Stanza 416

Abito in un hotel. È strano a dirsi, più strano ancora a viversi.

Abitare in un hotel, soprattutto se per lavoro, è estraniante. Quanti di voi si mettono il completo per prendere il caffè al mattino? Io lo faccio, non dispongo di una cucina. Quanti di voi vedono Sergio il concierge, e giuro che non è uno squallido gioco di parole, più della propria madre? Salvo che tu non sia la moglie, la figlia o l’amate di Sergio, credo che la risposta sia “io no”. Ritengo utile premettere che non sono un gigolò, una escort, una dominatrice e via dicendo.

Sono un consulente.

Fare il consulente significa fare molti lavori insieme. Innanzitutto l’agente commerciale Samsonite, ho così tante loro valigie che potrei essere sul loro libro paga honoris causa. In secondo luogo testo i mezzi di trasporto nel week end. Potrei farvi un report completo su chi sia meglio tra Trenitalia e Italo, su come si chiami e quale sia il codice fiscale dell’hostess Alitalia del volo delle 20:00, su quali snack valga la pena assaggiare e quali sia meglio evitare prima di un meeting. Lo so, avrei dovuto dire “riunione” ma tra noi consulenti se non inserisci un termine anglofono ogni sei parole paghi da bere, è una legge non scritta ma tremendamente applicata. Ah, durante la settimana naturalmente vado dal cliente di turno il che, diciamocelo, ricorda molto il lavoro di una prostituta. Ma io lo faccio con le cravatte di Marinella. Filo di seta ritorto a mano, mica reggicalze di pizzo cento per cento plastica del cinese alla stazione.

Definirei la mia vita sostanzialmente monotona. Vado in molte città visitandone solo gli alberghi in cui alloggio, prendo più aerei che caffè, cambio più cravatte che fidanzate. Ho sviluppato una notevole abilità nell’inquadrare le persone al primo sguardo. A forza di dover analizzare numeri sono finito ad analizzare anche inconsapevolmente tutto ciò che mi circonda. E ci prendo spesso.

In un ristorante so immediatamente individuare chi è al primo appuntamento, chi è a cena per l’anniversario di un matrimonio che lo annoiava ancora prima del sì, chi sta per fare la proposta, chi è a cena con l’amante. E fidatevi, non sbaglio.

L’altra sera, come  tutte le sere, stavo gustando il mio whiskey nella hall. La coppia che sedeva nel tavolino accanto al mio era senza dubbio di neurochirurghi. C’è un convegno in questi giorni e la città in cui mi trovo non è di sicuro un luogo turistico e, soprattutto, questo non è un albergo turistico.

Parlavano di poesia, lei aveva lunghe mani sottili e un vestito nero estremamente serioso. Lui aveva un completo anonimo, non ricordo esattamente il colore.

Colleghi, vecchi compagni di università. Lui sicuramente proveniva da una famiglia di medici, il padre l’aveva dispoticamente indirizzato verso la chirurgia e lui si era trovato a vivere una vita che sentiva non appartenergli, un po’ come quel suo brutto completo. Lei era la secchiona, quella a cui tutti chiedevano appunti, chiarimenti, suggerimenti durante gli esami. Aveva indubbiamente visto più lodi che uomini nudi ma la medicina, si sa, non ammette rivali in amore.

Ritenendomi più che soddisfatto della mia impeccabile analisi, ho deciso di andare a dormire. C’è stato un momento in cui nessuna persona solitaria vorrebbe trovarsi, il momento in cui prendi l’ascensore con una coppia di sconosciuti. I neurochirurghi pseudo poeti stavano salendo con me e lui, galantemente, le stava proponendo di bere l’ultimo bicchiere in camera sua così da ripassare insieme l’intervento per il congresso.  Erano neurochirurghi dunque, punto per me. Lei, come previsto, si è impercettibilmente irrigidita ma la sua gentilezza ha finalmente prevalso sul suo animo bacchettone ed ha accettato. Caso vuole che l’allegro chirurgo alloggiasse proprio nella stanza accanto alla mia, stanza 416, e con un sorriso pieno d’imbarazzo ci siamo congedati sulle rispettive porte. Lui ci avrebbe timidamente provato, lei si sarebbe, al massimo, lasciata baciare e sarebbe fuggita come una dodicenne al momento di concretizzare. Lui avrebbe bevuto un ultimo bicchiere da solo ripetendosi che se almeno avesse fatto ginecologia qualche donna senza mutandine l’avrebbe vista.

Mi piace inventarmi queste storie, mi piace perché ho sempre ragione. Più che altro non ho nessuno che mi contraddica. Avere ragione ha per me un effetto più calmante del Minias, dormo come un bambino. Credo di essermi addormentato dopo trenta secondi, massimo quaranta.

È successo verso le 4:00. Mi sono svegliato di soprassalto. Pensavo di essere finito in un film splatter di pessima fattura. Svegliato da un urlo, che trama banale. Quando già stavo per chiamare la polizia ho realizzato tuttavia che quelle erano urla, sì, ma di piacere. Hai capito la secchiona. Un secchio pieno d’alcol più che altro. Dopo aver pregato affinché i muri della stanza non cedessero di colpo, dai colpi sarebbe meglio dire, stavo quasi per riaddormentarmi deluso per la mia pessima prestazione da indovino quando la poetessa si è risvegliata.

Neruda scrisse una poesia dal titolo “La poesia” che recitava “la poesia venne a cercarmi… non so come né quando…”. Dev’essere proprio così che succede. Mentre passeggi, mentre bevi un caffè, mentre parli con una sconosciuta in discoteca. È lì che arriva la poesia, è lì che ti assale come un borseggiatore sapientemente nascosto dietro gli angoli bui.  La poesia venne a cercare la neurochirurga in una quiete notte di Dicembre in un mediocre albergo di provincia dopo una notte d’amore non programmata. Fu spontanea, il primo verso uscì naturale come un colpo di tosse dopo il primo tiro di sigaretta, come uno starnuto quando guardi il Sole. Fu durante quella notte che capii che io le persone non le avevo mai capite, che l’apparenza non descrive l’essenza. Fu in quella notte che, dopo un orgasmo, la neurochirurga rispolverò un accento ciociaro mascherato da anni di impeccabile dizione, il cuore non ha “e” aperte che tengano. Fu in quella notte, dicevo, che la frigida secchiona ormai chirurgo urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni “il tuo cazzo è una benedizione”.

La poetessa mi provocò il riso fino alle lacrime e, quando ormai avevo i crampi agli addominali, riuscii a riaddormentarmi.

Avere torto non era mai stato così divertente.

 

 

Ps. La storia è liberamente ispirata a fatti realmente accaduti. Ci sono storie che meritano di essere raccontate e questa è una di quelle.

Studiati la vacanza

Gentile studente,
Anche quest’anno la tua università ha pensato a te.
Recenti studi del dipartimento di statistica mostrano come il 75% degli studenti italiani reputi un lusso il caffè al bar preferendo fare ore ed ore di coda davanti alle macchinette per un risparmio di circa 0.50 €.
La paghetta media di uno studente si aggira (eventuale affitto escluso) intorno ai 200 € mensili che il 75% degli intervistati investe esclusivamente in azioni ai tre luppoli (birra ndr).
Analizzando dunque le scelte consapevoli di questa fascia di consumatori, tenuto conto del prezzo medio di una vacanza di una settimana e dello stipendio esentasse degli studenti, le Università italiane hanno fondato una loro personale agenzia di viaggi: “Studiati la vacanza”.
Le proposte sono tante e tutte a costo quasi zero! Scegli la più adatta a te e prenotati sul sito del tuo ateneo!
Qui di seguito le opzioni più gettonate.
Categoria summer sport, per un’estate con un fisico studioso:
-scherma con i tubi porta progetti (riservato agli studenti di architettura, possibilità di corsi avanzati e principianti)
-corsa ad ostacoli tra i muschi : trova il tuo posto nelle affollate e sudate aule studio (possibilità di effettuare anche corsi di sopravvivenza)
-lotta libera applicata , lancio di manuali e spallate per il posto a sedere

Categoria cucina:
-olio di gomito e studio, mille usi che non conoscevi
-due palle così, tritatura e macinatura della carne da esami
-cigno, dal tiro alla pentola

Categoria viaggi culturali:
-lonely planet delle aule studio, tour alla scoperta dell’aria condizionata
-i segreti dei codici, da Da Vinci a Rocco, tra letteratura e diritto
-monumenti, i compagni che ti passano gli appunti e la beatificazione

Categoria benessere:
-bagno turco, la sudata prima dell’esame e l’eliminazione delle tossine
-energy drink, classi contro l’abuso
-tumori della pelle, i mille vantaggi di non prendere il sole

Prenotati, i posti sono limitati! 
Offerta valida fino ad esaurimento esami o esaurimento nervoso.
In collaborazione con l’associazione culturale “l’unico fisico bestiale lavora al Cern” e “Clinica riabilitativa per i fuori corso”.

Ringraziandoti per l’attenzione, ti porgiamo i nostri migliori auguri.

Agenzia viaggi “Studiati la vacanza”

Un cappello alla guida

Questa che vado a raccontare è una storia vera anche se potrebbe sembrare una leggenda.  Questa che vado a raccontare è una storia in cui ognuno di noi, nessuno escluso, può ritrovarsi senza essersi mai perso.
I cattivi di questa storia sono molti e tutti simili. Vagano per le strade armati di rughe, cappello e una macchina targata Cuneo. I nostri cattivi pensano di essere buoni, di essere depositari della guida in sicurezza e dell’eterna giovinezza. Si mettono al volante con le lenti così spesse che qualche mala lingua sostiene siano antiproiettile. Escono di casa e il loro obiettivo agli occhi del mondo sembra essere uno solo: mettere alla prova l’altrui capacità di conquistarsi il paradiso.
Vien quasi da pensare che siano i black blocks delle parolacce, istigatori di scurrilità.
Procedono con calma senza mai oltrepassare i venti chilometri orari, sia mai che volasse il cappello per la velocità. Si fermano a semaforo verde, si buttano con non chalanche a semaforo rosso. Forse la vecchiaia stimola il daltonismo.
Fortunatamente sono una specie rara, o forse no. Contrariamente ai panda e alle tigri siberiane, gli anziani cuneesi col cappello sembrano essere numericamente superiori ai cinesi.
Il perchè vaghino in macchina costantemente e a qualsiasi ora del giorno rimane per la scienza un mistero nonostante stia dando buoni risultati una ricerca sul magnetismo triangolare rughe-coppola-cantiere.
Nella nostra storia, tuttavia, pur non essendo una favola esiste una morale. E quale sarà,  vi starete chiedendo, tale morale?
Forse che bisogna apprezzare la gratuità del corso di meditazione offerto mentre si trattengono le ingiurie verso i saggi cappelluti?
Forse che non tutti i cuneesi vengono per nuocere?
No. La realtà signori miei è che queste figure quasi mitologiche sono davvero mandate da Dio. E lo prova non solo il fatto che statisticamente sono arrivati alla loro tenera età nonostante la discutibile guida, non solo il fatto che la fuga di molti rapinatori si è conclusa mentre aspettavano che i nostri paladini parcheggiassero, ma anche il fatto che oggi, sì oggi, stremata da un’estenuante attesa io, voce narrante, ho ceduto alla tentazione diabolica delle ingiurie ed io, innocente vittima di un disegno divino forse troppo grande per essere compreso, dopo aver finalmente parcheggiato sono stata assaltata dal mitologico Piccione Defecatore.
Ed ecco dunque la morale: chiunque voi siate, ovunque vi troviate, dai cuneesi col cappello scampo non avrete: se male non direte attendere dovrete, se al clacson vi attaccherete  sul cappotto un escremento del Puccion Defecator vi troverete.

Mi è piombato addosso l’amore

Ho sempre pensato che sarebbe arrivato, che prima o poi sarei uscita di casa e avrei trovato Lui su un’alfetta rossa che di cavalli ne ha ben più d’uno.

Ero certa che saremmo andati a cena in un ristorante con terrazza a picco sul mare : un locale intimo, non più di dieci tavoli .

Sapevo che ci saremmo ubriacati di risate e vino bianco mangiando del buon pesce, per dessert un sorbetto limone e vodka.

Immaginavo di passeggiare sulla sabbia a piedi nudi mano nella mano con un vestito di seta e la testa leggera.

Sostanzialmente la versione alcolista di una principessa Disney e dire che io odio le principesse.

Non è colpa mia, solo che quei “principe azzurro” e “vissero felici e contenti” a forza di sentirli ti s’incastrano nella mente e farli uscire risulta più difficile che montare un mobile ikea senza istruzioni.

Comunque non vi preoccupate, oggi ho capito che l’amore arriva quando meno te lo aspetti e ti fa davvero girare la testa.

Com’è successo ?

All’improvviso, un attimo prima non c’era e l’attimo dopo si : è stato un colpo anche se non propriamente di fulmine, direi un colpo e basta.

Non era una giornata buia e tempestosa nè particolarmente soleggiata e allegra, non stavo parlando con gli scoiattoli del parco nè ero in contemplazione della natura e dei misteri della vita ; era una mattina assolutamente normale e stavo tornando a casa con le borse del supermercato pregando divinità fino a quel momento sconosciute che le buste di plastica reggessero almeno fino al portone d’ingresso.

È stato allora che mi è piombato addosso l’amore : ho sempre pensato che avesse un gusto dolce, invece devo dire che ha quel non so chè di sangue.

Stavo arrancando verso casa, come dicevo, e ad un certo punto ho sentito venire da una casa vicina delle urla di donna « maledico il giorno in cui sei nato ».

Normalmente non avrei fatto una piega, avrei continuato per la mia strada dimenticandomi dopo pochi passi delle voci, ma questa volta non potevo : era chiaramente una citazione di Sex and the City e si sa che ogni donna ne ha visto almeno una puntata, io nello specifico le so quasi tutte a memoria.

Ho alzato gli occhi incuriosita per vedere che aspetto avesse quella fantastica ragazza che, in pieno litigio, riusciva a usare le frasi di un telefim dai contenuti profondi quanto una vaschetta lavapiedi : è evidente che non capita tutti i giorni.

Quello che ho visto è stato solo un mazzo di fiori, banalissime rose rosse per giunta, che si avvicinava alla mia faccia a discreta velocità.

Ci sono attimi in cui sai benissimo cosa dovresti fare : un passo avanti o perchè no anche indietro, ma tutto quello che pensi si tramuta nell’immobilità più totale, una specie di paralisi momentanea abbinata ad una bocca spalancata.

È un po’ come quando nei film d’azione inizi ad urlare al protagonista cosa dovrebbe fare senza che lui reagisca, solo che il grande attore sei tu.

Che poi voglio dire possiamo filosofeggiare sulle spine delle rose intese come le trappole dell’essere, ma i fiori in faccia non fanno particolarmente male; il vero motivo del mio terrore era quella scatola di cioccolatini a forma di cuore tutta bella decorata, tutta bella di latta.

Una sorta di schiaffo non morale, un kharma con grande senso dell’umorismo e un tempismo degno di Willy il coyote.

Ho pensato che come ricompensa almeno avrebbe potuto soccorrermi un Raoul Bova per caso nei paraggi ma sono umile e dunque mi sarei accontentata anche solo di un classico ma intramontabile Brad Pitt invece no, a chiedermi se stavo bene è stata una signora sulla settantina che ha prontamente commmentato “per fortuna che è successo a lei e non a me!”, un’amore di donna in breve.

Che poi io non ho mai avuto nulla contro San Valentino, non mi piace festeggiarlo ma non insulto chi porta a cena il proprio fidanzato o si fa regalare i tulipani di mezza Olanda; ci ho pensato a lungo su che segno potesse essere questo, ma a parte quello sul labbro non ne ho trovato alcuno.

Ah e per la cronaca i cioccolatini me li sto mangiando io, stronza.

Buona festa degli innamorati.