Cara Nonna

Cara nonna,

è tutto un po’ più pesante, sarà che ci hai lasciati a inizio estate, sarà l’umidità, sarà che i vestiti ti si appiccicano addosso come i ricordi. È tutto un po’ più lento, mastico di più, lascio che la birra diventi calda, aspetto a lungo il sonno. Non piango quasi mai anche se, quando succede, succede piano, in silenzio, senza urla né disperazione, solo con una placida malinconia.

Le domeniche senza di te sono più silenziose, forse speriamo di sentirti suonare il campanello. Anche il telefono tace, forse perché adesso non t’importa sapere dove hai messo le pastiglie. Forse non ti è mai interessato ma non trovavi una scusa migliore per sentire la nostra voce.

Non è facile, sai, sconfiggere l’egoismo di chi resta, non è facile accettare col sorriso che non mi gratterai la testa raccontandomi dei tuoi viaggi. Li conosco a memoria da una vita, lo sapevi, ma era l’unica scusa che trovavo per ascoltare a lungo la tua voce. Mi faceva addormentare come una bambina le fiabe. Tra qualche tempo guardando le diapositive racconterò a tutti del tuo giro in elicottero, racconterò com’eri felice guardando New York, racconterò di quando da giovane eri gelosa del Nonno.

Chissà dove sei ora, fuori c’è un bel vento fresco dopo giorni di afa, chiudo gli occhi e mi sembra una tua carezza. Chissà dove sei ora, forse in un mare azzurro dopo mesi di cemento.

T’immagino come un sole che tramonta sul mare, ma adesso che è arrivata la notte insegnaci a guardare le stelle.

Ad Intermittenza.

Bimba mia,
Un tempo quando parlavo di lucidità mi riferivo a quella del tavolo di cristallo, mai avrei pensato di usarla per parlare della mia mente.

Ti chiedo scusa, immensamente scusa anche se, purtroppo, non ricordo bene per cosa.

La demenza senile è una cosa strana, è una lampadina avvitata male che si spegne e si accende come vuole. Ti chiedo scusa perché non so riavvitarla. Tu guardandomi pensi che sia fulminata, un vecchio aggeggio da cestinare. Hai mai pensato che io sento l’energia ma non riesco a illuminarmi? Non sono spenta, non sono morta. Sono intermittente.

Non ho scritto se ho preso la pastiglia, non ricordo se proprio non l’ho presa o se mi sono dimenticata di appuntarlo. Se adesso ti chiamassi forse tu ti arrabbieresti, mi diresti che sono rincoglionita e ti direi che hai ragione. Forse tu non lo vedresti ma il mio cuore avrebbe un battito in meno, morirei per un istante.

Ti ho messa al mondo e ho giurato che ti avrei protetta dal freddo, dal mostro sotto il letto e dalla sofferenza inutile. Così mi chiedo che senso abbia continuare a stare qui se sono io stessa a gelarti il cuore, io stessa a chiamarti per scacciare i mostri della memoria, io stessa a farti soffrire.

Ti ricordi com’ero bella e forte mentre ti crescevo? Se mi abbracci troverai ancora un po’ di luce nei miei occhi. Lasciami andare, non verso la morte questo no, lasciami scorrere senza preoccupazioni verso una nuova fanciullezza. Lascia che dimentichi le pastiglie ma che ricordi l’aperitivo con le amiche. Lascia che ti chieda venti volte se hai già chiamato Laura, credi che non abbia anch’io la sensazione di avertelo già chiesto?  Io non ho colpa ma forse me lo merito, non sono mai stata spensierata come adesso, non sono mai stata fantasiosa come ora. Ho perso la memoria ma non è nel mio nascondiglio segreto. Nemmeno quello ricordo dove sia. L’ho persa ma, come vedi, ancora viene a trovarmi come uno spasimante che non si rassegna.

Prendimi tra le tue braccia e cullami come facevo io, dammi un bacio in fronte e dimmi che andrà tutto bene, che ci sei tu a tenermi la mano. Cerca di vedere la luce anche nei miei attimi di buio, cerca di immaginarti come io mi senta in colpa nei miei attimi di luce. Non ricordo se non le cose importanti, allora da vecchia mamma un po’ rimbecillita tutto quello che davvero ti chiedo è: fai sì che le cose importanti che ricordo siano il tuo sorriso e le risate dei nipoti, niente lacrime e urla. Perché nessuno ne ha colpa, non rendermi colpevole. Non ho scritto se ho preso la pastiglia, non ricordo se proprio non l’ho presa o se mi sono dimenticata di appuntarlo. Se adesso ti chiamassi forse tu ti arrabbieresti, mi diresti ancora che sono rincoglionita?

 

Mamma

Nella testa di mia nonna

Nella testa di mia nonna tutto è come lei vorrebbe che fosse: i desideri si realizzano, le cose brutte svaniscono.

Nella testa di mia nonna la realtà è emigrata lasciando spazio alla fantasia.

Nella testa di mia nonna un giorno di pioggia diventa soleggiato, il caldo afoso un tiepido venticello.

Nella testa di mia nonna la sofferenza non esiste, tutti stanno bene e lei capisce solo quello che pensa. Si passa una vita intera a pensare agli altri, a ricordarsi nomi, date, luoghi che alla fine tutto si fa luminoso, semplice luce che cancella il buio.

Nella testa di mia nonna l’unica nuvola è quando la realtà, timida, bussa a ricordarle che lei di ricordi ne ha ben pochi. Rimangono la gioventù, le vacanze in barca, l’amore della famiglia, il lavoro. Scompaiono con un colpo di spugna le ultime ore, quasi come se fosse un nastro sempre nuovo su cui incidere solo sorrisi.

Si ascoltano così tante lacrime, così tante cazzate, così tanti lamenti che alla fine si diventa quasi sordi al resto del mondo.  Ci si chiude in sé stessi quasi a dire che non si ha più voce per ascoltare, quasi a dire “vaffanculo” perché si passa così tanto tempo a rimanere ingessati, così tanto tempo a sorridere invece di arrabbiarsi perché non si rispetterebbe l’etichetta, che alla fine l’etichetta si taglia pure dai vestiti, che alla fine ad ottantaquattro anni si può dire “vaffanculo”.

E mia nonna ci sente poco ma ha denti perfetti, le è sempre piaciuto sorridere. Mia nonna da quando sono nata non ha mai cambiato pettinatura, i veri cambiamenti non si attuano che nell’anima.

Mia nonna legge sempre gli stessi libri e se le chiedi “non ti sei stufata di leggere le stesse storie?” ti risponde “è sempre come se fossero nuove, me le dimentico ogni volta” un po’ come i bambini con le favole.

E così ad ottantaquattro anni mia nonna si è creata il suo piccolo mondo fatto di poche voci e tanti sorrisi, così che per la nonna la realtà è più bella di quella fuori dal suo terrazzo fiorito, i rumori sono ovattati, il caldo è meno caldo, gli abbracci sono più veri.

Per mia nonna io sono ogni giorno più alta, ma per favore non ditele che è la sua schiena ad incurvarsi un po’ di più.

Ad occhi chiusi.

Hai sentito la mia carezza?
Hai sentito la mia carezza questa notte mentre ti addormentavi sfinita da lacrime malinconiche?
Vedi, mia cara, adesso ti riconosco. Adesso ricordo anche la piccola fossetta che ti viene quando sorridi davvero.
Percepisci, mia adorata, un leggero tepore sulla tua mano? Chiudi gli occhi, immagina che sia io a carezzarti.
Forse che quando abbandoniamo le vesti terrene il pensiero diventa impercettibilmente fisico, una leggera brezza tra i tuoi lunghi capelli, un battito di ciglia che scatena uragani.
C’è una tale pace qui, le farfalle vivono secoli interi.
C’è una tale pace qui che quando piove l’acqua è dolce rugiada, che se l’assaggi sa di vino francese.
C’è una tale pace qui che vorrei dirti, mia amata, di pensarmi così, leggera e in equilibrio. Un cerchio di luce, nuvola bianca.
Abbiamo così paura del cambiamento che abbandonare il fisico ci atterrisce al punto da annebbiarci il cervello, al punto che  non vogliamo più ricordarci come sia la vita per evitare di pensare alla morte.
Ma io ti dico, mia cara, non si muore che negli organi, non si muore che nelle cellule, non si muore che nei capelli che non dovremo più sistemare.
E allora guardami vivere, guardami gioire al tuo fianco come ieri quando una farfalla ti passerà accanto, quando il vento saprà di fresco, quando una mano ti fermerà sulle strisce pedonali, quando sorridendo penserai che, adesso, la tua stanza profuma di eucalipto.
Buon viaggio Amore mio, ti auguro di imparare, nel bene e nel male, quante più cose possibili.
Ti auguro l’ingenuità con chi è senza malizia, ti auguro solide armature con chi vuole solo calpestarti.
Ti auguro di guardare il mondo con gli occhi di un bambino, di non perdere mai la curiosità innocente.
Ti auguro di donare amore senza condizioni e di riceverne altrettanto.
Vorrei proteggerti da tutto, tesoro mio bello, ma per quanto mi costi caro dirti che non posso, credo che per avvertire fino in fondo la gioia si debba sperimentare anche il dolore.
Non preoccuparti per me, io continuo a vivere nell’aria che ti asciuga il viso.

Per sempre,
da sempre
con infinito amore.

Ho perso un treno ma sono ancora viva

Mia nonna mi ha sempre detto che se un treno è perso, è perso per sempre.

Ecco perchè il giorno in cui ho visto il mio partire mentre correvo disperata sul binario mi sono sentita morire.

“Starò a Milano Centrale per il resto dei miei giorni” pensavo “non ci sarà mai più un regionale come quello che dovevo e volevo prendere io”.

Mia nonna aveva ragione: i treni passano una volta sola e non ti aspettano, non come il postino.

Ad un certo punto un signore distinto in giacca e cravatta mi chiese se andava tutto bene e perchè stessi piangendo. Gli spiegai quello che credevo fosse un fatto gravissimo e lui, ridendo, mi disse “signorina ma per Torino c’è un treno ogni sessanta minuti e anche meno. Poi guardi che sono tutti uguali se non più belli e veloci di quello che ha perso”.

Avevo sedici anni ed era una delle prime volte che viaggiavo da sola, mi sentivo smarrita perchè ero abituata ad essere sempre in anticipo per tutto, anche quando non ce n’era bisogno. Avevo paura di perdere qualcosa che credevo prezioso ed irripetibile ma non mi ero mai resa conto che molte cose, in primis i treni, passano e se anche ne perdi uno c’è sempre quello dopo.

Non che ora io voglia mettermi a fare metafore azzardate, forzate e sdolcinate sulla vita, al contrario il mio è un grido contro i falsi insegnamenti delle nonne, contro la filosofia da mercato delle pulci.

Per esempio la gallina vecchia non fa buon brodo, al massimo fa milf.

Poi basta, basta e ancora basta con questa storia delle minestre riscaldate che non vanno bene, se fosse vero ci sarebbero generazioni di studenti fuori sede in preda a coliche e altri problemi intestinali.

E quella faccenda del chiudere una porta per aprire un portone? Certo è assolutamente vera, ma solo se stai uscendo di casa.

Io non lo so che m’è preso quel giorno sta di fatto che ero veramente arrabbiata: ora è mai possibile creare immagini così potenti nelle menti di poveri ragazzi innocenti se poi esse non corrispondo a verità? È tanto difficile dire “non rimetterti con quel cretino, l’hai già frequentato ed è andata male una volta, non c’è motivo di risbagliare” anziché obbligarmi indirettamente a trangugiarmi due piatti di minestra perchè mangiarne uno il giorno dopo sarebbe un sacrilegio?

La vita grazie a Dio (nonna sarebbe molto fiera di questo ringraziamento) non è un treno o una minestra o un arrosto con o senza fumo, non è una botte di vino né tanto meno un dilemma tra uova e galline dunque che senso ha banalizzarla con queste frasette da Platone di Settimo Torinese? Sarebbe come tentare di imbottigliare l’Atlantico, una cosa folle e priva di significato alcuno.

E dunque cara nonna io confesso:

perdo treni che è un piacere, adoro l’adrenalina della corsa all’ultimo minuto. Mangio con sommo piacere la vellutata di zucca del giorno prima e, ti dirò, se la lasci riposare una notte prende ancora più gusto. Scelgo sempre il vino nella botte grande ma solo perchè ce n’è di più. Preferisco la gallina all’uovo. Non prendo pesci neanche da sveglia quindi posso dormire un’ora in più al mattino. L’oro preferisco averlo al collo che in bocca. Esiste il fumo anche senza arrosto, dovresti saperlo visto che ami tanto l’Olanda.

Solo una cosa non posso contestarti, una verità assoluta: fioca mnu fioca fin al cu (nevica fine nevica fino al culo).

Ora devo andare, mi aspettano per tarallucci e vino.