato il mappamondo fino ad indicare il punto esatto del nostro viaggio: la bolla di sapone.

Ti ho aspettato un paio d’ore in aeroporto, tu arrivavi da lontano. Abbiamo preso un taxi e siamo arrivati in città, in quella città di cui non ricordo il nome, non mi importava molto dove fossimo e forse nemmeno a te. Un panino al volo, una bottiglia di champagne per festeggiare e siamo andati in albergo. Io me lo ricordo quell’albergo.

Solitamente nelle fiabe ci si aspettano lenzuola di lino francese, tappezzeria color pastello e una vasca da bagno coi petali di rose. Ma questa non è una fiaba e noi, ammettiamolo, eravamo in una pensioncina modesta. I padroni erano accoglienti e c’era quel cagnolino bianco ad accoglierci. Credo fosse un terrier.

Abbiamo fatto l’amore così tante volte che non basterebbero le dita delle nostre mani per contarle. Abbiamo fatto l’amore così tante volte che ci siamo dovuti sciogliere i piedi intrecciati prima di addormentarci. Io non ho dormito molto quella notte. Ho sognato guardandoti dormire. Lo sai che sorridi mentre dormi? Mio padre lo chiama il sonno dei giusti, quel sonno profondo e rilassato di chi non ha nulla da temere, di chi non ha mostri sotto il letto.

Al mattino il tempo si è fermato. Scivolavamo piano e tu tremavi sotto le mie dita ed io non sentivo il ticchettio dell’orologio ma solo il tuo respiro dentro il mio. Ho chiuso gli occhi e hai chiuso i tuoi, ci annusavamo come amanti accecati dalla tenerezza. Abbiamo bevuto te nero in tazze di porcellana e mangiato tutti i dolci del mondo. Siamo andati al mercato delle pulci e mi hai regalato un frullato arancione. Era buonissimo, non te l’ho mai detto. Ci siamo scoperti l’anima sopra un ponte nel centro città, tu mi hai mostrato quella cicatrice ed io l’ho sfiorata con le labbra che ancora sapevano di pompelmo.

Non abbiamo cenato, avrebbe rubato minuti a quel tempo che da qualche parte continuava a scorrere ignorando i nostri sorrisi. Sarà che il tempo entra a fatica in una bolla di sapone, sarà che l’orologio l’avevo lasciato in valigia. Passeggiavamo nudi eppure avevamo i cappotti, ci siamo scaldati il cuore con meno dieci gradi.

Abbiamo rifatto l’amore fissandoci le pupille che si dilatavano, sentendo l’elettricità che ci inarcava le schiene. Mi hai detto che ero bella con la purezza di un bambino, quella bellezza che abbraccia la mente prima del corpo. Ti sei addormentato respirando il mio profumo e mi sono addormentata in quello spazio nel tuo collo che mi ha accolta come porto durante una tempesta.

Grazie. Dico grazie perché sai che un lieto fine non esiste e non si ringrazia che alla fine. Credo sia stato quando ho rimesso l’orologio al polso, credo sia stato quando ho sentito il mio aereo che stava per decollare, credo sia stato quando ci siamo rivestiti ma eravamo ancora nudi. Forse è che le bolle di sapone sarebbero meno affascinanti se non scoppiassero, se durassero più di un battito di ciglia. Siamo scesi dall’aereo, io a casa mia e tu chissà dove, siamo tornati allo smog delle nostre città, al telefono che suona e a quel ticchettio dell’orologio che ora sopporto un po’ meno. Siamo tornati come gocce di sapone che si schiantano sull’asfalto perché non potrebbe essere altrimenti, il sapone non è fatto per volare. Ecco, volevo solo dirti grazie perché noi, anche se per un niente, abbiamo volato. Ed è stato infinito, è stato fine senza inizio. È stato semplicemente fuori dal tempo e nessuno mi ci aveva mai portata.

Il tempo dei limoni.

ottobre 6, 2015carlottamarengo Lascia un commento

“Ciao”

Ciao, ti amo. Ti amo. L’ho già detto che ti amo?

“Ciao”

Diglielo, dai diglielo. Ti amo.

“Come stai?”

Adesso qui al tuo fianco anche i miei capelli stanno meglio, anche il mio dito ha smesso di pulsare.

“Tutto nella norma, tu?”

Che risposta originale, roba da Nobel per la letteratura.

“Ma si dai tutto bene, solite cose. Lavoro, casa, amici.”

Lavoro? Che lavoro fai? Era quello che sognavi da piccola? Volevi diventare un’astronauta, no? Poi una cantante, una ballerina, una viaggiatrice professionista. Ti piace la tua vita? Al mattino sorridi o ti asciughi le lacrime secche della notte? Dove abiti? Posso venire a casa tua? Fammi salire, dai. Non senti che mi trema anche la voce nella testa? Se ti guardo intensamente riesci a leggermi nel pensiero? Non che ci sia nullo di scritto, forse è meglio chiederti se riesci a sentire i miei pensieri. Ci riesci? Non credo, siamo ancora qui a fissarci come se nulla fosse. Baciami. Se riesci a sentirmi baciami adesso. Chiudo gli occhi eh. Dai. Forza. Baciami Chiara, baciami maledizione. Lo sai che non vado a ballare in discoteca perché nemmeno in pista riesco a fare il primo passo. Ok, ok non nemmeno tu sei così coraggiosa. Ci penso io.

“E i tuoi viaggi? Viaggi ancora, vero?”

“Di tanto in tanto, non ho più molto tempo adesso che lavoro.”

Vieni con me, ti porterò in cima al mondo e poi dritti fino al centro della Terra. Per stasera però accontentiamoci di casa tua. Andiamoci adesso, andiamoci di corsa. Fuori c’è il temporale, ci ammaleremo di sicuro. Meglio, domani staremo tutto il giorno nel letto e ti terrò per mano anche quando avrai il moccio dal naso. Il nostro sigillo d’amore sarà il paracetamolo. Se riesci a sentirmi, prendimi per mano. Te la sto tendendo, vedi? Ok non te l’ho proprio tesa, ma il mio palmo è rivolto verso di te. È un segnale inequivocabile. Anche le punte delle mie scarpe ti guardano, capisci che il mio amore è più evidente di… non lo so inventala tu una metafora, io sono troppo preso dai tuoi occhi blu. Indosserai questo vestito per il nostro primo appuntamento? Lo ammetto, spero che tu non indosserai nulla. No, nemmeno le cinque gocce di Chanel numero 5, voglio sentire la tua pelle selvaggia. Adesso ti bacio io. Ora. Sei pronta? Chiudi gli occhi mi raccomando.

“Ah, mi spiace.”

Complimenti. Un coraggio degno di un pappagallo cardiopatico. Forse per stamparle un limone da guinness dei primati mi servono più Guinness. Voglio una scena da film con tanto di applauso della folla. Baciala. Baciala. Che problema ha adesso il mio sistema nervoso? Il mio pensiero non si trasforma in azione. Chiamate un neurologo, forza. Dicono che per alleviare l’imbarazzo sia meglio immaginarsi l’interlocutore in mutande. No, non è questo il caso. Magari sono di pizzo. Smettila. Almeno invitala a bere. Ok devo avere sicuramente qualche problema di personalità, mi do ordini da solo interza persona. Forse è proprio questo il mio problema, mi controllo troppo. Più limoni meno sermoni, avanti. Credo di avere la bocca semi aperta. Penserà che sono un coglione, non avrebbe tutti i torti. Dio, lei invece ha una bocca perfetta. Ok adesso non abbassare lo sguardo, non farlo o passerai per uno sfigato e magari pure maniaco. Da quanto sono in silenzio? Forse nei pensieri funziona come nei sogni tipo che un secondo dura un’ora. Spero sia così. Adesso la invito a bere, deciso. Adesso. Forza. Adesso. Gianni Morandi motivami tu.

Uno, due, due e un quarto, due e trentacinque. No, era l’una e trentacinque circa il titolo.

Forza.

“Anche a me. Ora vado, buona serata Gianluca.”

Non le piaci, è evidente. Lei vuole un uomo forte e sicuro, s’intuisce da come muove le mani. Cerca un compagno avventuroso, divertente, intelligente e mai scontato. Lei cerca un’ostrica con tanto di perla, tu sei platessa surgelata. In un discount. O forse ti sta mettendo alla prova. Sì è un test, è palese. Ti mette alle strette per vedere se alla fine hai il coraggio d’invitarla fuori, di contarle i denti con la lingua.  Allora lo faccio. Sono anni che la osservo, la studio, la amo. Chiara, dai Chiara avvicinati. Lo so che mi senti. Stasera butto giù la mia timidezza insieme ad un bicchiere di vino rosso, ti prendo per i fianchi e ti annuso l’alito. Immagine senza dubbio ermetica con molti dubbi erotica. Sai, sei più bella di un gol al novantesimo. Sei bella come un gol all’incrocio dei pali in finale di Champions. Al novantaduesimo. E questa sera, dopo tutto questi anni di voglia di baciarti mascherati con saluti indifferenti, stasera segno. Fallo adesso, Gianluca, adesso. Il quarto stato che sale al potere, gli ultimi che saranno i primi, gli asini che volano alti nel cielo. Usciremo e ci saranno i gatti che fumano, le nuvole saranno in terra e la terra sarà in cielo così che cammineremo a testa in giù perché avrò ribaltato il mondo, almeno il mio di mondo. Dai Gianluca, sei più gasato di una bottiglia di Badoit, sembri uno di quei santoni motivatori. Forza. È il tuo momento, io mi faccio piccolo piccolo, stacca il cervello e accendi quella dannata lingua.  

“Buona serata anche a te, Chiara.”

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