Sistema binario

Ti ho visto quel giorno, eri sul vagone di fronte al mio. Pazzesco no, abbiamo condiviso così tanto e adesso tu sei a pochi centimetri da me, due finestrini ci separano ma io posso guardarti negli occhi.

Tra poco scatterà il bip e tu andrai avanti e io andrò indietro.

O forse sarà il contrario.

Abbiamo condiviso così tanto, siamo stati così a lungo nella stessa stazione e adesso, adesso che dobbiamo muoverci andiamo in direzioni opposte. Forse che, presi com’eravamo a scavarci l’anima, non abbiamo visto che eravamo su due banchine diverse? Forse che non ci siamo mai davvero incontrati, mai davvero sfiorati. Io da una parte e tu dall’altra.

Ci sono i binari di mezzo, è impossibile capisci?

Ma nessuno ha pensato di non salire su quel maledetto treno, nessuno ha pensato che se solo fossimo tornati indietro di qualche gradino saremmo potuti uscire da quella stazione mano nella mano.

Sono passati diciotto minuti, diciotto. Lo sai che normalmente si aspetta molto meno.

Forse i macchinisti lo sapevano, forse ci spiavano dalle telecamere come una casalinga avida guarda le soap opera. E forse ci han creduto fino all’ultimo, hanno tifato a gran voce perché non fossero solo i nostri sguardi ad intrecciarsi, perché anche le nostre mani potessero accarezzarsi, accarezzarsi per davvero. E invece siamo un film con un finale deludente,  un colpo di scena tagliato nel montaggio, una porta scorrevole che si chiude senza portone.

Così adesso sono qui e ti osservo dal finestrino e sembra quasi di sentire il tuo odore, ma sicuramente è il sudore del mio vicino ad annebbiarmi la mente. Così adesso prenderò un caffè alle macchinette e so che lo farai anche tu, un surrogato di quello al bar sulla piazza che mai prenderemo.

E mi sembra di riuscire a capire chi dice di essere impotente, chi vorrebbe con tutto se stesso una cosa e poi rimane fermo con lo sguardo vitreo prendendosela con se stesso ma continuando a rimanere fermo.

Siamo saliti su due vagoni diversi e siamo più vicini di prima, non ci sono più i binari a separarci. Siamo saliti su due vagoni diversi e siamo più lontani che mai, tu andrai a est e io a ovest. Tu vedrai il sole prima di me, la notte scenderà dopo sopra di me. Ma la notte forse non sarebbe scesa mai se ci fossimo incontrati, incontrati per davvero.

Tu mi guardi come a dire che non torni mai indietro, io ti guardo come a dire che forse saremmo andati avanti insieme.

Lo senti quel bip così forte, così insistente ora? Non ti ricorda il suono di quella macchina che monitora i battiti cardiaci, di quella roba che adesso, guardandoti, proprio non ricordo come si chiami. Quella roba che fa un rumore insistente giusto prima che il tuo cuore si fermi, giusto prima che le porte si chiudano. E non è così diverso, la macchina del cuore, le porte di un vagone, sempre un bip è. E non è così diverso, il treno verso ovest, il treno verso est, sempre alla stessa fermata s’incontrano. E quel bip mi ferma il cuore, e quel treno mi allontana da te. Eppure siamo stati impotenti, il mio cuore si è fermato, le mie gambe non hanno fatto dietro front.

Così vado avanti, qualche battito in meno, qualche fermata in più e mi chiedo se incontrandoti di nuovo per un caso non fortuito riuscirò a venirti incontro, riuscirai ad accarezzarmi il viso.

Adesso mi giro, ho un senso di nausea. Sai quando tu sei su un treno fermo e quello accanto a te si muove ed è tutto relativo, e ti senti andare avanti mentre invece sei fermo, e ti senti senza appiglio con lo stomaco in rivolta. Adesso mi giro, sei già ripartito.

Ti sposo ma nulla di serio.

Ho deciso che ti sposo, stai tranquilla non è nulla di serio.

Ti sposo ma voglio che sia leggero come i tuoi vestiti di seta. Dire che è una cosa seria mi fa subito intristire, mi farebbe sentire uno di quei pinguini in giacca e cravatta sempre dritti con la schiena, sempre bassi con lo sguardo per non inciamparsi nelle loro scarpe di vernice.

Ho deciso che ti sposo per come muovi le mani quando ti arrabbi, che io mica riesco ad arrabbiarmi davvero con te che disegni nell’aria.

Ho deciso che ti sposo per come mi stringi quando facciamo l’amore, per come afferri la mia anima e la tieni al sicuro.

Ho deciso che ti sposo perché se c’è una cosa che voglio fare nella vita è contarci le rughe una ad una come stelle a San Lorenzo.

Ho deciso che ti sposo perché non trovavo una scusa plausibile per regalarti un anello uguale al mio. Sai quelle cose un po’ infantili tipo il braccialetto dell’amicizia, ecco una cosa del genere. Puoi metterlo dove vuoi, anche nell’alluce destro se ti va, l’importante è sapere che io e te avremo qualcosa di uguale ed unico al mondo. Che a ben pensarci è una contraddizione ma non è che sia famoso per la coerenza.

Ti sposo ma non è nulla di serio, nessuna gabbia e nessun limite, voglio essere libero di amarti ed essere amato.

Ti sposo perché alle feste mi diverto da morire e faremo una festa enorme con amici, parenti ed una piscina di vino bianco.   

Con gli anni ti tingerai i capelli per paura di vederli ingrigire e io sicuramente non avrò mai il coraggio di dirti che quando ti guardo io ci vedo tutti i colori dell’arcobaleno.

Ti sposo perché sono sicuro, sicuro di voler passare il resto della mia vita libero insieme a te.

È solo che mi è rimasta quella paura un po’ infantile, quelle cose che la mamma esce per fare la spesa e tu vai nel panico pregando perché torni e alla fine lei torna sempre. Ecco io voglio guardarti negli occhi e sentirmi dire “sì”, perché quel sì vorrà dire che entrerai ogni giorno dalla porta principale con il latte e due baguette ancora calde. Tranquilla, io ti starò aspettando con due calici di vino francese.

E vedi bene che sono ancora un po’ bambino, che ho ancora delle paure dietro ai muscoli e lo sguardo da duro.

Ti sposo ma non è nulla di serio perché la verità è che lo faccio perché se non avessi il tuo sorriso il cuore mi batterebbe un po’ più lentamente.

Così ti sposo per vederti sorridere giorno dopo giorno e capisci anche tu che non può essere nulla di serio, perché l’unica cosa seria del nostro matrimonio è che io ti amo, ma ti amo col sorriso.

E penserai che sono un po’ sciocco, un eterno fanciullo e per darti ragione, perché qualche volta la ragione ce l’hai anche tu, ti lascio un bigliettino al fondo di questa lettera e barra pure la casella che vuoi, sai che sono estremamente democratico.

Fai con calma, ti aspetto in cucina.

daje

 

Amore la benzina è finita.

Ti ricordi quella volta in autostrada? Ma sì, quella volta che per un soffio siamo riusciti ad arrivare al distributore di benzina,  quella volta che stavamo andando al mare e per poco non abbiamo passato la vacanza in un carro attrezzi. Ecco, è lì che ho capito che l’amore non è come un serbatoio di benzina.

Com’è che andavamo ai cento all’ora, prima al mare poi in montagna poi ovunque nel mondo l’importante era stare insieme e adesso, adesso ci chiamiamo “amore” solo per abitudine? Com’è che prima mi mancava il respiro se non ti vedevo per tre giorni e adesso mi dà fastidio se mi sfiori nel sonno?

Ti ricordi i miei occhi prima che tutto si spegnesse? Ti ricordi quella scintilla tanto forte da illuminare la stanza? Ti ricordi quando passeggiavamo per ore parlando di tutto e poi di nulla, che tanto contava solo tenersi stretti per mano?

Ma dov’è finito tutto quell’amore? L’hai nascosto tu da qualche parte? È fuggito nella notte come l’amante di una sera? Non ha lasciato nemmeno un bigliettino, nemmeno un numero o un indirizzo per rintracciarlo.

O forse il nostro amore è stato come la benzina della macchina e noi ce ne siamo accorti quando ormai la riserva era finita. E adesso siamo qui nudi e stanchi a guardarci senza neanche più la voglia di assaggiarci la pelle, senza nemmeno il coraggio di dirci che è finita, che il sipario si è chiuso, che l’amore ci ha abbandonati come cani in autostrada.  E sarebbe stupido fare un processo sulle colpe, sulle parole che ci siamo detti e su quelle che non ci siamo detti.

Ma tu senti che non abbiamo più le forze? Non percepisci il vuoto dietro questo mio sorriso stanco?  Non ti accorgi che io non so come fare a dirtelo che adesso io voglio fare altro, voglio correre in un campo di grano urlando nel vento, cadere tra le spighe dorate e ridere fino alle lacrime? Non ti accorgi che io adesso vorrei dirti tutto ma tutto quello che mi viene è un silenzio che mi assorda, che ti assorda? Ma non trovo il coraggio, se ne sarà andato insieme al nostro amore e nemmeno si è degnato di mandarmi una cartolina. Ma non trovo il coraggio e ho svuotato i cassetti senza successo, ho provato a scriverti ma non avevo l’inchiostro.

Abbiamo finito la benzina Amore ma siamo in un deserto senza distributori. E allora le nostre strade si divideranno, e allora saremo colpevoli di aver permesso, ancora una volta, che l’amore evaporasse, che la benzina finisse. E sentiremo le gambe stanche, questo sì, ma sapremo che la strada è quella giusta e troveremo nuove mani da stringere, nuove labbra da baciare, troveremo di chi innamorarci ogni giorno di più e non ogni giorno di meno.

Allora adesso guardami per l’ultima volta, sorridimi teneramente e baciami la fronte. Dimmi solo ciao, non servono altre parole. Un lungo abbraccio, le tue spalle che si allontanano oltre l’orizzonte. È come se sentissi una lacrima, o forse è evaporata anche lei.

Amami se hai il contratto

Mi chiamo Alberto, ho 34 anni e sono single. Ho passato metà della mia vita a cercare l’amore e l’altra metà a capire perché non l’abbia mai incontrato. Non che mi aspetti di sedermi accanto a Cupido in un bar, chiariamoci, diciamo che non ho mai incontrato nessuno da poter chiamare Amore.
È quasi San Valentino e, come ogni anno, pensavo l’avrei passato scopandomi una di cui non so nemmeno l’indirizzo o di cui non conosco la professione ammettendo di poter consumare a casa sua. Invece ho finalmente deciso che quest’anno io cercherò la donna della mia vita e la troverò. Mi sono spremuto le meningi e ho teorizzato l’amore.
Platone, gli androgini e tutti quei romanticoni da due lire possono andare a quel paese, io ho capito davvero cos’è l’amore in pratica, ora devo solo dimostrare la mia teoria.
Dopo attente selezioni delle mie potenziali compagne, ho finalmente trovato Lei: Cristina. Questa sera la porto a cena e sarà memorabile.
Ho messo il mio vestito migliore, il cappotto nero di cachemire e la mia camicia porta fortuna. Passo a prenderla alle otto, lei scende tre minuti dopo, il tempo di fare le scale. Ottimo, mi piacciono le donne che non si fanno aspettare, che sanno quello che vogliono e quando lo vogliono. Metto un po’ di musica jazz in macchina, se non ami il jazz non puoi amare me e Cristina, dopo pochi secondi, indovina il titolo della canzone. Perfetto.
A cena una tagliata appena scottata, un bicchiere di Barbera Superiore e parliamo di vita, di rapporti e di viaggi. È strano come gli stessi temi possano essere trattati con estenuante superficialità o disarmante profondità e lei, manco a dirlo, mi sbalordisce. È un vulcano incontenibile, idee originali e solide argomentazioni, una razionale fantasia che atterrirebbe un’amante inesperto.
Facciamo due passi, forse cento non ricordo. So che si avvicina il mio momento e non posso non sorridere. Torniamo in macchina, l’accompagno a casa.
Mi chiede con disinvoltura se ho voglia di un bicchiere di whiskey ma non c’è malizia nel suo tono né nel suo sguardo, è sincera e non avrebbe usato scuse se avesse voluto farmi salire solo per andare a letto insieme. Ci sediamo, due bicchieri e un po’ di Talisker. Lei mi sfiora dolcemente la mano, mi piazza le pupille nelle pupille e si avvicina, teneramente, per baciarmi. Mi lascio trasportare dal momento, è quasi sulle mie labbra e chiudo gli occhi, sospiro. Ci siamo quasi, mi sfiora la bocca ed è allora, solo allora, che io mi sposto bruscamente.
Mi guarda interrogativa e mi chiede scusa, che forse aveva frainteso ed invece… ed invece no Cristina, non hai frainteso nulla. È solo che voglio essere chiaro questa volta e tiro fuori dalla tasca del cappotto un foglio.

“è un contratto?” mi chiede lei e annuisco.

La mia teoria è che l’amore sia a tutti gli effetti un contratto. Due persone che vogliono la stessa cosa allo stesso momento, bisogna rispettare delle clausole e ci sono penali da pagare in caso di non rispetto delle stesse. Ovvio no?

Così ho fatto questa bozza di contratto, nei vari paragrafi troverai cosa cerco e cosa offro. Per chiarezza, te lo leggerò e spiegherò personalmente.

La durata della relazione è variabile influendo su di essa, a diverso titolo, i paragrafi successivi.

Cerco una persona che sappia tenermi testa, che sappia abbracciarmi quando ne ho bisogno e mandarmi a stendere se sbaglio. Cerco una persona che mi aiuti a crescere, che mi guardi negli occhi e mi dica che mi ama o che sono un coglione a seconda delle circostanze. Cerco qualcuno che mi stimoli non solo sotto le lenzuola, una persona che sia maestro e allievo contemporaneamente. Una donna che mi parli di Pasolini e della D’Urso con la stessa passione, che sappia dunque affrontare il peso della cultura e la leggerezza del divertissement. Qualcuno che non abbia timore di amarmi non-ostante tutto, nonostante i picchi di felicità e tristezza che l’amore regala. Cerco, in breve, qualcuno che abbia il coraggio di salire con me sulle montagne russe che insieme costruiremo.

Il secondo paragrafo illustra l’offerta, cioè chi sono io.

Maniaco dell’ordine, ossessionato dal divanismo cronico ma ben disposto a prendere aria fresca. Arrogante, cinico, estremamente tenero se guardi bene sotto la barba. Insicuro fin dalla culla, maschero con l’ironia. Amante della buona cucina, disertore di fast food. Viaggio molto, soprattutto con la fantasia. Metodico, rigoroso e a volte noioso, pessimo venditore di me stesso. Ossessionato dalla bellezza, quella interiore in primis.  Estremamente selettivo nei rapporti umani ma chi mi conquista ha il mio cuore per intero. Adulatore segreto di frasi banali, niente è più vero della banalità. Ho sempre amato per colmare mancanze, ora cerco amore per donare abbondanza.

Data e firma.

Ecco qui, niente di speciale. Rimane una parte in bianco da compilare con l’offerta del contraente, con i tratti della personalità di Cristina.

Lei mi guarda con gli occhi sbarrati poi inizia a ridere, ride come una pazza e cade addirittura dalla sedia lamentando crampi agli addominali. Per quanto io mi sforzi e sia cosciente del fatto che dovrei ridere con lei, non ci vedo niente di ironico nella questione. Ho messo nero su bianco l’amore, non mi sembra una cosa folle. Voglio dire ho trovato il modo per andare oltre millenni di fraintendimenti, oltre le seghe mentali da flirt, oltre quelle brutte sorprese che proprio non ti aspettavi, i fulmini a ciel sereno che t’inceneriscono, tanto per chiarire.

Si rialza, si schiarisce la voce e si siede di fronte a me. Sguardo serio, porta i capelli dietro le orecchie e le sue mani quasi sembra stiano disegnando nell’aria.

“Trovo sia una stronzata, semplicemente una stronzata epocale Alberto. Come puoi pensare di racchiudere in poche righe ciò che forse non trova abbastanza spazio nemmeno nell’intero universo? Come puoi descriverti in meno di dieci righe quando nemmeno dopo anni di psicologo puoi affermare di conoscere davvero te stesso? Da avvocato ti risponderei che non firmo per assoluta incertezza del contenuto, da filosofo non firmerei perché è la logica a mancarti. Se fossi una psichiatra ti diagnosticherei senza dubbio qualche disturbo della personalità e ti drogherei con massicce quantità di psicofarmaci. Ma non sono niente di tutto questo, non mentre siedo davanti a te. Mi hai sorpresa Alberto, come nessuno aveva mai fatto prima. Mi hai scossa dal profondo e non so dirti se in bene o in male, so che voglio scoprirlo. Perché forse non incontrerò mai nessun altro nella vita tanto folle da pensare di poter redigere un contratto d’amore e allo stesso tempo tanto coraggioso da sottopormelo per davvero. Io firmo, Alberto, ma sia ben chiaro che non firmo per nessuna delle lettere nere che hai stampato, per nessuna delle parole che hai scritto. Io firmo, Alberto, per tutto il bianco che ti sei tenuto dentro.”

I soliti buoni propositi

Mi piace questa tradizione dei buoni propositi per l’anno nuovo. In pratica, dopo la lettera a Babbo Natale, uno deve fare la lista di ciò che intende fare nel nuovo anno. Tipo un business plan della propria vita.

Investirò di più nei sentimenti, metterò in cassa integrazione lo shopping, investirò su amici, vino e cibo buono.

Mi autotasserò ogni volta che dirò una parolaccia ed userò quel tesoretto per farmi una vacanza in barca.

Ottimizzerò la produzione studiando di più e diminuendo le pause caffè ottenendo così un guadagno al netto della soddisfazione pari a circa millecento sorrisi in più al mese.

Taglierò il tempo perso a farmi problemi inutili investendo un paio d’ore a settimana dedicate alla ricerca delle risposte alle grandi domande sull’universo.

Comprerò dunque un bel cappotto per prepararmi al nobel per la matematica che dubito vincerò. E non lo vincerò perché un’amante di Alfred Nobel se la faceva allegramente con un mago del 2+2, mister Magnus Gustaf Mittag-Leffler, e per colpa della sua bacchetta magica io non potrò mai diventare la prima donna a vincere il nobel per la matematica.

Mai mischiare sesso e affari, sempre detto.

Assumerò nuovi atteggiamenti proponendo una politica aziendale di gentilezza con il prossimo, promuoverò progetti di team building con week end al lago e in montagna.

Metterò l’arte al primo posto per far sì che il lavoro s’ispiri sempre alla bellezza, mi batterò per la vittoria del buon gusto sul pacchiano.

Istituirò un fondo per far fronte agli imprevisti, miele in caso d’amore, corde vocali nuove in caso di  perdita di voce post-concerto, scarpe nuove nel caso consumassi le suole durante viaggi in posti ancora sconosciuti.

Farò dell’ottimismo una religione senza dimenticare di prendere un paracadute, farò meno teatrini quando mi arrabbio ed andrò più sovente a teatro.

Creerò un’ora alla settimana dedicata alla ricerca di cose sconosciute puntando a diventare massima esperta della teoria delle stringhe.

Studierò il tedesco per non sfigurare all’Oktoberfest e per rendere finalmente felice mia Nonna trovando un biondone con dei bei denti. Perché avere dei bei denti è tutto per mia Nonna.

Che poi spero vivamente che mia Nonna non stia leggendo perché il prossimo buon proposito, l’unico che tutti abbiamo, non è quello di essere felici da impazzire, non è quello di fare un bagno nei gettoni d’oro, non è quello di diventare capi del mondo. No.

Il prossimo ed ultimo augurio è terra a terra, è ritorno alle origini, è saper riconoscere che non si può sempre solo guardare in alto, bisogna anche avere il coraggio di abbassare lo sguardo ed osservare il proprio ombelico. Il mio ultimo buon proposito è dunque imparare a lasciarmi andare di più, smettere di fare il ghiacciolo anche ad agosto.

Il mio ultimo buon proposito, in sostanza, è fare più sesso.

Si ringrazia il ministero del Lavoro per il sostegno al progetto “Più sesso per un anno di successo”

Manifesto per te.

Oggi non lavoro, oggi non studio, oggi manifesto per te.

Tu mi dirai che ascolto troppo quel gruppo di vecchi, i Bandabardò, e hai ragione.

Se mi rilasso? In realtà non saprei dirti, è troppo tempo che non lo faccio.

Scendo in piazza con i cartelloni, ci scrivo “conosci te stesso”.

Un bel gioco dura poco ed il marketing, in amore, non so a quanto serva.

Anzi guarda in questa manifestazione io ti faccio psicologia inversa, ti sbatto in faccia i miei difetti e tu scoprirai di amarli tutti, uno ad uno, come io faccio coi tuoi.

Sarebbe troppo facile dirti perché dovresti amarmi, sarebbe troppo ermetico un elenco vuoto.

E quindi eccoti qui il perché tu dovresti ridermi in faccia, ed eccoti qui perché non lo farai.

Non sono testarda, devi solo usare le parole giuste per convincermi a cambiare idea.

Amo litigare, proprio mi piace a livello viscerale. È che credo che la rabbia elimini ogni maschera, quando perdi il controllo riveli chi sei. Ed io mi sono innamorata perdutamente dei tuoi nervosismi. È bellissimo vedere il fuoco che nasce piano piano fino a che non riesci più a tenerlo, fino a quando i tuoi occhioni si accendono di luce pulsante anche se il meglio, si sa, è fare pace.

Sto sempre sulla difensiva. Da grande stratega quale sei, tu stesso m’insegnasti che la miglior difesa è l’attacco, chiediti ora perché a volte sento il bisogno di essere velenosa.

Me ne vado. Quando ho paura, me ne vado. È strano sai, mi capita solo con le persone. Sul lavoro per me esistono solo sfide, è quando incrocio sguardi cupi che inizio a tremare.

Non bevo vino scadente. Se ci pensi è un bel problema, però proprio non ce la faccio, piuttosto ceno ad acqua.

I calzini spaiati sono all’ordine del giorno. Neanche il mio cassetto dell’intimo riesce a sostenere una relazione stabile.

Ti amo. Questo poi è proprio il difetto peggiore, quello che sono anni che t’imponi di non vedere, di superare, d’ignorare. Io ti giuro che litigo un decimo di quanto facevo un tempo, ho imparato a fidarmi delle persone anziché partire prevenuta, le mie gambe non hanno più voglia di correre senza contare che ho, addirittura, bevuto un vino che anche per cucinare sarebbe stato imbarazzante.

Non ho mai smesso di amarti.

Sono qui, oggi, davanti alla tua università aspettando che tu esca da lezione e ho questo cartello in mano.

Conosci te stesso.

Mi sono organizzata, ho uno zaino da campeggio con tenda, fornellino e viveri in abbondanza per una settimana.

Io sto qui e non mi muovo. Se piove forse mi prenderò un raffreddore ma non m’importa perché mi si gonfieranno i capelli e tu potrai prendermi in giro dicendo che sembro una pecora pronta per essere tosata. Amo quando mi prendi in giro.

Conosci te stesso e scava a fondo, scava come questo chiodo tra i san pietrini.

Io, oggi e domani, sono qui ad aspettarti.

Manifesto per il tuo amore, questo è il manifesto del mio amore.

Ancora.

Caro Amore,

spero che la tua giornata a lavoro sia andata bene. Spero che tu non ti sia stressato troppo, spero che tu non abbia inveito contro gli automobilisti che non scattano un millesimo di secondo dopo il verde come fai sempre.

Mentre leggi questa lettera sentirai un profumo dalla cucina, sono le lasagne che ti ho lasciato in forno. Le ho fatte con le mie mani, le ho cucinate per te.

Sarai entrato in casa chiamandomi e, non sentendo risposta, avrai pensato che sono ancora alla mia stupida lezione di yoga.

Non avrai notato che ho tolto il quadro della ballerina dal soggiorno. Bene, ora che hai guardato il muro avrai visto il tuo poster preferito con cui ho colmato il vuoto di quella parete.

Oggi non sono andata a lavoro, ho preso qualche giorno di ferie. Mi dispiace per le sbavature d’inchiostro su questa lettera, è che sono un po’ emozionata.

Ho deciso che non ti sposo. Né ora né mai.

Ho già portato via tutte le mie cose, non preoccuparti. Non che tu l’abbia mai fatto, s’intende, ma lo dico nel caso decidessi di iniziare a farlo oggi. So badare a me stessa, e lo sai bene.

Ora ho un dubbio atroce nella testa: cosa starai pensando della mia frase “ho deciso che non ti sposo”?  ho due ipotesi a riguardo: nella prima tu stai ridendo della grossa pensando che sia una delle mie solite crisi, di quando mi sento confusa, agitata e depressa ma dopo quarantotto ore torno normale. Nella seconda stai inveendo contro di me dandomi della stronza e scervellandoti sul perché io abbia deciso di scriverti anziché guardarti negli occhi e dirtelo. In entrambi i casi, spero che tu non abbia ancora stracciato questi pochi fogli e che stia continuando leggere.

Ho chiesto il trasferimento a lavoro, torno a casa mia. Sono tre mesi che aspetto questo momento e finalmente è arrivato. Avevo anche provato ad accennartelo ma, come al solito, i tuoi capelli fuori posto erano più importanti dei miei inutili “problemucoli da femminuccia”.

Non voglio che tu ora pensi  io sia arrabbiata con te, che ti reputi una persona malvagia o quant’altro. Ho semplicemente deciso di cambiare vita.

La verità è che quando ci siamo conosciuti all’università tu eri devastato dai tuoi problemi esistenziali e credevi fossi la tua ancora di salvataggio. E lo sono stata. Credevo di essere felice, l’ho sempre pensato. Ti avevo preso per mano e insieme avevamo sorriso, e insieme abbiamo amato. Quello che non sapevo è che le ancore sono fatte per essere gettate a fondo, e tu mi hai gettata con una violenza inaudita. Un po’ come una spugna dopo aver lavato i piatti sporchi. E tu eri il piatto sporco, ed io la tua spugna. Ho assorbito il tuo nero dandoti indietro bianco senza mai chiederti nulla in cambio. Ho accolto il tuo amore sempre più sbriciolato pensando che fossi io il problema, pensando che fossi io a non essere abbastanza.

La verità, Amore, è che non è mai stato amore vero. Pensavamo di essere due formine complementari come in quei giochi per bambini, solo che io sono cerchio e tu un cubo pieno di spigoli. Sei entrato nella mia vita come un caterpillar nato per distruggere ed io ora esco dalla tua in punta di piedi, anzi di penna. Non siamo fatti per stare insieme ma ciò non ti rende peggiore, ma ciò non mi rende migliore. È semplicemente la verità, Amore. Io ho bisogno di sorrisi, di un tè caldo la sera e una carezza prima di dormire. Ho bisogno del mare sulle ciglia d’estate, di sudare scalando le montagne. Ho bisogno di sapere che se voglio partire, la persona al mio fianco è disposta a seguirmi. E vedi bene che adesso ho il coraggio di essere egoista, di non pensare innanzitutto ai tuoi problemi. Perché non mi riguardano. Perché ho la nausea delle tue inutili lamentele su come il lavoro ti distrugga, su come la tua vita non abbia senso.

Reagisci per Dio, alzati. A volte ho come l’impressione che tu ami crogiolarti nelle tue piccole disgrazie, nei tuoi drammi da soap opera. Ma io cerco il Sole, e tu sei nube che mi porta pioggia. Aveva ragione il nostro amato Battiato, arrivederci amore ciao le nubi sono già più in là. Ti prego non cercarmi, nemmeno io sono ancora riuscita a trovarmi. Sii semplicemente forte una volta nella vita, te ne prego. Abbi, da domani e per sempre, il coraggio di essere sfacciatamente felice come io, a tuo dire, so essere.

C’è un marron glacé nel frigo,

il nettare degli dei.

Tua,

Lady M.

Non avere fretta.

Ci sono frasi che ti si attaccano dentro non sai nemmeno bene come. Vien da chiedersi se sia una questione di nodi, come se tutte le frasi che ascoltiamo cercassero di legarsi alle nostre sinapsi, ma solo alcune sapessero fare nodi da marinai, di quelli che si sciolgono solo quando lo decidi tu. Allora la nostra mente è davvero un porto di mare, noi vi facciamo entrare tutto e la selezione vien da sé. Ci sono frasi che ti si attaccano dentro e invecchiano con te.  Sono quelle che la notte a volte tornano, e t’addormenti col sorriso.

Sì, parlo proprio di quella frase che mi dicesti tu. No, sono sicura che non mi stai leggendo a meno che io non scriva da Dio, a meno che anche in paradiso prenda il wi-fi. Nel caso, la password è sempre la stessa.

Non avere fretta. Ci ho provato spesso ad ascoltarla. Non avere fretta. Avevi ragione, dannatamente ragione. Mi arrabbio sempre meno, conto fino a dieci prima di agire. Fino a cinque. Va bene, a volte solo fino a tre ma apprezziamo lo sforzo. E poi non scendiamo nel dettaglio, sai che ho sempre odiato i puntini sulle “i”, se ne stanno in alto a vigilare su quello stelo e si credono chissà chi. Vorrei incontrare un puntino e dirgli che io la “i” riesco a leggerla benissimo anche senza di lui, che scenda pure da quel piedistallo.

Non avere fretta. Giuro che mi sono impegnata, ma continuo ad impostare le lancette cinque minuti in avanti per non arrivare in ritardo. E sono talmente tonta che me ne dimentico e penso che il mondo viva cinque minuti indietro.

Nessuno mi ha mai fatto gli auguri di buon compleanno a mezzanotte, sempre almeno a mezzanotte e cinque. E in quei cinque minuti ci concentro la solitudine nel realizzare che il mondo ancora non si è accorto che sono un anno più vecchia, che ho almeno due nuove rughe d’espressione, che ho stappato lo spumante da un pezzo. Poi tutto passa, e io sorrido con un anno e cinque minuti di vita in più.

Non sei fatta per il quotidiano.

Avrei anche da ridire, sono una persona molto costante: faccio tre pasti al giorno tutti i giorni, il caffè al bar la mattina è la mia unica religione, dormo tendenzialmente tutte le notti.  È impossibile dire che non si è fatti per il quotidiano, un po’ come andare da un pesce e dirgli “bè non è che nuotare sia il tuo forte”. Non esiste, lo è per natura.

Dovrei smetterla di attaccarmi al significato letterale delle parole, dovrei guardare più lontano. Sarebbe così banale sottolineare che sono miope che ho deciso di non farlo. Che mossa astuta, no? Però in fondo è vero, in un certo senso non sono fatta per il quotidiano. Ho anche discrete difficoltà a scrivere la parola “stabilità”.

Vedi bene che nemmeno nel camminare l’equilibrio è il mio forte, possono testimoniarlo i miei sei tutori, la vecchia che mi ha soccorsa svariate volte sotto casa, la farmacista che si è comprata la casa al mare a forza di vendermi creme all’arnica.

Forse è vero, non sono capace di stare ferma. Mi muovo, faccio, disfo, viaggio, leggo, scrivo, strappo, inizio, devio, cambio, ricambio, salto, cado.

È un po’ come se l’equilibrio fosse la meta ultima, ed io non riuscissi mai a raggiungerla. Mi pongo obiettivi che so essere impossibili ed inizio a correre come una dannata, senza sosta. Corro, corro, corro fino al bivio. Se la lepre è troppo lontana mi fermo a riprendere fiato e aspetto qualcosa di nuovo, se la vedo ad un passo da me mi volto e inizio la fuga divertita.

Io e l’equilibrio flirtiamo senza mai concludere. Siamo due profumieri non v’è dubbio. Il problema non è il gusto della conquista, il problema è che tu, cara stabilità, non mi piaci abbastanza. Vorrei davvero poterti dire adesso che non è colpa tua, che sono io, che tu sei stupenda ed io mi pentirò di questa scelta. Ma la verità, la mia verità, è un’altra.

È che il giusto mezzo a me non basta, io voglio l’intero. È che anche il fiume prima di diventare pacato e sereno è stato cascata violenta ed energica. È che se tu sei la mia nuova alba, io adesso ho voglia di vedere quant’è buia la notte.

Ti dedico parole come di un innamorato, ti chiedo il tuo tempo. Ci sono frasi che ti restano dentro.

Ed allora io sono ad implorarti di aspettare, a pregarti di non avere fretta.

Non preoccuparti, sai bene che arriverò cinque minuti prima.

Un, due, tre.

Voglio diventare responsabile, questa è la mia più grande aspirazione nella vita. Responsabile non di negozi, imprese, cose a caso. Voglio diventare responsabile della mia stessa vita.
L’ho capito l’altra mattina mentre mi lavavo la faccia. Ho la barba, il pomo d’Adamo, un sopracciglio pronunciato : in poche parole, sono un uomo.
Forse la maturità non si prende alla fine del liceo con una data prestabilita, forse arriva mentre sei sulla tazza del cesso a leggere topolino, come il flash di un autovelox sulla statale. È fulminante. È come se di colpo la tua unica paura fosse quella di rimanere per sempre bambino, di non saper crescere. Un giorno ti svegli e pensi che qualcuno tu lo vuoi crescere.
A me è successo così : una mattina, mentre mi lavavo la faccia, ho capito che volevo un figlio. Sarà stata colpa della nuova acqua di colonia, o che ero semplicemente felice.
A Marta non l’ho ancora detto, devo saper garantire un futuro al mio bambino. Con che coraggio potrei chiederle « facciamo un bimbo ? » sapendo di guadagnare una miseria ?
Ma questo sono io ? Io che ho sempre sognato grandi cose lasciando la vita privata privata dietro le quinte, io che ho sempre sognato di diventare il numero uno adesso spero di vivere in tre. Subito ho pensato fosse colpa del vino della sera precedente, « una bella giornata a lavoro e passa tutto ».
Ho ignorato il pensiero per giorni, settimane, mesi sperando se ne andasse come i pakistani che ti vendono le rose il sabato sera. Vabbè suona razzista ma è il mio pensiero, mica una convention di emergency.
Col passare del tempo, mattina dopo mattina, doccia dopo doccia, ho realizzato mio malgrado che ci stavo pensando più del dovuto. E se l’idea di avere un figlio non fosse stata totalmente campata in aria? In fondo ho quasi trent’anni, amo Marta più del caffè di prima mattina e voglio qualcosa di nostro, qualcosa di mio e suo ma, allo stesso tempo, indipendente. Voglio un motivo in più per cui svegliarmi la mattina, un figlio a cui fare da modello e da cui imparare a vivere. Perchè per me questo è l’amore : dare e avere. Dare la vita e ricevere una pupù nel pannolone, questo è ciò che voglio. Inciampare nei primi passi incerto e correre insieme a mio figlio col passare del tempo, lasciandogli infine il testimone, sedendomi a godere lo spettacolo della nostra esistenza. E sulla panchina insieme a me io ci vedo Marta coi suoi vestiti un po’ retrò e quel modo di fare apparentemente svampito. Ci vedo i suoi capelli e quel sorriso che porta sole anche nei giorni di pioggia. In fondo adesso, mentre aspetto che il momento venga, un motivo in più per sorridere già ce l’ho : pensare che ogni euro che guadagno lo accantono per un figlio, per nostro figlio. Pensare che quando vedo lo stipendio non sono solo affitto e birre ma anche pannolini. Pensare, forse, che un bambino non è il compimento di una vita, ma l’inizio di un’altra.
Ed è sorprendente come tutto questo coincida col mio modello di vita: porsi sempre nuovi obiettivi, nuove sfide, mettere a dura prova i nostri limiti per raggiungere quel traguardo che tutti chiamiamo felicità ma che ognuno mette in posti differenti. Il mio, Marta, è al tuo fianco. Tutti e tre insieme.