Stamattina sono uscita di casa ed ero in ritardo. Come al solito, penserai.
In realtà non sono proprio uscita di casa, è più corretto dire che se non fosse stato per l’impresa di pulizie che lascia sempre il portone aperto mi ci sarei spalmata su quel portone. Magari mi sarebbe venuto un bel nasino alla francese.
Ho messo un piede in strada e mi sono bloccata, di colpo. Credo di aver sorriso per una frazione di secondo. C’era elettricità nell’aria, non ho mai capito bene cosa significhi ma rende l’idea, non trovi? C’era quell’odore di ghiaccio, di neve.
Mi sei venuta in mente tu.
Stava certamente nevicando sui nostri alberi, sul nostro tetto e su quei prati che diventavano più verdi quando noi ridevamo.
Eravamo come sorelle, ti lasciavo finire sempre la mia cioccolata calda. Non l’ho mai più fatto con nessuno. Mi tenevi la mano in seggiovia, ti passavo i compiti di matematica in mezzo ai fazzoletti. Ricordi quando la maestra ci aveva scoperte? Ti eri soffiata il naso e con l’inchiostro ti eri tatuata per sbaglio un bel “=2” sulla guancia destra.
La mia copertina ha ancora il tuo profumo se chiudo gli occhi. Ci siamo sempre dette che l’amicizia è più forte dell’amore, che la nostra amicizia era più forte del mostro di Loch Ness.
Poi siamo cresciute. Tu in quell’università, io in quell’altra. Tu con i tuoi nuovi amici, io con i miei. È stato come mangiare un cucchiaino di Nutella al giorno e poi accorgersi una domenica mattina che il barattolo è vuoto e i supermercati sono chiusi.
Dovevamo prendere un caffè il sabato, ricordi? Dovevamo prendere un caffè e io non ti ho chiamata. E tu non mi hai chiamata. Non c’è nulla di male nel dimenticarsi le cose, siamo sempre state distratte. Ma ci sentivamo colpevoli, ho pensato che se ti avessi chiesto scusa tu avresti pensato che ormai non m’importava più di te, hai pensato che se mi avessi chiesto scusa io avrei pensato che ormai non t’importava più di me. E in fondo, forse, un po’ era così.
È stata la vergogna di quella svista ad ucciderci. È stata la vergogna travestita da paura travestita da senso di colpa. Roba che ad Halloween avremmo fatto un figurone.
E le nostre vite sono andate avanti. Tutto va avanti, nonostante tutto. L’ho scoperto quando è morto il mio pesce rosso, me lo dicesti tu. Un giorno semplicemente ti svegli e il tuo presente devi chiamarlo passato. Un giorno mi sono svegliata e non ti ho più chiamata.
Ho saputo che l’anno prossimo ti sposerai, ho saputo che m’inviterai. Mi metterò in fondo alla chiesa e piangerò due volte: la prima per la tua felicità, la seconda perché non sarò la tua testimone come avevamo giurato sulle nostre barbie. Sarà strano vederti vestita da cerimonia e non aver scelto l’abito con te, sarà strano non sentirti piangere mentre urli che sei grassa. Sarà strano non toglierti la nutella dalle mani dicendoti che di sicuro non aiuta. O forse non la mangi più, forse sei diventata una fedele del biologico e l’olio di palma lo usi solo per sporcare le pellicce delle signore Bene. La cosa che mi ferirà di più sarà dover stringere la mano a tuo marito, scoprire il suo nome quando ormai avrà già la fede al dito, sentirmi rispondere “ho sentito parlare di te, eravate così amiche”. Sarà un po’ come morire, mi andrà in gangrena il mignolo.
Chissà se gli hai mai dato dello stronzo, se l’hai tradito e quando ti ha detto “ti amo” la prima volta. Chissà dove ti porta a cena, se è bravo a letto e se quando ti guarda nuda tu ti senti bella. Quando ti ha chiesto di sposarti? Vorrei sapere che mobili hai scelto, non dirmi che ancora adori lo stile provenzale. Ti hanno mai bocciata all’università? E tuo padre col tempo è diventato più comprensivo?
Avrei voluto chiamarti una mattina di Marzo. Avevo già composto il tuo numero. È solo che non l’ho fatto. Se fossi tornata dal nulla ci sarebbe voluto del tempo per ritrovare il ritmo delle nostre risate, dei nostri silenzi, delle nostre parole. Il tempo di un caffè, forse. Poi mi sarei sentita costretta a richiamarti per altri dieci caffè perché non esiste la botta e via dei caffè tra amiche, o è un caffè serio o nulla. Ma lo sai, o forse non lo sai, temo le storie serie più del mostro di Loch Ness. Sono per gli inizi molto cauti, i famosi piedi di piombo ed invece con te avrei dovuto fare l’equivalente amichevole di una proposta di matrimonio. Non salti fuori dopo dieci anni per cinque minuti di bevanda amara, è scorretto. E così ho continuato a dormire sperando che quel piccolo angolino vuoto non mi avrebbe più fatta piangere.
E invece mi capita. Nelle mattine come queste, quando c’è aria di neve, io ti penso e quell’elettricità, ne sono sicura, è il tuo pensiero di rimando.
È un po’ come se vivessimo in due mondi paralleli lontanissimi tra loro, due mondi paralleli che si sono incrociati per così tanto tempo che nel mio mondo, nelle mie parole, ci sei tu. Se guardi bene puoi specchiarti. Se t’incontrassi adesso sarei muta, mi sono successe così tante cose in questi ultimi dieci anni che per riassumerle non saprei trovare nulla meglio del silenzio. Se t’incontrassi adesso te lo offrirei quel benedetto caffè, la casualità è senza impegno.
Sai, il mostro di Loch Ness secondo me esiste, dimmi tu se siamo più forti.
… c’è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c’era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.