Verrà quel giorno.

Verrà quel giorno e ti guarderò negli occhi.

Tu già conoscerai le mie parole così che potrò tacere e cingerti tra le mie braccia finalmente sicure.

Verrà quel giorno e chiuderemo le palpebre guardando il futuro.

Mi stringerai, la mia aria sarà la tua aria così che consumeremo tutto l’ossigeno restando inspiegabilmente vivi, più vivi che mai.

Verrà quel giorno e indosserò un vestito verde, una primavera anche in pieno autunno.

Guarderemo quei paesaggi di cui siamo innamorati, con cui ci siamo innamorati.

Non so dirti quando, forse tra un’ora, forse tra dieci anni. Ma tu non disperare e io non dispererò.

Tu non smettere di crederci ed io ti seguirò.

L’avresti mai detto? Ora, ti dico, sì.

Prenditi il tuo tempo, concedimi il mio tempo. Lasciami riordinare casa prima di accoglierti, ti lascio scegliere i vestiti prima di giungere.

Sai che odio le mele, dunque ti dico che siamo due metà della stessa fragola.
Una fragola selvatica con tutti quei semini e il suo sapore che, se colta prematuramente, ti stordisce per l’acidità.

Ed è per questo che ancora la osserviamo, perchè abbiamo imparato ad aspettare la dolcezza della maturità.

Ed è per questo che morderla sarà tremendamente rosso, tremendamente bello.

Un frutto spontaneo non soggetto a regole.

E noi le regole le abbiamo infrante una ad una.

Verrà quel giorno ed è già un po’ più vicino.

Ancora.

Caro Amore,

spero che la tua giornata a lavoro sia andata bene. Spero che tu non ti sia stressato troppo, spero che tu non abbia inveito contro gli automobilisti che non scattano un millesimo di secondo dopo il verde come fai sempre.

Mentre leggi questa lettera sentirai un profumo dalla cucina, sono le lasagne che ti ho lasciato in forno. Le ho fatte con le mie mani, le ho cucinate per te.

Sarai entrato in casa chiamandomi e, non sentendo risposta, avrai pensato che sono ancora alla mia stupida lezione di yoga.

Non avrai notato che ho tolto il quadro della ballerina dal soggiorno. Bene, ora che hai guardato il muro avrai visto il tuo poster preferito con cui ho colmato il vuoto di quella parete.

Oggi non sono andata a lavoro, ho preso qualche giorno di ferie. Mi dispiace per le sbavature d’inchiostro su questa lettera, è che sono un po’ emozionata.

Ho deciso che non ti sposo. Né ora né mai.

Ho già portato via tutte le mie cose, non preoccuparti. Non che tu l’abbia mai fatto, s’intende, ma lo dico nel caso decidessi di iniziare a farlo oggi. So badare a me stessa, e lo sai bene.

Ora ho un dubbio atroce nella testa: cosa starai pensando della mia frase “ho deciso che non ti sposo”?  ho due ipotesi a riguardo: nella prima tu stai ridendo della grossa pensando che sia una delle mie solite crisi, di quando mi sento confusa, agitata e depressa ma dopo quarantotto ore torno normale. Nella seconda stai inveendo contro di me dandomi della stronza e scervellandoti sul perché io abbia deciso di scriverti anziché guardarti negli occhi e dirtelo. In entrambi i casi, spero che tu non abbia ancora stracciato questi pochi fogli e che stia continuando leggere.

Ho chiesto il trasferimento a lavoro, torno a casa mia. Sono tre mesi che aspetto questo momento e finalmente è arrivato. Avevo anche provato ad accennartelo ma, come al solito, i tuoi capelli fuori posto erano più importanti dei miei inutili “problemucoli da femminuccia”.

Non voglio che tu ora pensi  io sia arrabbiata con te, che ti reputi una persona malvagia o quant’altro. Ho semplicemente deciso di cambiare vita.

La verità è che quando ci siamo conosciuti all’università tu eri devastato dai tuoi problemi esistenziali e credevi fossi la tua ancora di salvataggio. E lo sono stata. Credevo di essere felice, l’ho sempre pensato. Ti avevo preso per mano e insieme avevamo sorriso, e insieme abbiamo amato. Quello che non sapevo è che le ancore sono fatte per essere gettate a fondo, e tu mi hai gettata con una violenza inaudita. Un po’ come una spugna dopo aver lavato i piatti sporchi. E tu eri il piatto sporco, ed io la tua spugna. Ho assorbito il tuo nero dandoti indietro bianco senza mai chiederti nulla in cambio. Ho accolto il tuo amore sempre più sbriciolato pensando che fossi io il problema, pensando che fossi io a non essere abbastanza.

La verità, Amore, è che non è mai stato amore vero. Pensavamo di essere due formine complementari come in quei giochi per bambini, solo che io sono cerchio e tu un cubo pieno di spigoli. Sei entrato nella mia vita come un caterpillar nato per distruggere ed io ora esco dalla tua in punta di piedi, anzi di penna. Non siamo fatti per stare insieme ma ciò non ti rende peggiore, ma ciò non mi rende migliore. È semplicemente la verità, Amore. Io ho bisogno di sorrisi, di un tè caldo la sera e una carezza prima di dormire. Ho bisogno del mare sulle ciglia d’estate, di sudare scalando le montagne. Ho bisogno di sapere che se voglio partire, la persona al mio fianco è disposta a seguirmi. E vedi bene che adesso ho il coraggio di essere egoista, di non pensare innanzitutto ai tuoi problemi. Perché non mi riguardano. Perché ho la nausea delle tue inutili lamentele su come il lavoro ti distrugga, su come la tua vita non abbia senso.

Reagisci per Dio, alzati. A volte ho come l’impressione che tu ami crogiolarti nelle tue piccole disgrazie, nei tuoi drammi da soap opera. Ma io cerco il Sole, e tu sei nube che mi porta pioggia. Aveva ragione il nostro amato Battiato, arrivederci amore ciao le nubi sono già più in là. Ti prego non cercarmi, nemmeno io sono ancora riuscita a trovarmi. Sii semplicemente forte una volta nella vita, te ne prego. Abbi, da domani e per sempre, il coraggio di essere sfacciatamente felice come io, a tuo dire, so essere.

C’è un marron glacé nel frigo,

il nettare degli dei.

Tua,

Lady M.

Un, due, tre.

Voglio diventare responsabile, questa è la mia più grande aspirazione nella vita. Responsabile non di negozi, imprese, cose a caso. Voglio diventare responsabile della mia stessa vita.
L’ho capito l’altra mattina mentre mi lavavo la faccia. Ho la barba, il pomo d’Adamo, un sopracciglio pronunciato : in poche parole, sono un uomo.
Forse la maturità non si prende alla fine del liceo con una data prestabilita, forse arriva mentre sei sulla tazza del cesso a leggere topolino, come il flash di un autovelox sulla statale. È fulminante. È come se di colpo la tua unica paura fosse quella di rimanere per sempre bambino, di non saper crescere. Un giorno ti svegli e pensi che qualcuno tu lo vuoi crescere.
A me è successo così : una mattina, mentre mi lavavo la faccia, ho capito che volevo un figlio. Sarà stata colpa della nuova acqua di colonia, o che ero semplicemente felice.
A Marta non l’ho ancora detto, devo saper garantire un futuro al mio bambino. Con che coraggio potrei chiederle « facciamo un bimbo ? » sapendo di guadagnare una miseria ?
Ma questo sono io ? Io che ho sempre sognato grandi cose lasciando la vita privata privata dietro le quinte, io che ho sempre sognato di diventare il numero uno adesso spero di vivere in tre. Subito ho pensato fosse colpa del vino della sera precedente, « una bella giornata a lavoro e passa tutto ».
Ho ignorato il pensiero per giorni, settimane, mesi sperando se ne andasse come i pakistani che ti vendono le rose il sabato sera. Vabbè suona razzista ma è il mio pensiero, mica una convention di emergency.
Col passare del tempo, mattina dopo mattina, doccia dopo doccia, ho realizzato mio malgrado che ci stavo pensando più del dovuto. E se l’idea di avere un figlio non fosse stata totalmente campata in aria? In fondo ho quasi trent’anni, amo Marta più del caffè di prima mattina e voglio qualcosa di nostro, qualcosa di mio e suo ma, allo stesso tempo, indipendente. Voglio un motivo in più per cui svegliarmi la mattina, un figlio a cui fare da modello e da cui imparare a vivere. Perchè per me questo è l’amore : dare e avere. Dare la vita e ricevere una pupù nel pannolone, questo è ciò che voglio. Inciampare nei primi passi incerto e correre insieme a mio figlio col passare del tempo, lasciandogli infine il testimone, sedendomi a godere lo spettacolo della nostra esistenza. E sulla panchina insieme a me io ci vedo Marta coi suoi vestiti un po’ retrò e quel modo di fare apparentemente svampito. Ci vedo i suoi capelli e quel sorriso che porta sole anche nei giorni di pioggia. In fondo adesso, mentre aspetto che il momento venga, un motivo in più per sorridere già ce l’ho : pensare che ogni euro che guadagno lo accantono per un figlio, per nostro figlio. Pensare che quando vedo lo stipendio non sono solo affitto e birre ma anche pannolini. Pensare, forse, che un bambino non è il compimento di una vita, ma l’inizio di un’altra.
Ed è sorprendente come tutto questo coincida col mio modello di vita: porsi sempre nuovi obiettivi, nuove sfide, mettere a dura prova i nostri limiti per raggiungere quel traguardo che tutti chiamiamo felicità ma che ognuno mette in posti differenti. Il mio, Marta, è al tuo fianco. Tutti e tre insieme.

Per caso, amore.

Tu ci credi ai miracoli ? Io si. Hai mai pensato al destino ? Io si. Ti sei mai fermato a riflettere mentre andavi di fretta ? A volte, io si.
Tu pensa a che regalo ci ha fatto la sorte oggi. Tra tutte le combinazioni possibili al mondo, tra tutte le teste che popolano il mondo, oggi ci siamo io e te.
Io e te nello stesso emisfero, nello stesso continente, nello stesso paese, nella stessa capitale, nello stesso metrò. Andiamo pure nella stessa direzione, che caso no ?
Ho controllato, passa un treno ogni due minuti. Ho contato, ci sono sei vagoni. Ho verificato, ci sono quattordici linee metro, quattro linee RER e infiniti bus. Eppure, io e te, siamo qui.
La gente pressa così tanto che non avere un ottimo deodorante diventa attentato alla pubblica sicurezza. Il tizio accanto a me ascolta r’n’b di terza scelta e se non abbassa quel dannato volume diventerà sordo prima dei trent’anni. Io e te invece niente cuffie, sappiamo ancora ascoltare il rumore della gente.
Ma ti rendi conto del caso ? Guarda che se ci pensi è incredibile, sono qui solo perchè ho perso di un soffio il treno prima e dio, che fortuna averlo perso. Ora tu mi guardi e mi sembra che non ci sia nessun altro nel vagone. Tu mi guardi e io penso che è stata una pessima scelta non mettere un velo di trucco. Avrai notato le mie occhiaie, sembro un panda. È che sono stanca, normalmente non le ho. Ho dormito male, capita sovente. Mi perdo nei pensieri e non ne esco più. O forse, semplicemente, bevo troppi caffè. Sarà che sono nervosa. Un bella cazzata essere nervosi e bere caffè sperando di rilassarsi. Un po’ come lamentare una tendinite e andare a correre la maratona di new york. Un po’ come aspettare un tuo sguardo e abbassare gli occhi quando lo vedo.
Sullo stesso vagone, cioè è pazzesco, assolutamente pazzesco. Averti qui davanti a me è l’equivalente di un assetato che trova un’oasi nel deserto. Senti allora che dici, lo sfruttiamo questo miracolo della statistica, questo capolavoro del Caso ? Io scendo alla prossima, vieni ? Facciamo un gioco : io scendo e non mi volto prima dell’uscita, so già che ti troverò lì. Vero ? Conta fino a tre e buttati nel vuoto, buttati sul marciapiede mentre le porte suonano e la giacca per un soffio non rimane impigliata. Battimi sulla spalla e sorridimi, non è difficile. Ti accetto anche senza cavallo non preoccuparti. Mostrami il tuo regno, a cosa pensi quando piangi ?
Tre, due, uno.
Le porte si chiudono, sono fuori. Non resisto a non voltarmi fino all’uscita. Mi giro subito, in fretta, con la sicurezza di chi sa cos’ha alle spalle anche se paradossalmente sei il mio futuro e non il mio passato.
Non ci sei, il treno è ripartito. Non ti vedo, ti cerco tra la folla che va controcorrente al nostro destino.
È un attimo, è un flash. Era tutto nella mia testa.
È che a volte, sovente, molto spesso, la maggior parte del tempo, quasi sempre, non do voce ai miei pensieri. Me li chiudo nella testa a doppia mandata e il massimo che riesco a fare è metterli nero su bianco. Perchè li vedo e li controllo. Lasciarli andare con un po’ di vibrazioni e qualche molecola d’ossigeno non fa per me. Lasciarli andare come ho lasciato andare te, non fa per me.

Un giorno in meno al mai.

Chiudi gli occhi e assapora le mie mani, chiudi gli occhi e senti il mio respiro.
Io ti parlo, tu in silenzio annuisci. Ti racconto di luoghi lontani, di cose che ho vissuto in un passato che non esiste più eppure è sempre lì.
Chiudi gli occhi e fingi che sia vero. Un paradosso lo so, fingere che sia reale ciò che di reale non ha nemmeno il sangue. Ma con l’immaginazione sei già altrove, sei già oltre. Oltre la siepe, il tempo, oltre il fuso orario che ci separa come una gelida lama d’acciaio.
Chiudi gli occhi ed è vero, il profumo dei tuoi capelli, il calore della tua voce. Niente è più potente di una mente che vola.
Prendimi per mano e raccontami di te, fallo con gli occhi le parole son superflue.
Lo vedo in fondo all’iride quell’amaro che attenta alla tua purezza. Ma sei diamante e nulla ti scalfisce. Ma sei diamante e da te non nasce nulla.
Shhh non dire niente, perché mediare l’immediatezza dei tuoi occhi? Sarebbe come dire il grano color oro, vedi bene che è ridondante oltre a suonar male.
È passata un’ora da quando siamo qui, io nella mia casa e tu chissà dove. Un vento dell’ovest che mi soffia dritto in faccia, è vita che si muove e mi commuove. È come mano tra i capelli con un po’ di polvere negli occhi. È come che vorrei non ritornarci al vero perché il vero ce l’ho in testa.
La sveglia suona e il caffè passa più inesorabile del tempo. Il caffè passa e tu con lui, più inesorabile dei miei pensieri. Passerà anche oggi ed è un giorno in meno a quando ti rivedrò. Un giorno in meno al mai. Se solo quel giorno ti avessi detto ciao. Se adesso non sapessi che coi se e coi ma si scrivono solo belle storie, non potrei dirti che niente è più reale dell’immaginazione.

Un capo che ritrovò la coda

Questa è una storia che non ha capo né coda. Questa è una storia senza drammi, senza colpi di scena, senza azione.

Se volete leggere di omicidi, di sangue e di battaglie, se volete leggere d’amore, allora non leggete questa storia. Se volete leggere di peccatori, di santi e di eroi, se vi piace il lieto fine, allora cambiate storia. Perché qui non c’è inizio e men che meno una fine. Qui non c’è amore né passione né tanto meno morte.

Questa storia in realtà è una somma di storie che contengono una storia ma, di per sé, non è una storia. Narra di un paese, un piccolo paese con più chiese che abitanti. Narra di uomini, donne e qualche bambino che si trovarono in un bar. Un bar in un paesino con più chiese che abitanti, un bar tutto sommato pulito, ben illuminato. Così ben illuminato che i nostri protagonisti di questa storia che non è una storia, dovettero abbassare le tapparelle. Ed è un dettaglio inutile perché le tapparelle abbassate non hanno alcuna importanza, forse.

Adesso la tensione è palpabile, il lettore si chiederà perché le tapparelle, che m’importa delle tapparelle se d’importanza non ne hanno? E questo è un grattacapo che ti leva il sonno, quel dettaglio che si pensa sia la chiave ma poi si scopre che non c’è nessuna porta. Allora si pensa che, se fosse inglese, almeno questa chiave servirebbe a qualcosa. Non perché l’inglese sia utile, bada bene, la chiave inglese lo è.

Questa è la storia di alcuni personaggi seduti in cerchio, anche se un cerchio propriamente non è, che si trovarono in un bar per ascoltare. E vien da chiedersi che cosa mai ci sia da ascoltare in un piccolo, pulito e ben illuminato bar di paese. Le chiacchiere delle vecchie, la macchina del caffè, le tazzine ancora calde.

Ora il lettore si sorprenderà di scoprire che i nostri eroi, i nostri eroi di questa storia che non è una storia, si trovarono in un bar per ascoltare un gran maestro. Che setta sarà mai una setta che si riunisce in un bar? Forse il circolo della canasta, il gran oriente della caffetteria. Si discuterà senza dubbio di miscele di caffè. Così il lettore rimarrà deluso scoprendo che di un arabo si parlò ma l’arabica mai fu nominata.

È inammissibile, si pensa, che dopo mezza pagina ancora non si veda una storia. Che non si dica, tuttavia, che non eravate state avvertiti. Uomo avvisato, mezzo salvato. E di salvati tra i nostri eroi ce ne sono ben pochi, anzi forse nessuno.

Questa è una storia in cui i personaggi, e il numero di personaggi sceglietelo pure voi, si trovarono in cerchio per ascoltare il gran maestro che raccontava storie, che raccontava come si scrive una storia. Una storia qualunque, che di logico non ha nemmeno il filo. Una storia di poeti, cantanti, geometri ed avvocati. Ognuno con una storia, anche se nessuno parlò della sua storia. E allora voi mi chiederete che senso ha scrivere una storia che non contiene una storia, una storia in cui uomini raccontano fatti, in cui son tutti un po’ matti, in cui non emergono sommersi né ci sono salvati. E vien da chiedersi se questa è una storia dove tre vecchi che vivono insieme decidono d’ammazzarsi così, perché così dice lo scrittore. Allora si scriva, perchè almeno nelle nostre pagine bianche si è avvocati, imputati e pure giudici. Così adesso dico che un personaggio aveva lunghi capelli blu, che uno le scarpe le portava solo d’inverno, che il muto per miracolo parlò. E poco importa se mi distacco di molto dal vero, perché il vero in una storia conta meno di un due di picche, a carte s’intende. Allora concludo e vi confesso che una fine non ce l’ho, ma l’inizio non è male. Decido dunque che sarà l’inizio, l’inizio di una storia che sarà una vera storia. Una storia in cui vedremo amore, passione e magari un po’ di morte. La storia di un capo che ritrovò la coda. Ma questa è un’altra storia.

Amore sincronizzato

Qualcuno una volta mi ha detto che l’innamoramento è come una cascata, un vortice di emozioni ed energia, una sensazione che ti fa sentire vivo dall’unghia del quinto dito fino alla punta dei capelli ma che, purtroppo, ha una fine. L’amore duraturo, invece, è più come un fiume, calmo ed infinito. Almeno ad occhio nudo. Ecco io sono sempre stata cinica, non è che abbia mai davvero creduto a questa favoletta dell’altra metà della mela. Che poi a ben pensarci sarebbe più carino dire che siamo due valve della stessa ostrica. E che l’amore è la perla al nostro interno. Lo so, dico di essere cinica anche se è evidente che da qualche parte mi sia rimasto un briciolo di romanticismo.  Ma questa è un’altra storia.

Oggi voglio parlarvi di un legame che non avevo mai visto prima, di una simbiosi tra due esseri viventi.

I protagonisti, nonostante sembri l’inizio di una barzelletta, sono un tedesco ed una scozzese. Lui è alto, un corpo statuario e occhi più dolci della panna montata. Lei è bassa, tozza, pelosa, ma è una tipa tosta. Lui si chiama Pablo, cacciatore per natura, modello per passione. Ha uno spiccato senso della protezione ma, è cosa nota, tutti lo amiamo per la sua non brillante intelligenza. Lei si chiama Giorgi, venderebbe l’anima per un po’ di cibo, compensa la bassezza con l’astuzia. Fashion victim di prim’ordine, porta sempre un ciuffo davanti agli occhi che, lei crede, le dona un aspetto misterioso. Lui è il braccio e lei la mente, una coppia che fa scintille. Lei pensa, lui agisce. Lei ha fame, lui le lascia finire il piatto. Lei ha paura, lui la difende. Lui vuole giocare, lei ringhia. Il loro legame è così simbiotico che anche i bisogni vengono fatti in sincro. Lui alza la gamba, lei si accovaccia al suolo. Lui fa la numero due, lei ci mette tutta l’anima per imitarlo. La loro vera grande passione rimane la caccia alle lucertole. Si divertono come bambini mentre corrono disperatamente dietro il rettile mal capitato. A vederli, va detto, viene da sorridere. Giorgi, cane multifunzione, ricorda un puff poggia piedi ma è utile anche come spazza pavimenti o come orsacchiotto di peluche. Pablo, al contrario, è il classico grande grosso e tonto. Quando lui cattura un riccio, e non chiedetemi come diavolo ci riesca perché va contro ogni legge fisica, lei ha il diritto di rubargli la preda. Diciamo che la loro coppia è molto bilanciata poiché gli evidenti complessi d’inferiorità di Giorgi (alta circa quanto una margherita), vengono compensati dalla galanteria del suo compagno. Lei, in cambio, lo fa sciogliere con un bacino sul muso. E in quel bacio c’è tutto l’amore, e negli occhi chiusi di Pablo c’è tutta la tenerezza.

Sono inseparabili, un duo comico che funziona solo nell’unione, due ingranaggi nati per stare insieme. Io credo che, se mai esistesse l’altra valva della mia ostrica, vorrei che la nostra perla fosse come quella di Pablo e Giorgi. Solo, non ho ancora capito se sarei quello alto e tonto o quella bassa e stronza.

Posso sognarti?

Ciao, scusa se ti disturbo a quest’ora tarda.. ti ho svegliata? È solo che mi chiedevo se potevo sognarti. Sto per andare a dormire e mi è venuto in mente il tuo bel visino. Solitamente l’ultimo pensiero che ho prima di chiudere gli occhi mi gira nel cervello tutta la notte così, ecco, mi chiedevo se ti dava fastidio che ti sognassi. No dico perché sono dieci anni che ti amo ma non ti ho mai vista nuda. Però magari sai il mio inconscio nel sogno potrebbe anche pensare di guardarti mentre dolcemente ti spogli ignara della mia presenza. Non ti bacerei, sai che non potrei mai senza il tuo permesso. Nemmeno nei miei sogni potrei mancarti di rispetto. Che cavolata, è limitante la mia educazione sai? Anche nelle mie fantasie tu non sei mia perché sarebbe come violarti, come farti un torto che rimarrebbe nella mia testa piccolo piccolo quasi invisibile eppure non mi lascerebbe più il coraggio di guardarti negli occhi. Posso sognare i tuoi occhi? Solo l’iride. Posso sognare i tuoi occhi e non svegliarmi più? Anche le tue mani, vorrei sognare anche le tue mani se non ti dispiace. Forse pretendo troppo, sono passati solo dieci anni da quando ho iniziato ad amarti. Non sarei mai così presuntuoso da pretendere la tua attenzione, tu sei Luna e io sono un infimo masso in fondo agli abissi. Tu guarda avanti e vola libera, io col mare negli occhi ti osserverò felice. Ho così tanto amore da darti che basta per entrambi. È per la mia salute che non possiamo vederci, il cuore si fermerebbe di colpo se tu mi sorridessi ancora come quella volta. E se il mio cuore si fermasse non potrei più amarti, che senso avrebbe vivere senza amarti? Che senso avrebbe morire se fossi obbligato a smettere di vivere per te? È molto tardi hai ragione ma non piangere. Io non voglio niente.  Voglio solo il permesso d’immaginare i tuoi begli occhi in cui tuffarmi. Solo una volta giuro. Mia musa, mio amore, mio tutto. Non sentirti in colpa, non dire nulla. Anzi è colpa mia che ti getto queste parole come un sacco dell’immondizia senza pensare che potrebbero ferirti. Lo fanno? Non badare a me, io sto bene al tuo solo pensiero, mi riempi come aria fresca nei polmoni, come luce di prima mattina. Ai sogni non c’è freno dici. E allora permettimi, solo per questa notte, d’immaginare le mie labbra che sfiorano le tue. È sapore di pesca amore mio. Ci vediamo nel mio sogno.

Io sono poligamo (parte II)

Caro Guido,

sono abbonata da anni a questo giornale e, dopo aver visto la tua lettera, ti confesso che per la prima volta in vita mia ho deciso di inviare una risposta.

Non voglio attaccarti, siamo più simili di quanto pensi. Hai parlato di poligamia, di come amare una sola donna non ti basti, del fatto che i tuoi sentimenti siano sinceri. Ecco ora riprenderò un tuo passaggio sul quale vorrei soffermarmi:

“So che il vostro non è sincero amore ma solo il tentativo di diventare la numero uno, eppure mica mi lamento, mica vi faccio patetiche scenate isteriche. Forse, in fondo, la sfortuna è la mia che dono il mio cuore e da voi non ricevo altro che complessi d’inferiorità.”

Mi ha fatta riflettere parecchio, sai? E questo perché io sono come te, io sono poligama.

Non faccio moralismi, anch’io metto in chiaro le cose fin da subito. Sono sposata, ho due figli e non ho mai avuto alcuna intenzione di lasciare il mio porto sicuro. Però è anche vero che a volte da soli non siamo in grado di vedere i nostri problemi, spesso necessitiamo di qualcuno che ce li faccia notare. E nel mio caso quel qualcuno sei stato tu. Leggere le tue parole è stato come guardare dentro la mia testa. Mi hai scavato l’anima e ci ho visto una voragine che nessun amante potrà mai riempire. Finito l’articolo ho preso un bicchiere di whisky, mi sono seduta in giardino al buio e ho iniziato a pensare.

È possibile amare due, tre, quattro persone contemporaneamente allo stesso modo? Come rappresenteresti l’amore che una sola persona è capace di provare? Come una torta da cui puoi ricavare tantissime fette? O come un cioccolatino per un uomo solo? Voglio dire io ho due figli e amo entrambi allo stesso modo, ma è paragonabile il sentimento che nutro nei loro confronti all’amore che ho per i miei uomini? Io credo di no, e lo sai anche tu caro Guido.

Poi ho iniziato a pensare che probabilmente sono un’insoddisfatta, che sono incapace di accontentarmi. Praticamente un’ amore-dipendente. Ma questo non spiegherebbe perché io non sia semplicemente una cozza con mio marito ma abbia bisogno di cercare avventure al di fuori del mio matrimonio. Ninfomane? Assolutamente no, sono la seduzione e l’amore ad interessarmi, non il sesso. O meglio, il sesso m’interessa come conferma del mio successo, non come atto in sé. La verità, Guido, è che sono un’insicura. Ho un bisogno estremo di conferme e non avevo mai trovato il coraggio di ammetterlo. Ho bisogno di sedurre un uomo e di sentirmi dire che sono bella. Ho bisogno che a farlo siano in molti perché in fondo io in me stessa non ci credo poi così tanto. I miei amanti sono le mie reti di salvataggio, il problema è che il pericolo per me stessa sono io stessa. Io che non so se sono in grado di tenermi la stessa persona al mio fianco per tanto tempo perché il mondo è pieno di donne migliori, io che faccio del male per non farmi male ma che in fondo, molto in fondo, non mi ero mai resa conto che m’illudevo di colmare un vuoto con dolci parole. Tu Guido hai detto “amatemi se potete. Amatevi perché dovete” e io ora concludo la mia lettera ponendoti una domanda:

tu ti ami? Perché io, dopo averci pensato, ho realizzato che non mi amo poi così tanto.

Ti abbraccio forte fino all’anima,

Benedetta

Fammi volare

Le sfide più grandi sono con noi stessi. La paura devi metterla da parte. Com’è che allora scende questa lacrima? Io sono più forte di te, sono più forte di me. Il segreto sta nell’accettare la sconfitta. Vieni dai prendimi per mano, fammi volare, fammi dimenticare cosa c’è oltre il vento. Chiudi gli occhi e assapora questo sale che si secca sulle ciglia, che ti bagna la pelle. Questo sole ti acceca non meno di un amore folle che non ti sai spiegare. C’è solo vento intorno a te, tra i capelli, nelle narici, nel cervello dritto al cuore. Lo senti tra le mani il Maestrale mentre la scotta ora brucia e tu la stringi, non mollare. Ci sei quasi, alza la deriva. Io mi sento alla deriva. Torniamo indietro, stiamo in mare ancora un po’. Fermiamoci qui ancora un po’. Puoi toccare fa male ma non troppo. Oggi ho visto una farfalla, mi volava intorno ai piedi quasi a dirmi vai avanti. Oggi ho visto un po’ d’acqua nei miei occhi quasi a ricordarmi che il mare ce lo portiamo dentro. Prendimi per mano, annulla tutto il resto. Fammi sentire il sibilo della velocità, fammi provare il brivido del controllo. Portami a bordo, non scendiamo mai. Dritti fino all’isola che non c’è,  dritti fino ai sogni dei miei giorni di Sole. Ho visto in faccia l’amore e gli ho dato il tuo nome. Ho visto in faccia l’amore e portava il tuo odore.
Ho un gusto un po ‘ amaro sulla lingua, ho sete di vento nelle vene.
Non mi fermare, voglio iniziare a volare.