Si chiama Mauro il mio papà. Ha grandi mani sottili, il naso greco, capelli un tempo castani. Mi han detto che da giovane andava in giro in kawasaki, faceva il calciatore in serie C con la C di calcio. Un giorno un difensore ha sbagliato a saltare e al mio papà, come ai bimbi piccoli, sono caduti i dentini. Per tanto tempo si è vergognato di sorridere. Io mica gliel’ho mai detto che m’illumina le giornate quando sorride. Ha conosciuto la mia mamma e non è stato subito amore come nei cartoni disney. Anche perché l’amazzone era mia mamma, credo che mio padre al massimo abbia cavalcato un ciuco. Poi è nato mio fratello e dopo tre anni sono arrivata io, che mica ero prevista. La mia mamma voleva che nascessi a primavera, una Venere di Botticelli dei poveri. Purtroppo ho subito fatto di testa mia e puf sono arrivata nel mese più triste dell’anno, Novembre.
Ora che ci penso, credo di aver abbracciato mio padre meno di cinque volte in tutta la mia vita. Il suo più grande gesto d’affetto è passarmi una mano tra i capelli e in quella carezza vedo chiaramente tutto l’amore di cui un uomo è capace. Le sue dita gentili sfiorano per non far male, una delicatezza dolcissima. E io mi sciolgo come una tavoletta di cioccolato al sole d’Agosto.
Ci siamo scontrati così tanto che a volte mi mancava il fiato perché sai quando urla non c’è da preoccuparsi, basta lasciar passare dieci minuti e tutto si risolve. Il problema è quando parla a voce bassa allora a quel punto ecco, a quel punto puoi sentire le gambe diventare gelatina.
Papà che poi è sempre lì ad ascoltarmi, papà che gli racconto i miei problemi e lui coi suoi occhi scuri mi guarda dentro e non ha paura di dirmi che sbaglio, papà che poi mi sorride e dice “quelli di cuore sono i più bei problemi che potrai mai avere” e so che ha ragione.
Papà che mi prende costantemente in giro per i difetti fisici, per come parlo, per come mi muovo. Poi però quando metto un bel vestito e un velo di rossetto mi dice che sono bellissima e io, come tutte le bambine, ci credo davvero.
S’incazza quando litigo con mio fratello, si scioglie quando facciamo pace.
Dicono che, in fondo, io e mio padre ci scontriamo spesso perché siamo uguali. Una sorta di odi et amo.
Oggi mi sono seduta davanti al computer e ho detto “adesso vi racconto mio padre”. Il problema è che non ne sono in grado e lo riconosco. Non so mettere in parole le emozioni, non so spiegare davvero la sua essenza. Una marlboro, un bicchiere di vino, una battuta in dialetto. Uno sguardo severo, un sorriso comprensivo, ancora una marlboro. Ecco non ho detto nulla, eppure a me sembra di aver spiegato tutto. Come posso esprimere l’affetto che c’è dietro il fatto che anche tra milioni di persone io riconoscerei il suo colpo di tosse? Come posso spiegare che spesso è la prima persona che chiamo? Come scrivere, infine, che se esiste il vero amore io lo vedo negli occhi dei miei genitori che ancora, dopo trent’anni e spingi, sembrano davvero due metà della stessa mela?
Semplicemente non lo faccio. Me lo tengo per me, custodisco gelosamente in fondo al cuore tutte quelle sfumature.
E dunque buon compleanno papà, avrei voluto raccontarti meglio.