Ho visto i maiali volare, Gesù Cristo imprecare, ho riso per uno che quando parlava non si capiva niente.
Questi tre attori erano già buffi di loro, uno alto, uno medio e uno basso. Un barese, un toscano ed uno non lo so. Pare l’inizio di una barzelletta da raccontare la domenica in bocciofila. E invece questi sono attori professionisti.
Dunque, andiamo per ordine.
Signori e Signore. Che poi questa la capisce solo chi c’è stato a vedere i Racconti Buffi ma alla fine rivolgermi a più di cento persone mi sembra un numero sufficiente.
Signori e Signore. Vittorio. Mani di libellula, capelli da topo di città.
Ed ecco Beppe, alto e magro, spalle strette piedi lunghi, non chiedetegli se è di “Beri” che vi racconta vita morte e miracoli di come Lino Banfi abbia rovinato la reputazione dell’accento pugliese in Italia. E sappiate che si dice semplicemente “Bari”.
Giuseppe Scoditti racconta di un maiale, della sua maiala che detto così suona male ma intendo dire la sua fidanzata, del regalino di Dio, un bellissimo paio di ali e di come, a volte, una puzzetta possa costarti il posto in paradiso. Tutto in pugliese. Mentre cerchi di non dar peso al male ai muscoli facciali dal ridere, ti complimenti pure con te stesso per aver capito un monologo in un dialetto che non sapevi di conoscere. Sorprendente.
Lorenzo Frediani. Maremma Lorenzo che bischero. Gesù con lui è davvero bambino, un timidone che vuol solo giocare con Pietro e gli altri. Sogna di fare il capo dei giochi, chiama il babbo e fa i capricci, fa i miracoli solo per ingraziarsi gli amichetti. Insomma, è un po’ come quando al mattino ti alzi ed il tuo mignolo incontra lo spigolo del comodino, come quando ti aprono una porta sul muso, come quando, in sostanza, non ti resta che dire “complimenti Gesù, un comportamento molto maturo per una divinità”.
La regia dice che a Piombino c’è un’ottima pasticceria, mi sembrava giusto ringraziare gli sponsor prima di concludere.
E poi entra lui, l’uomo che sul palco non teme confronti con l’arcangelo suo omonimo, l’uomo a cui tutti a fine spettacolo han detto “sei un grande” nonostante sfiori il metro e settanta solo con i tacchi. L’uomo per cui il mio vicino mi ha tirato una pedata sulla schiena mentre si contorceva dal ridere. Ho ancora la tua suola sulle vertebre stronzo. L’uomo che, per dovere di cronaca, risponde al nome di Gabriele Scarpino e che, per venticinque minuti, ci ha ipnotizzati con un monologo in grammelot. Ed ad un certo punto ho pensato che il Piccolo Teatro Giraudi venisse giù a forza della fragorosa risata della vecchina in quinta fila. La cosa mi ha rincuorata, almeno sulle corde vocali non ha rughe la signora.
Che poi a ben pensarci quello che ci ha divertiti non sono state le classiche battute sulle tette, sul sesso, sulle relazioni tra uomini, donne e vigili urbani.
No. Quello che ci ha divertiti è stato vedere Dio che ci mette e ci toglie le ali (l’ufficio legale Redbull mi ha dato il nulla osta per i diritti sulla frase), Gesù che diventa umano non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Gesù che sbaglia come noi, che fa i capricci, che si vendica. Abbiamo riso, infine, nel vedere come l’uomo abbia creato la tecnologia rimanendone, in alcuni casi, egli stesso vittima.
Come direbbe Pirandello, Il comico è un “avvertimento del contrario” ed I Racconti Buffi ce ne hanno dato prova.