Sistema binario

Ti ho visto quel giorno, eri sul vagone di fronte al mio. Pazzesco no, abbiamo condiviso così tanto e adesso tu sei a pochi centimetri da me, due finestrini ci separano ma io posso guardarti negli occhi.

Tra poco scatterà il bip e tu andrai avanti e io andrò indietro.

O forse sarà il contrario.

Abbiamo condiviso così tanto, siamo stati così a lungo nella stessa stazione e adesso, adesso che dobbiamo muoverci andiamo in direzioni opposte. Forse che, presi com’eravamo a scavarci l’anima, non abbiamo visto che eravamo su due banchine diverse? Forse che non ci siamo mai davvero incontrati, mai davvero sfiorati. Io da una parte e tu dall’altra.

Ci sono i binari di mezzo, è impossibile capisci?

Ma nessuno ha pensato di non salire su quel maledetto treno, nessuno ha pensato che se solo fossimo tornati indietro di qualche gradino saremmo potuti uscire da quella stazione mano nella mano.

Sono passati diciotto minuti, diciotto. Lo sai che normalmente si aspetta molto meno.

Forse i macchinisti lo sapevano, forse ci spiavano dalle telecamere come una casalinga avida guarda le soap opera. E forse ci han creduto fino all’ultimo, hanno tifato a gran voce perché non fossero solo i nostri sguardi ad intrecciarsi, perché anche le nostre mani potessero accarezzarsi, accarezzarsi per davvero. E invece siamo un film con un finale deludente,  un colpo di scena tagliato nel montaggio, una porta scorrevole che si chiude senza portone.

Così adesso sono qui e ti osservo dal finestrino e sembra quasi di sentire il tuo odore, ma sicuramente è il sudore del mio vicino ad annebbiarmi la mente. Così adesso prenderò un caffè alle macchinette e so che lo farai anche tu, un surrogato di quello al bar sulla piazza che mai prenderemo.

E mi sembra di riuscire a capire chi dice di essere impotente, chi vorrebbe con tutto se stesso una cosa e poi rimane fermo con lo sguardo vitreo prendendosela con se stesso ma continuando a rimanere fermo.

Siamo saliti su due vagoni diversi e siamo più vicini di prima, non ci sono più i binari a separarci. Siamo saliti su due vagoni diversi e siamo più lontani che mai, tu andrai a est e io a ovest. Tu vedrai il sole prima di me, la notte scenderà dopo sopra di me. Ma la notte forse non sarebbe scesa mai se ci fossimo incontrati, incontrati per davvero.

Tu mi guardi come a dire che non torni mai indietro, io ti guardo come a dire che forse saremmo andati avanti insieme.

Lo senti quel bip così forte, così insistente ora? Non ti ricorda il suono di quella macchina che monitora i battiti cardiaci, di quella roba che adesso, guardandoti, proprio non ricordo come si chiami. Quella roba che fa un rumore insistente giusto prima che il tuo cuore si fermi, giusto prima che le porte si chiudano. E non è così diverso, la macchina del cuore, le porte di un vagone, sempre un bip è. E non è così diverso, il treno verso ovest, il treno verso est, sempre alla stessa fermata s’incontrano. E quel bip mi ferma il cuore, e quel treno mi allontana da te. Eppure siamo stati impotenti, il mio cuore si è fermato, le mie gambe non hanno fatto dietro front.

Così vado avanti, qualche battito in meno, qualche fermata in più e mi chiedo se incontrandoti di nuovo per un caso non fortuito riuscirò a venirti incontro, riuscirai ad accarezzarmi il viso.

Adesso mi giro, ho un senso di nausea. Sai quando tu sei su un treno fermo e quello accanto a te si muove ed è tutto relativo, e ti senti andare avanti mentre invece sei fermo, e ti senti senza appiglio con lo stomaco in rivolta. Adesso mi giro, sei già ripartito.

Ho smesso di segnare

Ho visto un uomo piangere un giorno. Era seduto su una panchina all’ombra e piangeva. Normalmente avrei abbassato lo sguardo e sarei andata avanti ma ci sono volte in cui, senza un motivo preciso, vieni come attratto da una persona. No non è nulla di erotico o pseudo tale né tanto meno amore, direi piuttosto una specie di fortissima empatia dovuta al.. dovuta a cosa non ne ho idea. Mi sono seduta con lui, siamo rimasti in silenzio per dieci minuti. Lui continuava a piangere e io semplicemente gli ero vicina, senza toccarlo, senza invadere il suo spazio. Ho acceso una sigaretta, ho appoggiato tra noi due il pacchetto aperto con l’accendino. Che modo stupido che ho di aiutare la gente. Che pretesa stupida che ho di salvare le persone. Lui mi ha sorriso e timidamente abbiamo fumato insieme, in silenzio. “Non ne sono capace” ha detto ad un certo punto. “Non sono in grado, capisci?”. Guardava il vuoto davanti a sé mentre parlava. “Io ci ho provato, mi sono messo d’impegno, mi sono detto che era la volta buona, che ce l’avrei fatta. E invece nulla, un buco nell’acqua. Immagina una partita di calcio: io sono l’attaccante, sono bravo, corro veloce e adoro la competizione. Ecco io parto sicuro verso la porta. Scarto tutti, centrocampisti, difensori, riesco addirittura a liberarmi del portiere. Quante volte nella vita può capitarti di fare un gol a porta vuota? Due o tre. Ecco io ero lì davanti, ero solo col pallone e la rete a meno di due metri. Tutto esattamente come avevo immaginato, come avevo sempre voluto. Ma non ho calciato. Sono rimasto fermo, capisci? Io ero lì e non ho buttato in porta quello stupido pallone. Ora tu ti starai chiedendo il perchè, è normale. Ho avuto paura di sbagliare. E se avessi preso il palo? Voglio dire può succedere no? Solo che è terribile quando sbagli senza nessun ostacolo sul tuo percorso. Mi è venuta in mente quella volta in cui ho preso una traversa al novantesimo, quando tutto sembrava perfetto, quando mi sentivo Baggio dei poveri e invece ho sbagliato il tiro. Ho puntato troppo in alto, ho dato per scontata la precisione del mio movimento e non ho segnato. Quella rete valeva il campionato. Io da quando ho preso quella traversa non ho mai più fatto gol, mai. Ho il terrore, ho paura di fallire un’altra volta. Però sono un’attaccante e ognuno di noi è portato a fare ciò che è nella sua natura. Il difensore a tenermi lontano, il portiere a parare i miei tiri, l’arbitro a fischiare i falli, io a segnare. E quindi ecco mi trovo in questo circolo vizioso da cui non riesco ad uscire. Io corro corro corro vado ai duemila all’ora col pallone tra i piedi e non mi ferma nessuno, tranne la mia paura. Capisci io ogni volta ci vado vicino, ci vado così vicino che quasi posso sentire il pubblico in delirio, il mio sorriso sulla faccia. Poi però mi blocco, come se da una macchina in corsa togliessi le chiavi, come quando la miccia finisce di bruciare, come quando ti dice “non ti amo più”. Perchè è ovvio che non stessi parlando di calcio. No? Ma che senso ha fare l’attaccante se poi non hai le palle di accettare la traversa? Che senso ha giocare se hai troppa paura di perdere? Che poi io lo so che non giocando perdi già in partenza, solo che mi fermo lo stesso. Davanti alla porta, davanti al suo viso, su questa panchina come uno stupido. E tu? Tu come fai?”

Sono stata zitta un minuto buono, non sapevo cosa rispondergli. E’ che quel discorso avrei potuto farlo anch’io, è che quella traversa l’ho presa anch’io. Forse tutti abbiamo sbagliato, forse tutti ci siamo fermati solo per paura di non fare la cosa giusta.

“Come faccio mi chiedi? Lo vedi da solo, ci sono anch’io seduta qui”

“E secondo te quando ci alziamo?”

“Non lo so, basta non avere fretta”

“Non avremo fretta”