Ad occhi chiusi.

Hai sentito la mia carezza?
Hai sentito la mia carezza questa notte mentre ti addormentavi sfinita da lacrime malinconiche?
Vedi, mia cara, adesso ti riconosco. Adesso ricordo anche la piccola fossetta che ti viene quando sorridi davvero.
Percepisci, mia adorata, un leggero tepore sulla tua mano? Chiudi gli occhi, immagina che sia io a carezzarti.
Forse che quando abbandoniamo le vesti terrene il pensiero diventa impercettibilmente fisico, una leggera brezza tra i tuoi lunghi capelli, un battito di ciglia che scatena uragani.
C’è una tale pace qui, le farfalle vivono secoli interi.
C’è una tale pace qui che quando piove l’acqua è dolce rugiada, che se l’assaggi sa di vino francese.
C’è una tale pace qui che vorrei dirti, mia amata, di pensarmi così, leggera e in equilibrio. Un cerchio di luce, nuvola bianca.
Abbiamo così paura del cambiamento che abbandonare il fisico ci atterrisce al punto da annebbiarci il cervello, al punto che  non vogliamo più ricordarci come sia la vita per evitare di pensare alla morte.
Ma io ti dico, mia cara, non si muore che negli organi, non si muore che nelle cellule, non si muore che nei capelli che non dovremo più sistemare.
E allora guardami vivere, guardami gioire al tuo fianco come ieri quando una farfalla ti passerà accanto, quando il vento saprà di fresco, quando una mano ti fermerà sulle strisce pedonali, quando sorridendo penserai che, adesso, la tua stanza profuma di eucalipto.
Buon viaggio Amore mio, ti auguro di imparare, nel bene e nel male, quante più cose possibili.
Ti auguro l’ingenuità con chi è senza malizia, ti auguro solide armature con chi vuole solo calpestarti.
Ti auguro di guardare il mondo con gli occhi di un bambino, di non perdere mai la curiosità innocente.
Ti auguro di donare amore senza condizioni e di riceverne altrettanto.
Vorrei proteggerti da tutto, tesoro mio bello, ma per quanto mi costi caro dirti che non posso, credo che per avvertire fino in fondo la gioia si debba sperimentare anche il dolore.
Non preoccuparti per me, io continuo a vivere nell’aria che ti asciuga il viso.

Per sempre,
da sempre
con infinito amore.

Che fine hanno fatto gli unicorni?

Ho sempre fermamente creduto agli unicorni.
Ho sempre pensato che nel mondo gli squali non ci fossero, che i cattivi esistessero solo nei cartoni della Disney.
Ho sempre pensato che la bilancia della giustizia non potesse essere altro che in equilibrio perché l’ingiustizia non esiste, non deve. Non nella mia testa.
E adesso in piena notte sono qui a camminare per le vie della città cercando gli unicorni, le principesse candide e i principi azzurri.
Sono qui che penso che gli squali mica girano col tesserino associativo “squali”, che mica hanno davvero la pinna sulla schiena. E mi chiedo allora chi lo sia e se, chi lo è, ci si senta davvero.
Come facciamo ad essere sicuri di non essere noi stessi dei predatori mascherati da cavallucci marini?
Com’è possibile che la realtà ci venga a sbattere in faccia come in un frontale sulla provinciale? Com’è possibile che i miei unicorni bellissimi siano in realtà dei pony affamati?
Che poi lo sai, Amore, io non so dirti più di tanto. Io ci provo, lo giuro, ad aprirmi il cervello e farti dono dei miei pensieri, ma è più forte di me, proprio non ci riesco.
Come potresti fino in fondo comprendere che mi ferisce quasi a morte anche la minima ingiustizia perché attacca l’equilibrio della mia perfetta bilancia? Come fare a dirti che per me tutto ciò che non è chiaro, puro ed innocente è fonte di enorme sofferenza? Che io, fosse per me, non legherei nemmeno la bici perché i ladri non esistono?
Lo vedi,  già stai pensando che io sia una bambina, una povera stupida che ancora spera di trovare una pentola alla fine dell’arcobaleno, che ancora spera nel lieto fine perché l’ingiustizia non è una fine, solo una fase passeggera. E poi questa storia degli unicorni, neanche più i bambini di seconda elementare ci credono.
Ti guardo con occhi increduli mentre mi spieghi che “interesse” non significa solo hobby, che il vero dio per molti è il denaro, che gli squali esistono anche fuori dagli oceani.
Mi sanguina l’anima ne sono sicura. Scopritrice di acqua calda, ecco il mio titolo di studio. È solo che mi ci sto scottando.
Così adesso con voce flebile continuo a girare per la città chiamando gli unicorni, cercando una luce bianca in mezzo al buio.
Tu mi guardi e non capisci o forse non sai rispondere ma io lo so, lo so che è tutto vero, che gli squali esistono così come i buoni, che il grigio è l’unico vero colore e che non sempre il finale è lieto come in Mulan.
Ma permettimi, mentre tutte queste bombe mi esplodono sugli occhi, di farle scivolare via con un po’ di lacrime che quelle sì, sono pure. Un po’ come te.

Carlotta Marengo

In prima fila

Anche oggi salirò sul palco. I miei soliti concerti, i miei soliti timori, le mie solite cazzate.

Salirò e ti cercherò con lo sguardo. Non mi capita poi spesso sai, abituata com’ero a vederti in prima fila, esattamente al centro del mio cuore.

Ci guardavamo intensamente e per te avrei potuto fare un concerto silenzioso che tanto avresti colto ogni mia emozione, soprattutto quelle che non sono in grado di trasmettere. E invece adesso non ti trovo, sei scivolato in fondo e forse è colpa mia, ti ho tolto la targhetta “riservato” e tu, muto, sei scomparso dal mio centro.

Oggi canterò per te, suonerò per te note che tu già conosci ma che entrambi abbiamo paura di ascoltare.

Ogni mio gesto, fino al mignolo sul microfono, sarà per te. Per nessun altro all’infuori di te. E ti urlerò con lo sguardo di tornare davanti, di applaudirmi in prima fila. Ti cercherò tra la folla e so che ci sarai, fosse anche solo nel mio cuore.

Un saggio una volta mi ha detto che è ben diverso trasmettere emozioni ad un grande pubblico e parlare vis à vis. Ed ecco che confesso di non essere forte come credevo, ed ecco che realizzo che io le mie emozioni guardandoti negli occhi non so dirtele.

Ho paura non so neanche bene di cosa, ho paura che dal fondo della sala tu possa un giorno uscire ed io impazzirei perché saprei che è colpa mia. Di me che m’incendio e mi lascio trascinare dalla rabbia, di me che poi dimentico tutto senza ricordare che gli altri, spesso, non dimenticano.

E allora è come se ti proteggessi da questo fuoco che sento e per non scottarti ti tenessi lontano mentre quello che davvero voglio è portarti qui vicino al mio cuore senza ferirti. Ma ho bisogno di te per fare questo: ho bisogno che tu mi sgridi, che tu mi dica che sono una testa di cazzo facendoti guidare, però, solo dall’affetto. Ho bisogno di sentirti qui vicino e allora facciamo così, lasciami suonare qui davanti a tutti e dopo, quando il sipario sarà calato, beviamoci una birra scadente al chiaro di luna, riapriamo le ferite ma solo per disinfettarle e poi, quando tutto sarà finito, ridiamo fino a toglierci il respiro com’eravamo soliti fare, come saremo soliti fare.

Adesso che già ti sento accanto posso dirtelo: mi sei mancato.

Amore la benzina è finita.

Ti ricordi quella volta in autostrada? Ma sì, quella volta che per un soffio siamo riusciti ad arrivare al distributore di benzina,  quella volta che stavamo andando al mare e per poco non abbiamo passato la vacanza in un carro attrezzi. Ecco, è lì che ho capito che l’amore non è come un serbatoio di benzina.

Com’è che andavamo ai cento all’ora, prima al mare poi in montagna poi ovunque nel mondo l’importante era stare insieme e adesso, adesso ci chiamiamo “amore” solo per abitudine? Com’è che prima mi mancava il respiro se non ti vedevo per tre giorni e adesso mi dà fastidio se mi sfiori nel sonno?

Ti ricordi i miei occhi prima che tutto si spegnesse? Ti ricordi quella scintilla tanto forte da illuminare la stanza? Ti ricordi quando passeggiavamo per ore parlando di tutto e poi di nulla, che tanto contava solo tenersi stretti per mano?

Ma dov’è finito tutto quell’amore? L’hai nascosto tu da qualche parte? È fuggito nella notte come l’amante di una sera? Non ha lasciato nemmeno un bigliettino, nemmeno un numero o un indirizzo per rintracciarlo.

O forse il nostro amore è stato come la benzina della macchina e noi ce ne siamo accorti quando ormai la riserva era finita. E adesso siamo qui nudi e stanchi a guardarci senza neanche più la voglia di assaggiarci la pelle, senza nemmeno il coraggio di dirci che è finita, che il sipario si è chiuso, che l’amore ci ha abbandonati come cani in autostrada.  E sarebbe stupido fare un processo sulle colpe, sulle parole che ci siamo detti e su quelle che non ci siamo detti.

Ma tu senti che non abbiamo più le forze? Non percepisci il vuoto dietro questo mio sorriso stanco?  Non ti accorgi che io non so come fare a dirtelo che adesso io voglio fare altro, voglio correre in un campo di grano urlando nel vento, cadere tra le spighe dorate e ridere fino alle lacrime? Non ti accorgi che io adesso vorrei dirti tutto ma tutto quello che mi viene è un silenzio che mi assorda, che ti assorda? Ma non trovo il coraggio, se ne sarà andato insieme al nostro amore e nemmeno si è degnato di mandarmi una cartolina. Ma non trovo il coraggio e ho svuotato i cassetti senza successo, ho provato a scriverti ma non avevo l’inchiostro.

Abbiamo finito la benzina Amore ma siamo in un deserto senza distributori. E allora le nostre strade si divideranno, e allora saremo colpevoli di aver permesso, ancora una volta, che l’amore evaporasse, che la benzina finisse. E sentiremo le gambe stanche, questo sì, ma sapremo che la strada è quella giusta e troveremo nuove mani da stringere, nuove labbra da baciare, troveremo di chi innamorarci ogni giorno di più e non ogni giorno di meno.

Allora adesso guardami per l’ultima volta, sorridimi teneramente e baciami la fronte. Dimmi solo ciao, non servono altre parole. Un lungo abbraccio, le tue spalle che si allontanano oltre l’orizzonte. È come se sentissi una lacrima, o forse è evaporata anche lei.

Arrivederci a chissà quando

È sera in un bar di montagna .
È pieno di gente pronta a fare festa.
Una ragazza entra un po’ sconsolata, si sa che a lei la confusione non fa impazzire.
Ordina il solito gin tonic poi esce per fumarsi una sigaretta.
Qualche tavolo più in là un ragazzo la segue, da quando l’ha vista entrare non è riuscito a staccarle gli occhi di dosso.
Le chiede da accendere e lei nota quello sguardo interessante, quell’aria misteriosa o solo trasandata che un po’ l’attrae.
Iniziano a parlare « vieni qui spesso ? »
Classiche conversazioni di cortesia che nascondono un desiderio crescente, reciproco.
Nemmeno si accorgono che il gin tonic è finito da mezz’ora, che di sigarette ne hanno già fumate tre e che la temperatura è parecchio sotto lo zero.
Continuano a parlare perdendosi nel loro microcosmo, nel loro gioco di sguardi e di gesti non fatti.
Nemmeno si accorgono che il bar sta chiudendo, che gli amici sono andati via salutandoli timidamente per non disturbare.
Ci sono quelle volte in cui incontri degli sconosciuti che sembra ci siano sempre stati, il pezzo perfetto di un puzzle che nemmeno sapevi di avere.
Non ci sono le basi per costruire nulla eppure è un castello in aria bello che fatto.
È emozione incontaminata, chimica mentale.
Questo pensa lei mentre osserva le mani di lui, il modo elegante in cui le muove mentre parla, il suono delle sue « esse », quel modo buffo in cui la scruta dopo che ha fatto una battuta quasi soffrisse nel non vederla ridere, nel non vederla felice.
Avrebbe voglia di togliergli i vestiti, assaggiare quella pelle morbida, scoprire di cosa sanno i suoi baci.
Avrebbe voglia di abbracciarlo, chiudere gli occhi e riaprirli al suo fianco chissà dove nel mondo.
Era da tanto che non le capitava, che non incotrava qualcuno che, con dolcezza e naturalezza, oltrepassasse la sua corazza in punta di piedi senza far rumore, senza fare male.
Si conoscevano da una o due o chissà quante ore, non se lo ricordava, il tempo stava volando.
« ti va se andiamo a fare due passi per scaldarci un po’ ? »
Quei momenti sembrano eterni con la neve che scrocchia sotto gli scarponcini, il vento calato e le stelle così vicine che quasi possono toccarle.
Hanno freddo, un freddo cane, ma fanno finta di non sentirlo per non salutarsi, per non mettere fine a quella sera.
Domani torneranno a casa, alle loro università che distano centinaia di chilometri, alla quotidianità.
Sanno che non c’è futuro ma non gli importa, non sempre è necessario vivere per il domani, si rischierebbe di perdersi il presente.
Si guardano, si piacciono.
Un timido bacio, casto.
Un’esplosione di emozioni, di colori.
Ora il tempo si blocca per davvero mentre le lingue esplorano timide.
Un bacio caldo, lento ma pieno di passione, di voglia di scoprisi e di coscienza che tutto è già finito.
Non è amaro, è dolcezza.
Non è rimpianto, è brivido dell’attimo che fugge.
È innocenza, istinto senza malizia mentre lui le accarezza i capelli, mentre lei gli sfiora la barba.
Passa il tempo e non han quasi più saliva, le labbra gonfie e un sorriso candido sui volti.
Sta albeggiando e tra le vette innevate si vede l’aurora.
Si prendono per mano, avanzano sereni e l’unica cosa che li ancora al terreno è la gravità.
Entrano in un bar, ordinano due cappuccini. Bevono in silenzio, non c’è bisogno di parole.
Un sorriso che racchiude discorsi di ore, uno sguardo che racconta emozioni.
Tornano in strada, si devono separare.
Con la serenità di essersi dati tutto e nulla, di aver condiviso qualcosa che non ha bisogno di essere definito, si salutano.
Scambiarsi i numeri sarebbe inutile, ci sono magie con la data di scadenza e questo non le rende nè più nè meno speciali di altre.
Sono solo diverse.
Sono quelle volte in cui sei la persona giusta al momento giusto ma questo, per definizione, non dura che un battito di ciglia.
Meglio conservare le sensazioni, quello che abbiamo imparato, che a volte il « non è per sempre » non ha nulla di negativo.
Un ultimo bacio, un sorriso nel cuore.
Un arrivederci a chissà quando.

Mittente sconosciuto

Dicono che ci siano persone nate con la camicia, io mi definisco nato col mezzo tight.
Figlio di grandi imprenditori, aspetto gradevole, animo gentile. Dicono che ci siano persone più fortunate di altre, ecco io sono sicuramente tra queste. Ho sempre portato il dovuto rispetto alla mia condizione di privilegiato, non ho mai evaso nemmeno un centesimo, mi sono laureato a pieni voti e ho uno splendido rapporto con i miei dipendenti.
Io e mia moglie siamo sposati da tredici anni ma siamo innamorati come due fidanzatini.
Non preoccuparti, mi rendo perfettamente conto di poter sembrare odioso, che mi va sempre tutto bene nella vita.
Il fatto è che io credo di aver trovato l’essenza stessa dell’esistenza, quel sentimento così potente da influire davvero sul corso degli eventi.
Sto parlando della speranza.
Io vivo per dare speranza agli altri, per aiutarli a riempire quel bicchiere mezzo vuoto, per farli passare dal “andrà tutto bene” al “va tutto bene”.
La fortuna mi ha dato così tanto che credo che l’unico modo per ripagarla sia donarla agli altri.
Sabato è San Valentino e io, confesso, non è che ci creda poi molto. Ritengo in realtà che sia una festa frustrante per quelle anime che ancora non hanno trovato nessuno con cui condividere amore, con cui sorridere anche nel silenzio. Perché sinceramente a me che sono innamorato pazzo non frega un fico secco del 14 febbraio ma è negli occhi delle persone sole che leggo una tristezza infinita, un senso d’invidia e a volte rabbia verso gli occhi di chi, invece, ha il lusso di poter guardare l’amore negli occhi. È per questa ragione che io e Penelope, mia moglie, abbiamo deciso di celebrare la festa degli innamorati regalando speranza a chi crede di avere solo polvere nel cuore.
Ho fatto una lista dei miei dipendenti, dei miei amici e di tutte le persone sole e senza speranza che conosco. Abbiamo comprato della carta da lettere, rose rosse e molti francobolli. Ci siamo seduti alla macchina da scrivere, il romanticismo prima di tutto. Abbiamo scritto circa cinquanta lettere d’amore tutte diverse, tutte da ammiratori segreti. È da un mese che ci lavoriamo. In ogni riga abbiamo inserito dettagli veri delle persone, il modo in cui giocano con il tovagliolo quando sono pensierose, come bevono il caffè o si godono la loro passeggiata al parco. Abbiamo scritto Dio solo sa quanto, roba che di notte sogno il rumore dei tasti e l’odore dell’inchiostro.
Abbiamo scritto per far sognare persone che ad occhi chiusi vedevano solo il buio. Abbiamo scritto per non farli piangere a San Valentino mentre in un bicchiere di vino annegavano le loro delusioni, i loro amori perduti.
È vero, hai ragione, non abbiamo dato loro un amante, non gli abbiamo presentato l’altra metà della mela.
Tutto ciò che abbiamo fatto, o che ci siamo prospettati di fare, è stato magnetizzare l’ago della loro bussola, far sì che quel pezzo di ferro tornasse ad indicare la destinazione ultima, il nord.
Perché pensiamo che solo chi sorride sia in grado di sorridere, che solo chi è sereno sia in grado di accogliere senza se e senza ma il proprio nord. Perché pensiamo, in fondo, che se è vero che San Valentino è la festa degli innamorati, allora tutti abbiamo il diritto sentirci amati, d’innamorarci di quelle parole scritte da un ammiratore segreto che forse non si presenterà mai, ma a cui noi riserviamo un sorriso gentile.
Tu pensa che bello varcare la soglia del tuo bar di fiducia e pensare che tra tutte le persone sedute a chiacchierare ci sia qualcuno che il 14 di Febbraio ti ha spedito dieci rose rosse e un po’ d’amore in bianco e nero. Tu pensa che bello star lì sorridente pensando a chi potrebbe essere il tuo ammiratore segreto e accorgerti, ad un certo punto, che non avevi mai alzato lo sguardo dalla tazzina e che magari, per davvero, qualcuno che ti sorride di rimando c’è.

Amami se hai il contratto

Mi chiamo Alberto, ho 34 anni e sono single. Ho passato metà della mia vita a cercare l’amore e l’altra metà a capire perché non l’abbia mai incontrato. Non che mi aspetti di sedermi accanto a Cupido in un bar, chiariamoci, diciamo che non ho mai incontrato nessuno da poter chiamare Amore.
È quasi San Valentino e, come ogni anno, pensavo l’avrei passato scopandomi una di cui non so nemmeno l’indirizzo o di cui non conosco la professione ammettendo di poter consumare a casa sua. Invece ho finalmente deciso che quest’anno io cercherò la donna della mia vita e la troverò. Mi sono spremuto le meningi e ho teorizzato l’amore.
Platone, gli androgini e tutti quei romanticoni da due lire possono andare a quel paese, io ho capito davvero cos’è l’amore in pratica, ora devo solo dimostrare la mia teoria.
Dopo attente selezioni delle mie potenziali compagne, ho finalmente trovato Lei: Cristina. Questa sera la porto a cena e sarà memorabile.
Ho messo il mio vestito migliore, il cappotto nero di cachemire e la mia camicia porta fortuna. Passo a prenderla alle otto, lei scende tre minuti dopo, il tempo di fare le scale. Ottimo, mi piacciono le donne che non si fanno aspettare, che sanno quello che vogliono e quando lo vogliono. Metto un po’ di musica jazz in macchina, se non ami il jazz non puoi amare me e Cristina, dopo pochi secondi, indovina il titolo della canzone. Perfetto.
A cena una tagliata appena scottata, un bicchiere di Barbera Superiore e parliamo di vita, di rapporti e di viaggi. È strano come gli stessi temi possano essere trattati con estenuante superficialità o disarmante profondità e lei, manco a dirlo, mi sbalordisce. È un vulcano incontenibile, idee originali e solide argomentazioni, una razionale fantasia che atterrirebbe un’amante inesperto.
Facciamo due passi, forse cento non ricordo. So che si avvicina il mio momento e non posso non sorridere. Torniamo in macchina, l’accompagno a casa.
Mi chiede con disinvoltura se ho voglia di un bicchiere di whiskey ma non c’è malizia nel suo tono né nel suo sguardo, è sincera e non avrebbe usato scuse se avesse voluto farmi salire solo per andare a letto insieme. Ci sediamo, due bicchieri e un po’ di Talisker. Lei mi sfiora dolcemente la mano, mi piazza le pupille nelle pupille e si avvicina, teneramente, per baciarmi. Mi lascio trasportare dal momento, è quasi sulle mie labbra e chiudo gli occhi, sospiro. Ci siamo quasi, mi sfiora la bocca ed è allora, solo allora, che io mi sposto bruscamente.
Mi guarda interrogativa e mi chiede scusa, che forse aveva frainteso ed invece… ed invece no Cristina, non hai frainteso nulla. È solo che voglio essere chiaro questa volta e tiro fuori dalla tasca del cappotto un foglio.

“è un contratto?” mi chiede lei e annuisco.

La mia teoria è che l’amore sia a tutti gli effetti un contratto. Due persone che vogliono la stessa cosa allo stesso momento, bisogna rispettare delle clausole e ci sono penali da pagare in caso di non rispetto delle stesse. Ovvio no?

Così ho fatto questa bozza di contratto, nei vari paragrafi troverai cosa cerco e cosa offro. Per chiarezza, te lo leggerò e spiegherò personalmente.

La durata della relazione è variabile influendo su di essa, a diverso titolo, i paragrafi successivi.

Cerco una persona che sappia tenermi testa, che sappia abbracciarmi quando ne ho bisogno e mandarmi a stendere se sbaglio. Cerco una persona che mi aiuti a crescere, che mi guardi negli occhi e mi dica che mi ama o che sono un coglione a seconda delle circostanze. Cerco qualcuno che mi stimoli non solo sotto le lenzuola, una persona che sia maestro e allievo contemporaneamente. Una donna che mi parli di Pasolini e della D’Urso con la stessa passione, che sappia dunque affrontare il peso della cultura e la leggerezza del divertissement. Qualcuno che non abbia timore di amarmi non-ostante tutto, nonostante i picchi di felicità e tristezza che l’amore regala. Cerco, in breve, qualcuno che abbia il coraggio di salire con me sulle montagne russe che insieme costruiremo.

Il secondo paragrafo illustra l’offerta, cioè chi sono io.

Maniaco dell’ordine, ossessionato dal divanismo cronico ma ben disposto a prendere aria fresca. Arrogante, cinico, estremamente tenero se guardi bene sotto la barba. Insicuro fin dalla culla, maschero con l’ironia. Amante della buona cucina, disertore di fast food. Viaggio molto, soprattutto con la fantasia. Metodico, rigoroso e a volte noioso, pessimo venditore di me stesso. Ossessionato dalla bellezza, quella interiore in primis.  Estremamente selettivo nei rapporti umani ma chi mi conquista ha il mio cuore per intero. Adulatore segreto di frasi banali, niente è più vero della banalità. Ho sempre amato per colmare mancanze, ora cerco amore per donare abbondanza.

Data e firma.

Ecco qui, niente di speciale. Rimane una parte in bianco da compilare con l’offerta del contraente, con i tratti della personalità di Cristina.

Lei mi guarda con gli occhi sbarrati poi inizia a ridere, ride come una pazza e cade addirittura dalla sedia lamentando crampi agli addominali. Per quanto io mi sforzi e sia cosciente del fatto che dovrei ridere con lei, non ci vedo niente di ironico nella questione. Ho messo nero su bianco l’amore, non mi sembra una cosa folle. Voglio dire ho trovato il modo per andare oltre millenni di fraintendimenti, oltre le seghe mentali da flirt, oltre quelle brutte sorprese che proprio non ti aspettavi, i fulmini a ciel sereno che t’inceneriscono, tanto per chiarire.

Si rialza, si schiarisce la voce e si siede di fronte a me. Sguardo serio, porta i capelli dietro le orecchie e le sue mani quasi sembra stiano disegnando nell’aria.

“Trovo sia una stronzata, semplicemente una stronzata epocale Alberto. Come puoi pensare di racchiudere in poche righe ciò che forse non trova abbastanza spazio nemmeno nell’intero universo? Come puoi descriverti in meno di dieci righe quando nemmeno dopo anni di psicologo puoi affermare di conoscere davvero te stesso? Da avvocato ti risponderei che non firmo per assoluta incertezza del contenuto, da filosofo non firmerei perché è la logica a mancarti. Se fossi una psichiatra ti diagnosticherei senza dubbio qualche disturbo della personalità e ti drogherei con massicce quantità di psicofarmaci. Ma non sono niente di tutto questo, non mentre siedo davanti a te. Mi hai sorpresa Alberto, come nessuno aveva mai fatto prima. Mi hai scossa dal profondo e non so dirti se in bene o in male, so che voglio scoprirlo. Perché forse non incontrerò mai nessun altro nella vita tanto folle da pensare di poter redigere un contratto d’amore e allo stesso tempo tanto coraggioso da sottopormelo per davvero. Io firmo, Alberto, ma sia ben chiaro che non firmo per nessuna delle lettere nere che hai stampato, per nessuna delle parole che hai scritto. Io firmo, Alberto, per tutto il bianco che ti sei tenuto dentro.”

I soliti buoni propositi

Mi piace questa tradizione dei buoni propositi per l’anno nuovo. In pratica, dopo la lettera a Babbo Natale, uno deve fare la lista di ciò che intende fare nel nuovo anno. Tipo un business plan della propria vita.

Investirò di più nei sentimenti, metterò in cassa integrazione lo shopping, investirò su amici, vino e cibo buono.

Mi autotasserò ogni volta che dirò una parolaccia ed userò quel tesoretto per farmi una vacanza in barca.

Ottimizzerò la produzione studiando di più e diminuendo le pause caffè ottenendo così un guadagno al netto della soddisfazione pari a circa millecento sorrisi in più al mese.

Taglierò il tempo perso a farmi problemi inutili investendo un paio d’ore a settimana dedicate alla ricerca delle risposte alle grandi domande sull’universo.

Comprerò dunque un bel cappotto per prepararmi al nobel per la matematica che dubito vincerò. E non lo vincerò perché un’amante di Alfred Nobel se la faceva allegramente con un mago del 2+2, mister Magnus Gustaf Mittag-Leffler, e per colpa della sua bacchetta magica io non potrò mai diventare la prima donna a vincere il nobel per la matematica.

Mai mischiare sesso e affari, sempre detto.

Assumerò nuovi atteggiamenti proponendo una politica aziendale di gentilezza con il prossimo, promuoverò progetti di team building con week end al lago e in montagna.

Metterò l’arte al primo posto per far sì che il lavoro s’ispiri sempre alla bellezza, mi batterò per la vittoria del buon gusto sul pacchiano.

Istituirò un fondo per far fronte agli imprevisti, miele in caso d’amore, corde vocali nuove in caso di  perdita di voce post-concerto, scarpe nuove nel caso consumassi le suole durante viaggi in posti ancora sconosciuti.

Farò dell’ottimismo una religione senza dimenticare di prendere un paracadute, farò meno teatrini quando mi arrabbio ed andrò più sovente a teatro.

Creerò un’ora alla settimana dedicata alla ricerca di cose sconosciute puntando a diventare massima esperta della teoria delle stringhe.

Studierò il tedesco per non sfigurare all’Oktoberfest e per rendere finalmente felice mia Nonna trovando un biondone con dei bei denti. Perché avere dei bei denti è tutto per mia Nonna.

Che poi spero vivamente che mia Nonna non stia leggendo perché il prossimo buon proposito, l’unico che tutti abbiamo, non è quello di essere felici da impazzire, non è quello di fare un bagno nei gettoni d’oro, non è quello di diventare capi del mondo. No.

Il prossimo ed ultimo augurio è terra a terra, è ritorno alle origini, è saper riconoscere che non si può sempre solo guardare in alto, bisogna anche avere il coraggio di abbassare lo sguardo ed osservare il proprio ombelico. Il mio ultimo buon proposito è dunque imparare a lasciarmi andare di più, smettere di fare il ghiacciolo anche ad agosto.

Il mio ultimo buon proposito, in sostanza, è fare più sesso.

Si ringrazia il ministero del Lavoro per il sostegno al progetto “Più sesso per un anno di successo”

Manifesto per te.

Oggi non lavoro, oggi non studio, oggi manifesto per te.

Tu mi dirai che ascolto troppo quel gruppo di vecchi, i Bandabardò, e hai ragione.

Se mi rilasso? In realtà non saprei dirti, è troppo tempo che non lo faccio.

Scendo in piazza con i cartelloni, ci scrivo “conosci te stesso”.

Un bel gioco dura poco ed il marketing, in amore, non so a quanto serva.

Anzi guarda in questa manifestazione io ti faccio psicologia inversa, ti sbatto in faccia i miei difetti e tu scoprirai di amarli tutti, uno ad uno, come io faccio coi tuoi.

Sarebbe troppo facile dirti perché dovresti amarmi, sarebbe troppo ermetico un elenco vuoto.

E quindi eccoti qui il perché tu dovresti ridermi in faccia, ed eccoti qui perché non lo farai.

Non sono testarda, devi solo usare le parole giuste per convincermi a cambiare idea.

Amo litigare, proprio mi piace a livello viscerale. È che credo che la rabbia elimini ogni maschera, quando perdi il controllo riveli chi sei. Ed io mi sono innamorata perdutamente dei tuoi nervosismi. È bellissimo vedere il fuoco che nasce piano piano fino a che non riesci più a tenerlo, fino a quando i tuoi occhioni si accendono di luce pulsante anche se il meglio, si sa, è fare pace.

Sto sempre sulla difensiva. Da grande stratega quale sei, tu stesso m’insegnasti che la miglior difesa è l’attacco, chiediti ora perché a volte sento il bisogno di essere velenosa.

Me ne vado. Quando ho paura, me ne vado. È strano sai, mi capita solo con le persone. Sul lavoro per me esistono solo sfide, è quando incrocio sguardi cupi che inizio a tremare.

Non bevo vino scadente. Se ci pensi è un bel problema, però proprio non ce la faccio, piuttosto ceno ad acqua.

I calzini spaiati sono all’ordine del giorno. Neanche il mio cassetto dell’intimo riesce a sostenere una relazione stabile.

Ti amo. Questo poi è proprio il difetto peggiore, quello che sono anni che t’imponi di non vedere, di superare, d’ignorare. Io ti giuro che litigo un decimo di quanto facevo un tempo, ho imparato a fidarmi delle persone anziché partire prevenuta, le mie gambe non hanno più voglia di correre senza contare che ho, addirittura, bevuto un vino che anche per cucinare sarebbe stato imbarazzante.

Non ho mai smesso di amarti.

Sono qui, oggi, davanti alla tua università aspettando che tu esca da lezione e ho questo cartello in mano.

Conosci te stesso.

Mi sono organizzata, ho uno zaino da campeggio con tenda, fornellino e viveri in abbondanza per una settimana.

Io sto qui e non mi muovo. Se piove forse mi prenderò un raffreddore ma non m’importa perché mi si gonfieranno i capelli e tu potrai prendermi in giro dicendo che sembro una pecora pronta per essere tosata. Amo quando mi prendi in giro.

Conosci te stesso e scava a fondo, scava come questo chiodo tra i san pietrini.

Io, oggi e domani, sono qui ad aspettarti.

Manifesto per il tuo amore, questo è il manifesto del mio amore.