Cara Nonna

Cara nonna,

è tutto un po’ più pesante, sarà che ci hai lasciati a inizio estate, sarà l’umidità, sarà che i vestiti ti si appiccicano addosso come i ricordi. È tutto un po’ più lento, mastico di più, lascio che la birra diventi calda, aspetto a lungo il sonno. Non piango quasi mai anche se, quando succede, succede piano, in silenzio, senza urla né disperazione, solo con una placida malinconia.

Le domeniche senza di te sono più silenziose, forse speriamo di sentirti suonare il campanello. Anche il telefono tace, forse perché adesso non t’importa sapere dove hai messo le pastiglie. Forse non ti è mai interessato ma non trovavi una scusa migliore per sentire la nostra voce.

Non è facile, sai, sconfiggere l’egoismo di chi resta, non è facile accettare col sorriso che non mi gratterai la testa raccontandomi dei tuoi viaggi. Li conosco a memoria da una vita, lo sapevi, ma era l’unica scusa che trovavo per ascoltare a lungo la tua voce. Mi faceva addormentare come una bambina le fiabe. Tra qualche tempo guardando le diapositive racconterò a tutti del tuo giro in elicottero, racconterò com’eri felice guardando New York, racconterò di quando da giovane eri gelosa del Nonno.

Chissà dove sei ora, fuori c’è un bel vento fresco dopo giorni di afa, chiudo gli occhi e mi sembra una tua carezza. Chissà dove sei ora, forse in un mare azzurro dopo mesi di cemento.

T’immagino come un sole che tramonta sul mare, ma adesso che è arrivata la notte insegnaci a guardare le stelle.

Oltre la tendina

Da quando ti ho incontrato non è cambiata molto la mia vita.

Non ho bisogno di te, l’amore non è un bisogno, respirare lo è ma sono ragionevolmente sicura che lo facessi anche prima d’incontrarti.  Certo, quando ti vedo il respiro si affanna impercettibilmente ma succede anche quando vado a nuotare. Mi si dilatano le pupille quando ti ho davanti ma non temere, accade anche se guardo le vetrine delle pasticcerie del centro. Mi capita di sentire le farfalle nello stomaco, somigliano a crampi da fame: sono gli effetti della dieta per la prova costume. Rido più spesso, è che bevo più vino. Le persone mi dicono che ho lo sguardo più luminoso, sono le lenti a contatto che riflettono la luce. Mi sento bella anche se sono in tuta e coi capelli raccolti, c’è da dire che mi sono iscritta a pilates e mi è venuto proprio un bel culo.

Vedi, da quando ti ho incontrato la mia vita non è cambiata molto. Certo se ti stringo forte sento come una scossa che mi percorre l’anima ma è che mi dimentico sempre di togliere la vibrazione dal telefono. Che poi non è che non ti conoscessi prima d’incontrarti ma vedi bene che c’è differenza tra “ciao come stai?” e “ciao, ti amo”, non che abbia smesso di chiederti come stai, è solo che adesso in quel “come stai” ci sono anch’io.

Abbino slip e reggiseno, è che proprio non riesco a togliermi dalla testa che se dovesse succedermi qualcosa starebbe male finire in pronto soccorso con le mutandone con gli orsacchiotti. Faccio la ceretta anche in pieno inverno, può essere che con questo clima pazzo il 13 gennaio scoppi la primavera. Guardo la Champions League aspettando il tuo commento tecnico, non che tu ne capisca molto di calcio ma mi piace vedere come si muovono le tue labbra quando parli con passione.

Mi capita di pensare a dei viaggi e mi capita di pensare di farli con te, ogni solitario che si rispetti ha un compagno di avventure. Un po’ come se io e te avessimo quattro gambe, quattro braccia, due teste e un tronco solo. Un mutante orribile a vedersi, certo, ma in una favola che mi leggevano da bambina si diceva che l’essenziale è invisibile agli occhi. E in effetti io ti guardo meglio al buio. Non ho molti soldi in banca ma appena posso ti compro un regalo solo per vedere se i tuoi denti sono sempre bianchi quando sorridi. E lo so che non dovevo ma mi piace infrangere le regole fin da quando ero bambina e bambina, con te, un po’ mi ci sento. Passo più tempo al supermercato per cercare qualcosa che possa piacerti, hai delle fisse notevoli sul cibo.

La verità è che ho meno paura da quando ti ho incontrato. L’altra sera, per esempio, sono scesa in cantina a prendere due birre ed ero sola, non era mai successo. Ho girato la chiave senza pensare alle centinaia di maniaci che da anni si nascondono là sotto, sono entrata decisa e li ho visti uscire uno ad uno, sarà che più aumentano le zampe di gallina più la paura diventa razionale, una ragioniera acchiappa fantasmi con quelle visiere verdi e gli occhiali tondi.

Da quando ti ho incontrato la mia vita non è cambiata molto, io ero sul mio solito aereo nel mio solito posto in economy che non è male,  il sedile non è larghissimo e il cibo ha quello strano retrogusto di plastica ma dal finestrino si vedono le nuvole. Mentre finivo di sistemare il mio bagaglio è arrivata un’assistente di volo dicendomi che c’era un posto libero in prima classe, che se volevo potevo accomodarmi oltre la tendina. È strano perché mi ero sempre chiesta cosa ci fosse oltre la tendina, due mondi separati da un paio di metri di stoffa scura, da un muro di velluto. La fissavo per ore senza mai trovare il coraggio di scostarla, di sbirciare. Temevo che mi avrebbero cacciata in malo modo e invece adesso quasi non mi sono accorta di aver varcato quella soglia, l’ho calpestata come un qualsiasi centimetro di pavimento, quasi come se la paura non avesse fatto in tempo a fermarmi che già ero lontana.

Così sono sullo stesso aereo ma ho un sedile più comodo, i funghi sanno finalmente di funghi e vedo le stesse nuvole ma ho un finestrino tutto per me. Non ho cambiato destinazione, semplicemente ci arriverò sorseggiando champagne oltre la tendina.

Prossima fermata.

Il pullman delle 8:00 è sempre pieno, potrebbero metterne uno ogni minuto che comunque non troveresti un posto a sedere. Sono convinto che ci sia una creatura malvagia che crea cloni di passeggeri solo per dispetto,  non trovo altra soluzione logica. Tendenzialmente mi isolo con un po’ di musica o un buon libro ma oggi ho dimenticato tutto sul tavolino nell’ingresso  e sarò dunque costretto ad origliare le confidenze della liceale brutta che si lamenta del fatto che il ragazzo più carino della scuola non le chiede di uscire. Tesoro rassegnati, gli uomini iniziano a guardare il cervello solo dopo i ventisette, prima o hai un bel sedere o puoi farti suora.

Siamo stretti già alla fermata, salire sul pullman sarà una gara di contorsionismo. L’autista potrebbe fare il giudice e regalare un viaggio gratis al vincitore, si potrebbero organizzare tornei tra le varie linee, non sarebbe male per niente. Eccolo finalmente il Caronte, il traghetto verso l’ufficio, la morte dell’anima.

Non vi ho ancora parlato del mio hobby che punto a far diventare un lavoro nei prossimi vent’anni: annusatore di deodoranti. Di necessità virtù diceva mia nonna ed eccomi qui, in piedi, schiacciato tra circa otto ascelle per tragitto. Ho provato con l’apnea, avevo fatto anche un paio di gare ma non sono mai riuscito a superare le tre fermate consecutive e io di fermate ne devo fare quindici, capite bene che l’ossigeno è più importante del disgusto così mi sono sforzato di trovare il lato positivo della mia orrenda situazione. Potrei consigliare ad ogni passeggero quale deodorante utilizzare, se quello che hanno messo la mattina contiene troppo alcool o se sarebbe meglio optare per un profumo neutro anziché quello al muschio bianco. Ho anche fatto richiesta di assunzione ad una nota azienda del settore, ho il colloquio a breve.

Un ragazzo col giubbotto militare e l’aria sofferente sale a bordo biascicando che ha molto mal di stomaco ed effettivamente è pallido, quasi cadaverico. Una studentessa gli lascia il posto, un’eroina dei tempi moderni e devo dire che mi suscita molta ammirazione: per me trovare posto a sedere equivale a vincere alla lotteria e di sicuro non cedo il biglietto vincente al primo finto infortunato di turno.  Il bus prosegue mentre un signore al mio fianco conclude affari al telefono, indubbiamente è una persona che ci tiene molto alla privacy o più semplicemente è un narcisista e gli piace l’idea di sembrare il Warren Buffet del 5/. Tra un semaforo ed un clacson alla fermata successiva sale una ragazza sui trent’anni e si appiccica alla porta come un topo in trappola, la signora dietro di lei inizia uno strano gioco di sguardi con qualcuno alle mie spalle: annuisce, sorride, parla a mezza bocca. Probabilmente si conoscono. La ragazza sui trenta scende dopo una sola fermata, strano: nessuno aspetta per quindici minuti un bus per poi fare una sola fermata. La signora alle mie spalle dice a gran voce:  “Vede? Le facevo segno perché quella ragazza ruba, la vedo sempre e ruba. Si mette vicino alle porte, dà uno spintone e in un secondo ti trovi senza portafogli. Ma io lo dico eh, se io la vedo fare movimenti strani lo dico subito e infatti mi conosce, mi ha vista ed è subito scesa. Che poi uno pensa che sia solo la gente mal vestita a rubare invece questa signora sale sempre ben vestita, non sospetteresti mai e invece zan zan”, ecco svelato il mistero. D’istinto controllo il cellulare in borsa, non so perché ma il mio cervello immediatamente pensa che sia la signora alle mie spalle la vera ladra. In fondo adesso si è conquistata la fiducia di tutti denunciando un furto e la gente è più rilassata, pensa di aver scampato un pericolo, mica ti aspetti che chi urla “attenti al ladro” ti scippi mentre parla. Però sarebbe una tattica infallibile. O forse non mi fido delle persone, non se hanno un pessimo deodorante: il deodorante dice molto sulle persone e questa signora ne ha uno troppo profumato per essere sincera, trasparente.

Una donna incinta mi chiede se scendo alla prossima fermata, mi faccio da parte e la lascio passare. Ora io non so quante donne incinta io abbia visto nella mia vita ma posso assicurarvi che lei ha la felicità dipinta sul viso, ha uno sguardo così luminoso che sicuramente non accende mai le luci in casa. È raggiante e sembra che le malelingue di questo bus non la sfiorino, come se lei stesse volando sopra le teste di tutti, sopra il mondo insieme a quella piccola vita che porta in grembo. Sono sul punto di commuovermi ma improvvisamente mi ricordo che sono le otto e un quarto del mattino e per mia personale attitudine non posso provare sentimenti positivi prima delle otto e trenta. Lei scende e respira a pieni polmoni l’aria pungente del lunedì mattina, io faccio brevi inalazioni di sudori. Proseguiamo mollemente il nostro tragitto. Una ragazza legge Faletti, il vicino tenta di rubarle quelle poche righe che riesce a vedere, Warren Buffet gioca a solitario sul telefono, gli altri guardano il traffico al di là del finestrino.

Avete mai avuto lo strano presentimento che stia per succedere qualcosa di terribile? La netta sensazione che il destino vi stia letteralmente prendendo per il culo?  Forse esiste davvero il sesto senso, forse dovremmo ascoltare di più il nostro istinto.

I miei pensieri vengono interrotti dalle grida di quel giovincello col mal di stomaco:  “la mia ragazza mi ha lasciato e io le ho sempre detto che non potevo vivere senza di lei, non potevo. Lei è perfetta, è la dimostrazione che Dio esiste, lei è l’amore della mia vita e io non posso vivere senza. Così ho fatto una follia e sono salito su questo autobus per andare in ospedale ma è troppo tardi. Scendete tutti, scendete subito, fermate questa cosa se non volete che diventi la vostra tomba. Io non volevo, io chiedo scusa a tutti. Mi dispiace, mi dispiace davvero.”

Nota importante: se non siete in una cucina e sentite un timer suonare non preoccupatevi, sarete morti nel giro di pochi istanti. Avete mai sentito una bomba esplodere dentro lo stomaco di qualcuno? Immagino di no. Bè per vostra curiosità è come ascoltare il più grande rutto della vostra vita solo che, se riuscite a sopravvivere, vi renderete conto di essere pieni di pezzetti di carne, un po’ come se vi tirassero dello spezzatino in piena faccia, sughetto compreso. Io comunque sapevo che quando si è innamorati si sentono le farfalle nello stomaco, mica le bombe. Probabilmente è più veritiera quella storia della scintilla o meglio della miccia. E non provate ad affannarvi o a fare movimenti strani, succede tutto così in fretta che non avete nemmeno il tempo di sbattere le ciglia, nemmeno il tempo di dire “boom”.

Mentre medici e infermieri tentano disperatamente di salvarmi io sono accanto a loro e guardo il mio corpo senza un braccio. Ho sempre detestato i miei bicipiti eppure adesso trovo che per quanto fossero piccoli mi stava proprio bene il braccio destro. Non preoccupatevi per me, sono già qui, sono già alla prossima fermata. Se sono arrabbiato? Perché dovrei? Sono solo morto, niente d’irrimediabile. Non dovrò più andare in ufficio e se mi va bene posso godermi una bella vacanza alle Bahamas, ho sempre voluto farla. Potrei visitare la Patagonia, immergermi con le balene.

Va bene allora io tolgo il disturbo, ora che nessuno mi vede vado a defecare sulla scrivania del mio capo, speriamo solo che la cacca d’angelo puzzi davvero come quella di un neonato.

Dolce come la mielite

Oggi è la giornata della malattie rare e ho deciso di rispolverare questo brano.
Ho avuto una malattia rara e ho avuto il gran culo di guarire.
Se potessi tornare indietro e decidere il mio futuro sceglierei di nuovo la mielite. Perchè senza di lei non mi sarei mai resa conto di avere una spina dorsale, perchè senza di lei non avrei mai scoperto quanto può essere divertente cadere se impari a rialzarti. E grazie alla mia Mariella che guarisce il cervello sì, ma soprattutto la mente.

Fiocco A Collo

Ho aperto il cassetto dei ricordi. C’era una busta bianca, intatta. Sapevo benissimo cosa fosse ma ho comunque letto il nome del destinatario: “a chiunque tu sarai, da chi sei stata”.
Mi tremava la mano, ma ho trovato la forza di aprirla.

“è già il 30 aprile 2014? Come passa in fretta il tempo, dieci anni in meno di un secondo. Parlami di te, che aspetto hai? Sei innamorata? Ti son cresciute le tette o continuiamo ad assomigliare più ad un asse da stiro che ad una donna? Cosa studi? Ti sei fatta nuovi amici? Hai un fidanzato? Io no, cioè si. Sai sono piccola ma non stupida, credo. Non so quanto riuscirò a scriverti, c’è quest’odore di disinfettante che mi dà alla testa. Pensa che ridere se ora ti venisse in mente il momento esatto in cui tu eri me, in cui avevi questa penna tra le dita. Ti…

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Ad Intermittenza.

Bimba mia,
Un tempo quando parlavo di lucidità mi riferivo a quella del tavolo di cristallo, mai avrei pensato di usarla per parlare della mia mente.

Ti chiedo scusa, immensamente scusa anche se, purtroppo, non ricordo bene per cosa.

La demenza senile è una cosa strana, è una lampadina avvitata male che si spegne e si accende come vuole. Ti chiedo scusa perché non so riavvitarla. Tu guardandomi pensi che sia fulminata, un vecchio aggeggio da cestinare. Hai mai pensato che io sento l’energia ma non riesco a illuminarmi? Non sono spenta, non sono morta. Sono intermittente.

Non ho scritto se ho preso la pastiglia, non ricordo se proprio non l’ho presa o se mi sono dimenticata di appuntarlo. Se adesso ti chiamassi forse tu ti arrabbieresti, mi diresti che sono rincoglionita e ti direi che hai ragione. Forse tu non lo vedresti ma il mio cuore avrebbe un battito in meno, morirei per un istante.

Ti ho messa al mondo e ho giurato che ti avrei protetta dal freddo, dal mostro sotto il letto e dalla sofferenza inutile. Così mi chiedo che senso abbia continuare a stare qui se sono io stessa a gelarti il cuore, io stessa a chiamarti per scacciare i mostri della memoria, io stessa a farti soffrire.

Ti ricordi com’ero bella e forte mentre ti crescevo? Se mi abbracci troverai ancora un po’ di luce nei miei occhi. Lasciami andare, non verso la morte questo no, lasciami scorrere senza preoccupazioni verso una nuova fanciullezza. Lascia che dimentichi le pastiglie ma che ricordi l’aperitivo con le amiche. Lascia che ti chieda venti volte se hai già chiamato Laura, credi che non abbia anch’io la sensazione di avertelo già chiesto?  Io non ho colpa ma forse me lo merito, non sono mai stata spensierata come adesso, non sono mai stata fantasiosa come ora. Ho perso la memoria ma non è nel mio nascondiglio segreto. Nemmeno quello ricordo dove sia. L’ho persa ma, come vedi, ancora viene a trovarmi come uno spasimante che non si rassegna.

Prendimi tra le tue braccia e cullami come facevo io, dammi un bacio in fronte e dimmi che andrà tutto bene, che ci sei tu a tenermi la mano. Cerca di vedere la luce anche nei miei attimi di buio, cerca di immaginarti come io mi senta in colpa nei miei attimi di luce. Non ricordo se non le cose importanti, allora da vecchia mamma un po’ rimbecillita tutto quello che davvero ti chiedo è: fai sì che le cose importanti che ricordo siano il tuo sorriso e le risate dei nipoti, niente lacrime e urla. Perché nessuno ne ha colpa, non rendermi colpevole. Non ho scritto se ho preso la pastiglia, non ricordo se proprio non l’ho presa o se mi sono dimenticata di appuntarlo. Se adesso ti chiamassi forse tu ti arrabbieresti, mi diresti ancora che sono rincoglionita?

 

Mamma

Nella mia Memoria, mio nonno Vive.

Io mio nonno non l’ho mai conosciuto. Mio nonno paterno, s’intende.

Mi hanno detto che era una persona buona, saggia. Mi hanno detto tante cose anche se quello che so di lui lo devo ai suoi quaderni e lo devo alla nonna che me li ha regalati.

Mio nonno era strabico, guardava sempre le cose da più punti di vista. Mio nonno quando suo padre gli aveva proposto di comprargli un’azienda si era rifiutato, ci sono compromessi a cui non si può scendere e lui non poteva non schierarsi con i deboli. Così ha fatto il sindacalista per tutta la vita. Mio nonno non era uno che si accontentava ma le sue grandi conquiste erano quelle che molti considerano piccole gioie quotidiane.

Mio nonno sapeva cambiare idea e dunque non era uno stupido, che solo gli stupidi non cambiano idea. Mio nonno era un sottufficiale della Folgore perché c’è stato un tempo in cui aveva creduto che il Fascismo coincidesse coi suoi ideali. Era scappato dopo l’otto Settembre per unirsi ai partigiani, mio nonno ha sempre lottato per la Libertà, aveva solo sbagliato luogo in cui cercarla.

Se in amor vince chi fugge, così non è in guerra. I nazisti lo catturarono in Toscana e lo portarono in un campo di lavoro. Lo picchiarono quando tentò di rubare un tozzo di pane dalle fauci del cane di una guardia, gli sputarono addosso solo perché la sua nazionalità non era quella giusta, non era più quella giusta.

Era il 29 giugno quando fece ritorno. A salvargli la vita fu un suo amico che gli impedì per tutta la prigionia di scambiare il rancio per le sigarette. Non preoccupatevi, ha recuperato tutti gli arretrati di tabacco con gli anni.

Forse per gli orrori che aveva visto commettere da certi uomini, forse per indole, mio nonno vedeva la natura come perfezione assoluta. Gli piaceva guardare la neve che cadeva e gli piaceva perché adesso, accanto al camino di casa sua, non doveva più temere il freddo. Gli piaceva dare le briciole di pane agli uccellini adesso che non era più costretto a lottare anche contro gli animali per sopravvivere.  Gli piaceva vedere le stagioni che cambiavano un po’ come le guerre che finiscono e poi si ricostruisce.

A mio nonno, soprattutto, piaceva scrivere filastrocche e oggi, oggi che il giorno della Memoria sta per finire, ho pensato di farvi dono di ciò che per mio nonno era il fine della Vita. Così le righe che seguono sono sue, assaporatene ogni lettera, ogni virgola, ogni pausa.

 

Vivere

 

Dell’Universo cosparso di stelle,

di fiori, di bimbi, di mill’altre cose belle,

godere, godere della luce, del calore del sole,

di prati, di campi, di vigne e dipinte aiuole

e vivere, vivere non sviscerando codici o messali,

vivere nelle leggi Divine, umane e naturali;

mettendo al bando come persone infette,

chi, arzigogolando, su testi e su pandette,

ne uccide lo spirito, inteso ad ordinare,

sfruttandone la lettera ad imbrogliare.

Vivere coscienti che Libertà, Giustizia, decoro

Antitesi son d’orpelli, dottorati, oro:

che duta disciplina, è vera scienza,

la gioia del saper è sola ricompensa.

Il vile denaro, diventa vero oro,

sol se proviene da onesto e provo lavoro.

Tu terrorista, pseudo intellettuale,

nella tua rabbia folle e criminale,

più d’ogni “padrone” colpisci la lega

degli oppressi, che uniti si scuotono la gleba.

Caino a te, che del sol profitto sei assertore,

sui tuoi fratelli riversi fame, morte, dolore.

Compagno non è colui che solo chiede,

ruba pure lui, se non suda la sua mercede.

Idiota propugnatore del consumo

Per te avrem presto solo fame e fumo.

Mafioso, guappo, calabro o picciotto,

di droga, sangue e morte, pagherai lo scotto.

Vivere e goder di cose semplici, in parsimonia.

Vivere tra fratelli, senza invidia od acrimonia.

Vivere senza troppa brama del successo.

Vivere operando assieme per il Progresso.

Vivere rispettando ed onorando la tua compagna,

che da sempre geme ed or si lagna.

Vivere nella legge del Signore,

che è amore, amore e sempre amore.

Uomini siamo, sì, non tutti uguali,

ma ricordiamo… tutti siam mortali.

 

Ettore Marengo

Mantienimi per mano.

Mi chiamo Loredana e faccio la mantenuta.

Nella vita mi sono sentita dire di tutto. I meno fantasiosi mi danno della puttana, della donna dai facili costumi, alcuni mi chiamano Lolita senza nemmeno sapere cosa significhi.

Nessuno però si è mai sforzato di mettersi davvero nei miei panni, di capire il mio punto di vista. Seduco uomini più ricchi di me per viaggi, scarpe, borse, vestiti, se faccio bene il mio dovere anche automobili. C’è una parola polacca che descrive le donne come me, è “galarianki” e significa, per l’appunto, donna che si concede in cambio di regali.

Il fatto è che io non mi mercifico, io m’innamoro davvero. Certo, m’innamoro dei conti in banca, ma l’amore non per forza è solo quello tra un uomo ed una donna, anche i gay si sposano oggi. In più, miei cari, non è poi così diverso dall’amore dei gentiluomini che frequento. Credete che loro s’innamorino della mia risata, della mia intelligenza, delle mie parole? No signori, s’innamorano del mio culo, del mio seno, delle mie gambe accoglienti. E dunque io vi chiedo dove sta la differenza tra me e loro, tra chi s’innamora della mia pelle e chi s’innamora della pelle di un portafoglio.

Vedete bene che il dubbio si sta lentamente insinuando dentro di voi, che in fondo non avete mai pensato che gli uomini con cui esco sappiano benissimo quale sia il mio obiettivo, che io sappia benissimo quale sia il loro. Credevate davvero che un broker che fattura miliardi di dollari non fosse in grado di riconoscere un suo simile, di riconoscere chi venderebbe l’anima o nel mio caso il corpo per un pugno di quattrini?

La verità è che io e i gentiluomini che frequento ci usiamo a vicenda: io sono il loro bel trofeo da portare fuori e loro sono il mio bancomat. Io non faccio domande scomode e li appago sessualmente, loro mi regalano vestiti. Credete veramente che potrei fare questa vita se non fossi estremamente bella e seducente? Non vi siete mai chiesti perché i pezzi grossi non frequentino quasi mai delle “brave ragazze” magari bruttine e col culo basso? Credete che questi gentiluomini uscirebbero con donne così belle se non avessero così tanti zeri in banca? Sono amorale tanto quanto loro se vogliamo dirla tutta. Solo che nelle vostre piccole menti io passo per la zoccola e loro per il pesce grosso che ha abboccato. Ma siamo entrambi pesci, ma siamo entrambi pescatori. Il mio lavoro è molto simile a quello di una modella, entrambe ci spogliamo davanti a un obiettivo solo che io posso mangiare ostriche e champagne senza dover ingoiare cotone per riempirmi lo stomaco, senza dover pippare cocaina per non sentire la fame. Non ho avuto la fortuna di incontrare il vero amore, tanto vale trovare un compromesso.

Vedete, quello che più mi disturba è la vostra ipocrisia: quante volte avete detto “esco con lui perché è figo, esco con lui perché è quello di cui ho bisogno, mi fa sentire protetta, importante. Esco con lui perché mi ama e anche se io non lo amo bè, ho bisogno di sentirmi amata”? Quante volte avete fatto l’amore sapendo che di amore non c’era traccia, quante volte avete usato dei poveri cretini per rinforzare la vostra autostima? Ecco io sono come voi ma senza ipocrisia, io non nascondo i miei bisogni, non l’ho mai fatto. Io non prendo in giro i miei uomini e loro non prendono in giro me. Abbiamo un accordo, io svuoto i loro lombi, loro riempiono il mio guardaroba.  Lineare, semplice, perfetto. Quindi fatemi un favore, care bacchettone, la prossima volta che volete criticarmi pensate a quante volte voi stesse avete usato i vostri partner solo per futili motivi che non avete avuto il coraggio di ammettere nemmeno a voi stesse. E pensate che invece io ai miei gentiluomini chiedo solo una cosa: tienimi per mano, mantienimi.

 

 

 

Foto: Simone Infantino.

Un Amore di malattia.

La malattia è una cosa strana. No, non l’influenza o il raffreddore, la malattia quella vera.

La malattia è alzarsi la mattina sicura del tuo matrimonio che va avanti da anni in una routine che ormai sembra non ti appartenga più. È aprire il cassetto di tuo marito e trovare una sua lettera per un caro amico in cui dice di volersi separare da te.

Separare? Com’è possibile? Non ti sei mai accorta di niente, non hai mai notato atteggiamenti diversi dal solito. Forse è proprio questo il problema, hai smesso di accorgerti di lui.

Avrai due scelte, dipende solo da te: potrai arrabbiarti, urlare fino a farti mancare il fiato, rigargli la macchina, bucargli le ruote della moto, pulire il water con il suo spazzolino da denti e usare i suoi vestiti come legna per il camino. Odiare quel referto fino a non riuscire a pronunciare le parole stampate sopra. Potrai aspettare che torni da lavoro e urlargli in faccia che è uno stronzo, che maledici il giorno in cui te ne sei innamorata anche se a ben pensarci forse non l’hai mai amato davvero ed è stata tutta colpa di tua madre, che tu avresti voluto sposare il tuo compagno di banco dell’asilo, che avresti voluto vivere una vita diversa e te ne accorgi solo ora che ti vita forse non te ne resta poi tanta.

E forse questo ti farà subito sentire meglio, non ti farà fermare a riflettere sulle mancanze che tutti, in fondo, abbiamo e su come colmarle. Tutto il tuo dolore sarà concentrato nell’odio profondo verso tuo marito ed in men che non si dica ti ritroverai in una casa nuova, vuota, fredda.

Non ti sfiorerà mai l’idea che quella lettera forse era stata scritta di pancia dopo un litigio ed è per questo che non aveva francobollo, che probabilmente non sarebbe mai stata spedita e che si guarisce innanzitutto nella testa. Mai potrai pensare che per una cazzata ti sarai rovinata la vita, che hai disertato prima ancora della chiamata alle armi.

Oppure potrai piangere, piangere a lungo restando immobile a pensare a quella volta che non gli hai dato una carezza, a quando lui ti aveva chiesto di fare l’amore e tu ti sei inventata troppi mal di testa. Certo lui non è perfetto ma ciò che davvero si ama sono i difetti, con i pregi siamo bravi tutti.

Riporrai la lettera nel cassetto dove l’hai trovata, uscirai a comprarti un vestito nuovo, proverai a cucinare il suo piatto preferito senza che ci sia un’occasione speciale, proverai ad amare più forte la sua ruga sulla fronte, proverai a sorridergli anche quando è arrabbiato, proverai ad estrarre il succo del vostro amore togliendoti la scorza indurita dal tempo, proverai a sorridere anche col male dentro. Proverai e non ci sarà nessuno a dirti che ce l’avrai fatta, nessuno. Ma scoprirai giorno dopo giorno che amando di più in fondo ti amerai di più, che vivere per la malattia è un paradosso bello e buono, che l’amore e la vita non sono solo fortuna, sono compromessi, sorrisi e a volte medicinali. E se lui ti guarderà innamorato come un tempo allora i tuoi sforzi saranno valsi la pena e sarà vero che il bene che si fa prima o poi torna indietro, che anche la malattia può regredire. Imparerai però soprattutto ad accettare che ciò che rende grandi sono le sconfitte a patto che ci sia stata una battaglia. Ed è allora, solo allora, che se anche lui rimanesse inflessibile davanti al tuo amore, che se anche il tuo male non si dovesse fermare, avrai perso ma l’avrai fatto col sorriso. E non ci sarà separazione che potrà cancellare l’amore che avrai messo nei piccoli gesti, non ci sarà referto che rovinerà le piccole gioie di una battaglia combattuta con i fiori e senza cannoni. Ti siederai a scrivere e ti sembrerà che i tuoi fantasmi siano seduti accanto a te nella poca luce dello scrittoio, proprio sopra la tastiera. Imparerai a chiamarli per nome e forse, col tempo, faranno sempre meno paura così che quando arriverà il giorno in cui non dovrai più avere paura, ecco quel giorno l’ultima espressione sul tuo viso sarà un sorriso rilassato e non gli occhi stretti nell’odio.

Corso di cucina per amanti inesperti.

Caro Amore,

ti avevo preparato una torta per stasera, una torta con mele e cannella come piace tanto a te.

Mi sentivo così felice mentre la vedevo lievitare, mi sentivo così felice mentre quel caldo profumo si diffondeva nell’aria come musica in un giorno silenzioso.

Era bellissima con quella crosticina così fragile, mi sono persa a guardarla.

Sei la mia primavera, Amore. Averti accanto mi fa venir voglia di essere migliore, di fiorire da un piccolo ramo secco in cui il sapiente giardiniere ha creduto, in cui tu hai creduto sin dal primo istante.

Ti chiederai dove avrò nascosto la torta di mele, avrai alzato velocemente lo sguardo per cercarla.

Non la troverai, l’ho buttata.

Sapeva di copertone con un pizzico di cannella. Ci ho messo così tanto amore nel prepararla che mi è venuto da piangere quando l’ho assaggiata.

Forse l’amore da solo non basta, forse ci vogliono altri ingredienti. Eppure ho seguito la ricetta passo passo, farina, uova, latte, zucchero e lievito. C’era tutto. Anche le mele e la cannella. Setacciare, mescolare, infornare. Forse ho sbagliato la cottura, forse sbagliamo senza rendercene conto.

Ma come fai tu a cucinare così bene, ma come fai tu ad amare così bene? Hai frequentato dei corsi, chi è il tuo maestro? Mi hai insegnato così tante cose che avrei voluto dimostrarti di essere all’altezza, alla tua altezza. Hai rotto i miei muri in punta di piedi ed io invece ho rotto i vasi del salotto mentre urlavo contro me stessa. Mi hai abbracciata mentre tremavo in un angolo e non ho saputo far altro che spingerti lontano. Ma tu sei tornato e mi hai tolto quell’odore selvatico che odiavo così tanto da averlo fatto mio e adesso profumo di torta al cioccolato.

A volte mi chiedo come tu faccia ad amarmi, come tu possa vedere il Sole oltre le mie spine. Semplicemente lo fai. E vedi forse è proprio questo, forse è che mentre setacciavo la farina mi sono cadute alcune spine velenose, non hanno più motivo di proteggermi, non ho motivo di proteggermi da te. E forse sono quelle spine a rovinare le torte, a rovinare l’amore. Ma ho deciso che non voglio compatirmi, voglio capirmi insieme a te. Così ho buttato la torta, l’ho buttata per strada e ho aperto le finestre per non lasciare nemmeno un’ombra di quell’odore amaro.

Sono uscita a ricomprare la farina, il latte, le uova e la cannella. Mettiti il grembiule Amore, fammi un corso di cucina per amanti inesperti.

Stanza 416

Abito in un hotel. È strano a dirsi, più strano ancora a viversi.

Abitare in un hotel, soprattutto se per lavoro, è estraniante. Quanti di voi si mettono il completo per prendere il caffè al mattino? Io lo faccio, non dispongo di una cucina. Quanti di voi vedono Sergio il concierge, e giuro che non è uno squallido gioco di parole, più della propria madre? Salvo che tu non sia la moglie, la figlia o l’amate di Sergio, credo che la risposta sia “io no”. Ritengo utile premettere che non sono un gigolò, una escort, una dominatrice e via dicendo.

Sono un consulente.

Fare il consulente significa fare molti lavori insieme. Innanzitutto l’agente commerciale Samsonite, ho così tante loro valigie che potrei essere sul loro libro paga honoris causa. In secondo luogo testo i mezzi di trasporto nel week end. Potrei farvi un report completo su chi sia meglio tra Trenitalia e Italo, su come si chiami e quale sia il codice fiscale dell’hostess Alitalia del volo delle 20:00, su quali snack valga la pena assaggiare e quali sia meglio evitare prima di un meeting. Lo so, avrei dovuto dire “riunione” ma tra noi consulenti se non inserisci un termine anglofono ogni sei parole paghi da bere, è una legge non scritta ma tremendamente applicata. Ah, durante la settimana naturalmente vado dal cliente di turno il che, diciamocelo, ricorda molto il lavoro di una prostituta. Ma io lo faccio con le cravatte di Marinella. Filo di seta ritorto a mano, mica reggicalze di pizzo cento per cento plastica del cinese alla stazione.

Definirei la mia vita sostanzialmente monotona. Vado in molte città visitandone solo gli alberghi in cui alloggio, prendo più aerei che caffè, cambio più cravatte che fidanzate. Ho sviluppato una notevole abilità nell’inquadrare le persone al primo sguardo. A forza di dover analizzare numeri sono finito ad analizzare anche inconsapevolmente tutto ciò che mi circonda. E ci prendo spesso.

In un ristorante so immediatamente individuare chi è al primo appuntamento, chi è a cena per l’anniversario di un matrimonio che lo annoiava ancora prima del sì, chi sta per fare la proposta, chi è a cena con l’amante. E fidatevi, non sbaglio.

L’altra sera, come  tutte le sere, stavo gustando il mio whiskey nella hall. La coppia che sedeva nel tavolino accanto al mio era senza dubbio di neurochirurghi. C’è un convegno in questi giorni e la città in cui mi trovo non è di sicuro un luogo turistico e, soprattutto, questo non è un albergo turistico.

Parlavano di poesia, lei aveva lunghe mani sottili e un vestito nero estremamente serioso. Lui aveva un completo anonimo, non ricordo esattamente il colore.

Colleghi, vecchi compagni di università. Lui sicuramente proveniva da una famiglia di medici, il padre l’aveva dispoticamente indirizzato verso la chirurgia e lui si era trovato a vivere una vita che sentiva non appartenergli, un po’ come quel suo brutto completo. Lei era la secchiona, quella a cui tutti chiedevano appunti, chiarimenti, suggerimenti durante gli esami. Aveva indubbiamente visto più lodi che uomini nudi ma la medicina, si sa, non ammette rivali in amore.

Ritenendomi più che soddisfatto della mia impeccabile analisi, ho deciso di andare a dormire. C’è stato un momento in cui nessuna persona solitaria vorrebbe trovarsi, il momento in cui prendi l’ascensore con una coppia di sconosciuti. I neurochirurghi pseudo poeti stavano salendo con me e lui, galantemente, le stava proponendo di bere l’ultimo bicchiere in camera sua così da ripassare insieme l’intervento per il congresso.  Erano neurochirurghi dunque, punto per me. Lei, come previsto, si è impercettibilmente irrigidita ma la sua gentilezza ha finalmente prevalso sul suo animo bacchettone ed ha accettato. Caso vuole che l’allegro chirurgo alloggiasse proprio nella stanza accanto alla mia, stanza 416, e con un sorriso pieno d’imbarazzo ci siamo congedati sulle rispettive porte. Lui ci avrebbe timidamente provato, lei si sarebbe, al massimo, lasciata baciare e sarebbe fuggita come una dodicenne al momento di concretizzare. Lui avrebbe bevuto un ultimo bicchiere da solo ripetendosi che se almeno avesse fatto ginecologia qualche donna senza mutandine l’avrebbe vista.

Mi piace inventarmi queste storie, mi piace perché ho sempre ragione. Più che altro non ho nessuno che mi contraddica. Avere ragione ha per me un effetto più calmante del Minias, dormo come un bambino. Credo di essermi addormentato dopo trenta secondi, massimo quaranta.

È successo verso le 4:00. Mi sono svegliato di soprassalto. Pensavo di essere finito in un film splatter di pessima fattura. Svegliato da un urlo, che trama banale. Quando già stavo per chiamare la polizia ho realizzato tuttavia che quelle erano urla, sì, ma di piacere. Hai capito la secchiona. Un secchio pieno d’alcol più che altro. Dopo aver pregato affinché i muri della stanza non cedessero di colpo, dai colpi sarebbe meglio dire, stavo quasi per riaddormentarmi deluso per la mia pessima prestazione da indovino quando la poetessa si è risvegliata.

Neruda scrisse una poesia dal titolo “La poesia” che recitava “la poesia venne a cercarmi… non so come né quando…”. Dev’essere proprio così che succede. Mentre passeggi, mentre bevi un caffè, mentre parli con una sconosciuta in discoteca. È lì che arriva la poesia, è lì che ti assale come un borseggiatore sapientemente nascosto dietro gli angoli bui.  La poesia venne a cercare la neurochirurga in una quiete notte di Dicembre in un mediocre albergo di provincia dopo una notte d’amore non programmata. Fu spontanea, il primo verso uscì naturale come un colpo di tosse dopo il primo tiro di sigaretta, come uno starnuto quando guardi il Sole. Fu durante quella notte che capii che io le persone non le avevo mai capite, che l’apparenza non descrive l’essenza. Fu in quella notte che, dopo un orgasmo, la neurochirurga rispolverò un accento ciociaro mascherato da anni di impeccabile dizione, il cuore non ha “e” aperte che tengano. Fu in quella notte, dicevo, che la frigida secchiona ormai chirurgo urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni “il tuo cazzo è una benedizione”.

La poetessa mi provocò il riso fino alle lacrime e, quando ormai avevo i crampi agli addominali, riuscii a riaddormentarmi.

Avere torto non era mai stato così divertente.

 

 

Ps. La storia è liberamente ispirata a fatti realmente accaduti. Ci sono storie che meritano di essere raccontate e questa è una di quelle.