Ego tra le righe

Ho sentito dire che il successo di un racconto dipende da quanto il lettore riesce ad immedesimarcisi. Una cosa del tipo che se ora scrivessi la storia degli allevatori di pecore del sud est della Bolivia avrebbe molto meno seguito di un grande, grandissimo amore finito dopo appena quindici giorni. Ora non dico che siamo tutti disinteressati di fronte ai problemi e al freddo che devono patire i pecorai del monte Sajama (sì ho dato una sbirciatina su wikipedia), solo che forse non ci vediamo nulla di nostro in un uomo che produce ottimi formaggi isolato dal resto dell’umanità. Non ci risolve i problemi esistenziali apprendere come si munge una pecora. Ma chi l’ha detto che i libri debbano darci delle soluzioni? Come la mettiamo poi con quella faccenda dell’arte come fuga anche solo temporanea dalla realtà? È difficile evadere dal quotidiano se quello che si ricerca tra le pagine di un libro o tra le battute di un film sono le nostre emozioni vissute e raccontate da altri. Forse funziona come nelle foto di gruppo quando una volta che hai trovato il tuo faccione sorridente nell’angolo in basso a sinistra vicino al cespuglio e dietro quel tizio di due metri, bè tutto il resto dell’immagine svanisce e chi se ne frega di quello vestito da sailor moon in primo piano, tu ti sei trovato e ‘ntu culo a tutti gli altri. Cioè tu inizi un libro/racconto/film/quello che ti pare e rivedi in ogni personaggio tua madre/la vicina di casa/ il fidanzato figo della vicina di casa/ quella stronza dell’università/ il tuo pesce rosso e a quel punto, solo a quel punto, ti godi la storia. O forse no. Forse schiacci play/giri la prima pagina e fantastichi su come faresti tu se fossi nel protagonista, antagonista, amante del protagonista, barboncino della panettiera di fiducia della sorella del protagonista. Il punto è che in ogni caso se non ci sei Tu in qualsiasi modo, quella storia non ti prenderà mai. È un po’ triste se ci pensi, no? È un ragionamento veramente egocentrico. Cioè anche con la Divina Commedia ora scagli la prima pietra chi non ha mai fatto il giochino di “in che girone sarei”. Fa strano realizzare che anche davanti ad un capolavoro simile il nostro pensiero sia rivolto a noi stessi. E ovviamente mi ci metto dentro pure io, che mica son diversa dalla gente che mi sta accanto in metro, da te che stai affaticando le pupille su queste righe maledicendo il momento in cui hai iniziato a leggere. Perchè ad ogni costo noi dobbiamo sempre e comunque essere protagonisti o quantomeno partecipare? Perchè risulta impossibile, a meno che non si decida di leggere un saggio su come si filava la lana nel medioevo, sedersi in poltrona e godersi il libro da fuori, da osservatore esterno che non prende parte in alcun modo alla storia? Non siamo capaci di stare fermi o per il nostro ego non esiste forza centrifuga?

Tuttavia è vero, hai ragione, è sbagliato generalizzare e non sempre due più due fa quattro, non sempre riusciamo a penetrare tra le righe e trasformarci nel protagonista. Io, ad esempio, quando leggo le istruzioni per il montaggio del comodino ikea proprio non ci riesco ad immedesimarmi. Adesso tu penserai “caspita è vero, anche a me è capitata la stessa cosa con gli armadi del corridoio” e posso a questo punto ben sperare che non ti sia dispiaciuto leggerti tutta questa gigantesca pippa mentale perchè, in fondo (letteralmente in fondo), ci sei anche un po’ tu.

Primo me

Non ho mai capito i giudizi facili, gli ultimi prezzi. Cos’è questa storia tipo “quello è antipatico, l’altro è un cretino”, com’è che diamo per assolute verità delle opinioni puramente soggettive? Anche perchè se è vero che tendenzialmente le antipatie sono reciproche, o siamo tutti scemi o nessuno lo è. Il punto è che è questione di chimica, di compatibilità. Come in un puzzle, con un pezzo t’incastri e con l’altro no ma ciò non lo rende più stupido o più furbo, semplicemente va più o meno bene per noi. C’è chi ascolta solo musica tunz, chi senza il black metal non riesce ad uscire di casa. C’è a chi piace il sesso e chi se non recita il rosario pensa di morire per autocombustione, c’è chi beve vino bianco e chi preferisce il rosso. E allora? Non è forse tremendamente arrogante credersi dei giudici e sentenziare dall’alto di… del nostro sgabello della cucina? Non è forse stupido pensare che le nostre opinioni siano assolutamente giuste e che non lascino spazio ad altro? Ma forse mi sbaglio, forse siamo solo dei maghi del risparmio e, anche sulle parole, preferiamo non spendere energie inutili per dire “secondo me” a inizio o fine frase. Perchè poi è stupido no il fatto che la formula sia “secondo”, cioè io sono un campione al massimo posso dirti “primo me” e chi se ne frega della cacofonia. Poi è ovvio non voglio dire che non esistano persone poco furbe, per fortuna ogni regola ha le sue eccezioni, per fortuna fino a prova contraria una prova contraria la si trova per tutto. E dunque è bene essere diffidenti verso chi il vino non lo beve per nulla perchè teme il nettare degli dei, verso chi si fa modificare la macchina pensando di vivere in fast and furios e ti urla “ehy bella gnocca” mentre muove la testa a ritmo di Nino D’Angelo, verso chi si crede giudice della corte suprema solo perchè non ha il coraggio di giudicare sé stesso. Che bello sarebbe un mondo pieno di “secondo me” e di Nutella? Un mondo pieno di umiltà, nocciole tostate e cacao. Io per ora devo esercitarmi è ovvio, ma primo me non sarebbe male.

Adesso non esiste.

Mi fa strano scriverti. In realtà questo momento non esiste. Voglio dire ora qui adesso io ti dico che il mio caffè é caldo, ma quando tu lo leggerai sarà già finito. I miei capelli misurano circa 15,35 cm, forse quando tu leggerai saranno cresciuti di 0,00005 mm e tutto sarà diverso, ogni cosa sarà cambiata.  Io avrò più sonno, il sole sarà meno alto nel cielo o forse sarà già notte. Capisci é come se quando ti scrivo mettessi le parole in una bolla di sapone che non risente del tempo, dello spazio, dei capelli che crescono, del caffè che si raffredda. Adesso ne sono certa ci sono 2000 coppie che stanno facendo l’amore, un signore suona il violino nella stazione del metrò ma forse é già tutto finito, forse non é già più vero.  Come può esserlo se mentre ti scrivo il momento é già passato?  Si certo tutto scorre non l’ho mica inventato io, é solo che non ci avevo mai davvero pensato, non applicato ad una lettera. Si lo so che è un’email ma concedimi quel po’ di romanticismo che ancora conservo. Dici che esiste un mondo a parte per le parole scritte ? Che ne so un enorme archivio che funziona tipo una macchina del tempo. Tu dal futuro, che magari poi son dieci minuti, torni indietro al momento il cui mio indice si è posato sulla prima « emme ». Bello vero ? Un orologio che va avanti e indietro secondo i tuoi desideri. Avrai nella testa i miei capelli della giusta lunghezza, il profumo inebriante del caffè appena passato che, in realtà, ho bevuto già da un po’. Chissà cosa stai facendo adesso. Che poi se ci pensi adesso è relativo, pare evidente. Poi è un circolo vizioso perchè quando tu mi risponderai, se mai lo farai, sarà la stessa cosa. Mi dirai che sei felice perchè hai risolto quel problema, che stai uscendo a bere una birra e che, in fondo, forse un po’ ti manco. E io ora mi chiedo se sia vero, voglio dire quando io leggerò sarà ancora vero che mi vorresti accanto o invece ti sarai dimenticato delle mie lentiggini sul naso? E la birra l’avrai già finita? Tu mi dici sempre di vivere qui ed ora, adesso, nel presente. Il fatto è che così il presente è relativo, non vivo che nel passato o nel futuro, in ogni caso in un tempo che qui ora adesso non esiste. Tu mi dirai che sono stupida, che mi faccio troppi problemi inutili, ma in fondo so che mi darai ragione. Se vuoi saperlo il caffè l’ho finito davvero, i miei capelli sono senza dubbio cresciuti, il violinista della metro sta contando le monete nel cappello, il cielo è blu e io decido che è il momento di mandare le mie parole nella bolla di sapone, nella tua casella di posta che poi è un po’ la stessa cosa.

 

Ps mi manchi, ma non ti preoccupare non hai lentiggini di cui mi possa scordare. 

Diecisamente no.

Sono anni che prendo appunti. Osservo, guardo, studio e prendo nota. Non che abbia uno scopo particolare, è solo che certe persone mi divertono. Dalle mie ricerche, dai racconti di amiche, amiche di amiche, cugine di secondo grado del giornalaio della mia amica, sono finalmente giunta ad una conclusione: noi donne siamo snob. Si perchè è vero che in fondo tutte vorremmo innamorarci, avere un uomo che ci apprezzi per quello che siamo (il che significa trovarci delle fighe da paura anche alle otto del mattino col pigiama di snoopy), solo che vediamo dei difetti in ogni singolo uomo che tenta di avvicinarci. “no cioè hai visto quello ha il sopracciglio destro che è una roba indecente”, “oddio questo non sa recitare a memoria l’odissea in lingua originale, cioè ma puoi?”. Poi però ci sono volte in cui abbiamo ragione. Ci sono volte in cui ti chiedi cosa esattamente sia andato storto con la selezione naturale, in cui pensi che due euro per un preservativo i genitori potevano anche spenderli. Ecco ho focalizzato la mia attenzione su quei soggetti di sesso maschile che ci proverebbero anche con il tuo barboncino solo perchè è femmina. Ho raccolto quelli che mi hanno maggiormente colpita. Certo poi non sono tutti così, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, ma per adesso il politicamente corretto me lo dimentico.

1) IL BIBLIOTECARO

Solitamente finto intellettuale, finto hipster, finto magro, finto e basta. L’unico motivo per cui frequenta aule studio e per cui è ancora iscritto all’università, nonostante sia fuori corso dai tempi dell’asilo, è trovare un po’ di Pilu.

Gran maestro della seduzione, il bibliotecaro passa intere giornate nelle aule studio per osservare la fauna locale. Lo si può riconoscere perchè sono tre sessioni consecutive che studia lo stesso libro sempre alla stessa pagina. Lui è un osso duro, non demorde. Mentre gli passate accanto tenterà di penetrarvi col suo sguardo misterioso quanto l’acqua calda.

Dopo ore ed ore di questi intensi e solitamente immaginari giochi di sguardi riesce a strappare un caffè a qualche santa donna, che in realtà si scopre essere sua sorella.

Disperato ma lo apprezzo per la tenacia. Bravo.

 

2) IL FUMATORE OCCASIONALE

Vi vede, vi ama.

Mentre voi placidamente vi accendete una sigaretta pensando ai fatti vostri o inveendo contro i pulman sempre in ritardo ecco che spunta lui: il fumatore occasionale.

Famoso per la sua astuzia, pensa di conquistarvi dicendo “scusa c’hai na siga che le ho finite?” quando è evidente che la sola vista di una “paglia” gli provoca una polmonite. Un’annotazione gioia santa: non è galante iniziare una relazione facendosi offrire le cose. Nonostante rimanga oscuro il motivo per cui pensa che fumare una sigaretta con voi lo renda già l’uomo della vostra vita, vi divertite a vedere come cambia colore il suo viso ad ogni tiro, sempre che non gli venga una crisi d’asma prima della fine.

Dieci più per il coraggio, si denota scarsa furbizia. Credi più in te stesso, puoi fare di meglio.

 

3) L’ATTACCA BOTTONE

Non ha un luogo di caccia predefinito.

L’attacca bottone colpisce all’improvviso. In piscina, al mare, in bagno, durante un esame, al parco mentre state dormicchiando sotto il sole. Il più delle volte non ha particolari tratti che lo contraddistinguano. 

Prima che apra bocca, s’intende.

L’unica difesa è scappare prima che sia troppo tardi, prima di essere investite da un tir di parole il cui senso logico non sempre risulta di facile intuizione.

Molte industrie farmaceutiche lo hanno inserito tra le prime cause di emicranie. Se trovate il tasto off, scrivetemi.

 

4) OCCHI DA ORIENTALE

In metro, per strada, in un bar. E’ lui, bellissimo.

Dopo uno sguardo già vi fareste spogliare e al primo sorriso sognate i nomi della vostra imminente prole.

Aveva ragione Woody Allen : “incontrerai l’uomo dei tuoi sogni”.

Mentre vi perdete nei vostri pensieri, tuttavia, non vi accorgete che il vostro Lui è sceso tre fermate fa.

“occhi da orientale” entra di diritto nelle mie conclusioni solo perchè ogni donna sogna di essere rimorchiata dal “figaccione della metro”. Si caro figone, tu ci vai bene anche se non sai l’Odissea.

Complimenti alla mamma.

 

 5) OCCHI DA CERNIA

Molto simile ad uno scorfano, occhi da cernia vi punta e non vi molla più.

Non parla, non si muove, lui FISSA. Solitamente ha occhiali con lenti così spesse da far invidia ai fondi di bottiglia.

Inutile tentare di liberarsene facendo smorfie, è insensibile ad ogni vostro sotterfugio. A volte sbava letteralmente.

Amore santo basta, basta.

 

6) IL PALPEGGIATORE

Molesto quanto basta, solitamente è un conoscente.

Parlare senza toccarvi in continuazione sembra per lui una mission impossible.

Più voi arretrate per togliervi le sue sudaticce mani di dosso, più lui avanza verso di voi tentando di cingervi le spalle per assicurarsi, forse, che i vostri bicipiti siano sempre al loro posto.

Ora carissimo vorrei illuminarti su una cosa molto semplice: non è che se mi chiedi come sto soffocandomi tra le tue braccia io credo che tu mi voglia più bene. Non è che se mi chiedi “allora, un caffè?” con la tua mano sulla MIA spalla io ti dico sì, e non è che otterrai super poteri dal costante contatto con la mia pelle.

Stai nel tuo o comprati almeno un antitraspirante da mano.

 

  1. L’UOMO CHE SUSSURRAVA ALLE DONNE

Questo è senza dubbio uno dei più celebri ed odiati. Potreste indossare un burka, un pigiama a fiori o un vestito sadomaso, poco importa.

Il sussurratore fa apprezzamenti su ogni singolo esemplare di sesso femminile che incrocia.

L’eleganza non è certo la sua maggiore qualità.

Solitamente le sue dolci frasi “hey bella gnocca” o l’ever green “mmmm non sai cosa ti farei”, sono accompagnate da quello che, nonostante sembri un tic nervoso, è un tentativo di occhiolino.

Un duca d’altri tempi, un esibizionista mancato, uno a cui spaccheresti il muso a suon di “ecco invece cosa ti farei io”. Rimane tuttavia ottimo per allenarsi a lanciare occhiatacce.

 

8) IL DISCOTECARO

Apparentemente innocuo mentre passeggia per strada (le sue rare uscite diurne sono per lo più dovute all’approvvigionamento di gel effetto bagnato), l’ingresso in discoteca lo cambia radicalmente.

Come un Sansone moderno, la brillantina sulla chioma gli dona un potere ed un fascino che, purtroppo, solo lui si vede.

Il suo classico approccio è “il gufo”.

Si posiziona alle vostre spalle ammiccando e tentando, con molta classe, di farvi conoscere i paesi bassi anche se, l’unica cosa sotto il livello del mare, è il vostro entusiasmo.

Uno stile inconfondibile ma non infallibile perchè in fondo tutte con un paio di gin tonic ci riscopriamo delle tamarre da competizione.

 

  1. L’APPOGGIATORE

    Simile al discotecaro, se ne discosta tuttavia per i luoghi di caccia.

Innamorato della “belva” che crede di avere tra le mutande, ogni occasione è buona per far “sentire” al genere femminile “cotanta” prestanza.

Una semplice discesa dalla metro o da un bus diventano l’occasione perfetta per l’intramontabile Appoggino, seguito da un sorriso malizioso.

Caccia ovunque e segue una legge liberamente ispirata a Gianni Morandi, “una su mille me la dà”.

Io, nel dubbio, gli darei una botta in testa.

 

10) IL PROFESSIONISTA

Di gran lunga il migliore, l’insuperabile, l’ineguagliabile è il professionista.

Viaggia sempre in coppia, lui e il suo ego.

Convinto non solo che non esista donna che non si possa sedurre, crede fermamente di essere lui l’unico uomo in grado di farlo.

Tendenzialmente ben vestito, ciò che lo contraddistingue è l’atteggiamento.

Avanza con passo sicuro come se dieci ancelle stessero spargendo petali di rose sul suo cammino.

I suoi occhi mentre provano a penetrarvi già dicono “sei mia”.

I suoi gesti, studiati nel minimo dettaglio, vorrebbero continuamente alludere alla sensualità più sfrenata. La sua voce è seta che vi avvolge. O forse no.

L’unico modo per liberarsene è fargli notare i capelli fuori posto o, meglio ancora, quell’antiestetico brufolo in centro fronte.

Invidio tuttavia la sua sicurezza nei mezzi di cui dispone, bravo.

Mi rendo perfettamente conto che questo scritto è utile quanto i volgari commenti del maniaco all’angolo della strada. Tuttavia ciò non lo rende meno vero. Rinnovo l’appello al figaccione della metro: se ci sei, scrivimi.

Ho smesso di segnare

Ho visto un uomo piangere un giorno. Era seduto su una panchina all’ombra e piangeva. Normalmente avrei abbassato lo sguardo e sarei andata avanti ma ci sono volte in cui, senza un motivo preciso, vieni come attratto da una persona. No non è nulla di erotico o pseudo tale né tanto meno amore, direi piuttosto una specie di fortissima empatia dovuta al.. dovuta a cosa non ne ho idea. Mi sono seduta con lui, siamo rimasti in silenzio per dieci minuti. Lui continuava a piangere e io semplicemente gli ero vicina, senza toccarlo, senza invadere il suo spazio. Ho acceso una sigaretta, ho appoggiato tra noi due il pacchetto aperto con l’accendino. Che modo stupido che ho di aiutare la gente. Che pretesa stupida che ho di salvare le persone. Lui mi ha sorriso e timidamente abbiamo fumato insieme, in silenzio. “Non ne sono capace” ha detto ad un certo punto. “Non sono in grado, capisci?”. Guardava il vuoto davanti a sé mentre parlava. “Io ci ho provato, mi sono messo d’impegno, mi sono detto che era la volta buona, che ce l’avrei fatta. E invece nulla, un buco nell’acqua. Immagina una partita di calcio: io sono l’attaccante, sono bravo, corro veloce e adoro la competizione. Ecco io parto sicuro verso la porta. Scarto tutti, centrocampisti, difensori, riesco addirittura a liberarmi del portiere. Quante volte nella vita può capitarti di fare un gol a porta vuota? Due o tre. Ecco io ero lì davanti, ero solo col pallone e la rete a meno di due metri. Tutto esattamente come avevo immaginato, come avevo sempre voluto. Ma non ho calciato. Sono rimasto fermo, capisci? Io ero lì e non ho buttato in porta quello stupido pallone. Ora tu ti starai chiedendo il perchè, è normale. Ho avuto paura di sbagliare. E se avessi preso il palo? Voglio dire può succedere no? Solo che è terribile quando sbagli senza nessun ostacolo sul tuo percorso. Mi è venuta in mente quella volta in cui ho preso una traversa al novantesimo, quando tutto sembrava perfetto, quando mi sentivo Baggio dei poveri e invece ho sbagliato il tiro. Ho puntato troppo in alto, ho dato per scontata la precisione del mio movimento e non ho segnato. Quella rete valeva il campionato. Io da quando ho preso quella traversa non ho mai più fatto gol, mai. Ho il terrore, ho paura di fallire un’altra volta. Però sono un’attaccante e ognuno di noi è portato a fare ciò che è nella sua natura. Il difensore a tenermi lontano, il portiere a parare i miei tiri, l’arbitro a fischiare i falli, io a segnare. E quindi ecco mi trovo in questo circolo vizioso da cui non riesco ad uscire. Io corro corro corro vado ai duemila all’ora col pallone tra i piedi e non mi ferma nessuno, tranne la mia paura. Capisci io ogni volta ci vado vicino, ci vado così vicino che quasi posso sentire il pubblico in delirio, il mio sorriso sulla faccia. Poi però mi blocco, come se da una macchina in corsa togliessi le chiavi, come quando la miccia finisce di bruciare, come quando ti dice “non ti amo più”. Perchè è ovvio che non stessi parlando di calcio. No? Ma che senso ha fare l’attaccante se poi non hai le palle di accettare la traversa? Che senso ha giocare se hai troppa paura di perdere? Che poi io lo so che non giocando perdi già in partenza, solo che mi fermo lo stesso. Davanti alla porta, davanti al suo viso, su questa panchina come uno stupido. E tu? Tu come fai?”

Sono stata zitta un minuto buono, non sapevo cosa rispondergli. E’ che quel discorso avrei potuto farlo anch’io, è che quella traversa l’ho presa anch’io. Forse tutti abbiamo sbagliato, forse tutti ci siamo fermati solo per paura di non fare la cosa giusta.

“Come faccio mi chiedi? Lo vedi da solo, ci sono anch’io seduta qui”

“E secondo te quando ci alziamo?”

“Non lo so, basta non avere fretta”

“Non avremo fretta”

Mi tieni la valigia?

Hai mai provato quella sensazione ? Dura poco a volte, un momento o due. Sai di cosa parlo ? Quando avresti voglia di gettare il tuo bagaglio tra le braccia di qualcuno, di dirgli:

“tieni è tutto qui, controlla non manca nulla. Ci sono i miei errori, le mie paure e i miei successi. Ci sono quei sorrisi che ho rubato alla gente per strada e anche quelle scarpe che non ho mai avuto il coraggio d’indossare. In fondo trovi quella tuta sgualcita che metto solo la sera quando sono sola a casa, quando nessuno mi vede. Non ho avuto il tempo d’impacchettare tutto ma è ovvio che è un regalo, no? Ti sto dando me stessa, è evidente. Saltiamo tutto, saltiamo i giochi, salta nel vuoto. È che mi sembri un buon custode tutto qui. Non gli farai del male vero? È una borsa vecchia ma a me piace. So che ne avrai cura. Come faccio a dirlo mi chiedi? Si vede. Pensi che a tutto ci sia una spiegazione razionale? Non hai mai sentito la frase di quel vecchio filosofo francese “il cuore ha ragioni che la ragione non comprende”? Certo può sembrare banale ad una prima lettura, ma se ci rifletti è tremendamente vera. Semplice e vera. Sarà che io ho il mito della semplicità. Al mattino caffè latte e cereali. Niente cose strane, niente additivi. Mi piace arrivare dritta al punto, dritta al centro dei tuoi occhi. E io nei tuoi occhi ci vedo del buono, molto semplicemente. Perchè stai trafficando tanto nella mia valigia? Non ho segreti, quello che c’è lì dentro ce l’hai davanti. Il mare lo porto nella salsedine che ho ancora tra i capelli, vedi? Mi faccio la doccia tutte le mattine non ti preoccupare, è solo che certi ricordi sono difficili da lavare via. Non è molto pesante, c’è tanto spazio ancora da riempire. Quello è un biglietto aereo, quando sono triste lo guardo chiudo gli occhi e immagino di essere in quel posto. Hai presente quelle frasi un po’ da baci perugina tipo “il vero viaggio è nella testa”? Ecco una cosa del genere. E non sai quanti luoghi ho visitato con la fantasia. Non t’importa, è comprensibile. È raro trovare qualcuno che rimanga affascinato dall’immaginazione altrui. Si tende sempre a pensare che la nostra sia migliore, che abbia quel qualcosa in più che la rende speciale. Magari è pure vero, per fortuna ho molte domande di cui non conosco la risposta. Senti allora che fai la tieni? Certo che puoi riempirla se ti va. Se non vuoi però dimmelo subito. Te l’ho detto non mi piacciono i giochetti. Si o no. Dentro o fuori. Bianco o nero. No bianco o nero no, diciamo giallo o blu. Meglio. Allora giallo o blu? Quanto odio essere incoerente, il verde è da sempre il mio colore preferito. Perchè tutta questa fretta mi chiedi? Guarda non lo so nemmeno io, è che avevo questa borsa tra le mani e mi è venuto il desiderio irrefrenabile di darla a te. Tipo una donna incinta e la Sprite alle due del mattino tanto per intenderci. Roba che magari non ci avevi mai pensato e di colpo diventa essenziale per la tua sopravvivenza.”

Ecco dico hai mai provato questa sensazione? Hai mai avuto anche il coraggio di farlo? No dico perchè io ti giuro che l’avrei fatto, lo stavo per fare ma poi che vuoi, dovevo scendere dal treno.

A(f)fondo

Ti ho sognato non molto tempo fa. Era notte e stavamo su quel molo che tu sai. Io parlavo e tu non mi guardavi, come fai sempre. Era così realistico che c’ho messo un po’ a capire che non era vero.Ti sei tuffato e ti ho visto andare a fondo, senza pensarci ti ho seguito e ti ho preso per mano. Non potevo perderti, non potevo lasciarti andare giù. Che poi questa è una bella cazzata, sei sempre stato tu a salvarmi. Sempre. Tu mi tendevi la mano e io, io pensavo volessi schiaffeggiarmi. Così per difendermi ti ho tirato un pugno in piena faccia, ti ho messo k.o. Ti ho guardato andare al tappeto con un sorriso soddisfatto, con l’espressione di chi crede di essere finalmente al sicuro. Ti ho eliminato dalla mia vita come una mela marcia dal frigo. È questo il problema delle persone che sono o credono di essere state vittime : sanno esattamente dove colpire quando vogliono fare male. Ho avuto un’ottima mira non c’è che dire, dicono che l’attacco sia la miglior difesa e dammi torto ora che sei a terra. Però nel mio sogno era tutto al contrario: io ti tendevo la mano, io ti riportavo in superficie, io ti stendevo ma solo per rianimarti. Riesci a capire? Lo vedi quanto è illogico? Io che salvo te. Tu che perdi i sensi mentre io mantengo il controllo. Tu debole e io forte come una roccia. Non ero io, non eri tu, non era vero eppure al mattino avevo del sangue dal naso. Quando ti sei svegliato mi hai abbracciata così forte da togliermi il respiro come succede ogni volta che ti vedo. I ruoli iniziavano a ristabilirsi. Il tuo cuore batteva di nuovo forte e io mi sentivo al sicuro. Hai appoggiato le tue labbra sul mio orecchio destro, mi hai detto “allora ho sempre avuto ragione: c’è qualcosa di buono in te, grazie”. È sempre la stessa storia tra noi due. Tu dici una frase e hai il potere di portarmi in paradiso o all’inferno con la stessa leggerezza. Tu annuisci e io volo, tu dissenti e io precipito tra i dannati. Che poi non so se sia colpa mia, voglio dire sono io che ti ho dato il trono o te lo sei preso mentre io ti guardavo sorridente? È che tu senza saperlo mi hai dato così tanto che io cosa vuoi che ti dica? Ma come faccio a spiegartelo che senza di te io avrei mollato tutto e mi sarei lasciata trascinare da una corrente che nemmeno mi piaceva? Ma come faccio a dirtelo che tu mi hai insegnato a risalire il vento per arrivare al mio porto? Come faccio a spiegarti che il mio sogno è tutto sbagliato, che è tutto al contrario, che sei stato tu tu tu e ancora tu a rianimarmi? Tu che hai messo la tua mano sulla mia e mi hai aperto un mondo, tu che mi hai detto “sei brava” con occhi sinceri. Tu che hai buttato a mare come inutili zavorre le mie paure e i miei sensi di colpa dicendomi “in questo viaggio porta solo l’essenziale”. Tu che mi hai devastata con un “ma” sapendo che ormai avevo la forza di reggerlo. E a quel “ma” ho visto nero, accecata da vecchie paure a cui avevo messo il galleggiante. Ho buttato te a mare, ti ho guardato mentre quasi andavi a fondo. Sarebbe stupido però odiare qualcuno solo perchè ci critica, solo perchè non ci ama. Mi sono tuffata a prenderti, ti ho chiesto scusa mentre volevo più di ogni altra cosa sentire quel tuo cuore battere forte e ridarmi il sorriso. Mi hai abbracciata, capisci? Hai abbracciato me che ti avevo fatto del male e, ancora una volta, hai preso le mie insicurezze, hai tolto il galleggiante, e le hai affondate con il suono della tua voce.

Il mio naso è omosessuale.

Ho conosciuto un ragazzo un giorno, si chiamava Marco.
Aveva ventisette anni e giocava calcio da ventidue. “Per divertirmi, ci mancherebbe”.
Aveva un difetto, “più d’uno in realtà”.
Non tollerava la diversità. Era la persona di più ampie vedute con cui avessi mai parlato. Ma come? É un paradosso, un intollerante aperto, un silenzio assordante, un uomo che ama un altro uomo. È che lui non sopportava l’esclusione, motivo per cui “frequento solo alberghi all inclusive”. Coerente in modo quasi irritante.
Lui ci aveva anche provato a fare il razzista, dico davvero. Era andato su siti di estremisti e si era documentato, era sceso in strada e aveva provato ad insultare il primo marocchino che gli era capitato a tiro, niente da fare.
Mi ha confessato di essere omosessuale, “non potrei essere altrimenti, eterosessuale contiene in sé la parola ‘diverso’ e sai che poi mi verrebbe l’orticaria”. Un personaggio singolare. “Senti e come la vivi? Cioè hai avuto difficoltà all’inizio? ”
“come vivi il fatto di avere gli occhi azzurri?”
“Ma che domanda è?  Ci sono nata con gli occhi così, la vivo… ma non lo so credo bene non mi pare una questione su cui farsi problemi”
“Bene”
“Cosa bene?”
“Bè hai appena risposto alla tua domanda, ci sono nato e non mi pare una questione su cui farsi problemi”
“Ah, è così semplice essere diversi? ”
“Io non sono diverso. Non ho mica quattro braccia o sei occhi, sono una persona uguale a tutte le altre”
“Si ok però ammetti che la tua sessualità… ecco non che io abbia problemi a riguardo però diciamo che è diversa, no?”
“Certo, io per dire ‘ti amo’ al mio fidanzato infatti uso l’elfico”
“Scemo”
“No tu scema. Cosa credi che solo perchè bacio un petto villoso anziché un reggiseno di pizzo io sia diverso? Non è forse lo stesso il sentimento che mi muove a farlo? Non è forse amore il sesso mattutino e il caffè a letto sia che lo porti ad una donna, un uomo, tuo marito o l’amante? Io non sono diverso. Sono nato, sono cresciuto, ho un lavoro e vivo ogni giorno alla ricerca della felicità. Amo con ogni atomo del mio corpo tutto ciò che mi circonda compreso il mio fidanzato e, proprio come tutti gli altri, un giorno chiuderò il cerchio e non aprirò più gli occhi.”
“Grazie”
“No grazie a te. Sai qual’è la verità?  É che é tutta la vita che aspetto di dire questa cosa e non me l’aveva mai chiesta nessuno, e guarda che è brutto avere una risposta bella e pronta e nessuno mai ti fa la domanda giusta”
“Credo fosse una battuta di Santa Maradona”
” Era un mio sogno riuscire ad usarlo nella realtà”
” Soddisfatto? ”
“Immensamente. Sai è che a me annoiano, a me annoiano davvero i discorsi moralisti, mi irrita chi non ha il coraggio di prendere in giro. La verità è che io amo i politicamente scorretti, amo chi fa dell’ironia sul mio naso storto come sulla mia omosessualità. Perché fa parte di me e non ho motivo di vergognarmene. Perché se la mia più grande colpa è amare allora mi dichiaro colpevole. Giudicatemi pure oh membri della corte suprema perché io so amare. E vedi ho imparato che i veri razzisti sono quelli che hanno paura di usare parole scomode, di chiamarmi ‘checcone’ col sorriso perché sono loro i primi a pensare che esista una diversità senza tuttavia avere il coraggio di ammetterlo.”
“Hai una sensibilità incredibile, quasi femminile”
“E non hai ancora visto le mie scarpe nuove, tesoro”

Merlino è un assassino

Ho visto un mago una volta. Stava su un ponte con il suo banchetto e giocava coi bambini. Ha fatto comparire un coniglietto da un cilindro, che bello. Ero affascinata, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. C’era davvero magia nei suoi gesti, una maestria che solo gli esperti hanno. Sembrava tutto facile, tutto naturale. Indovinava la carta che sceglievi, sembrava quasi ti leggesse nei pensieri. Mescolava il mazzo, stargli dietro era impossibile. Eravamo tutti sorridenti, tutti stregati. Un incantesimo di magia bianca, uno stupore innocente. È bello vedere come ancora anche da grandi sappiamo tornare bambini di fronte a ciò che non sappiamo spiegarci, a ciò che non abbiamo voglia di chiederci. Forse non c’è sempre un trucco, a volte puoi sederti e guardare a bocca aperta quello che hai davanti, semplicemente incredula.
Non so quanto tempo sono rimasta a fissarlo, avevo tolto l’orologio, non m’importava dell’ora.
C’era il sole, un bel vento fresco, le risate dei bambini. Alle mie spalle sentivo i passi frettolosi dei turisti, dei lavoratori, di chi non ha mai tempo. Io invece ero in una bolla di sapone. I miei vicini avranno avuto sette anni al massimo e avranno pensato che.. Probabilmente non hanno neppure fatto caso a me presi com’erano dal loro « Merlino ». Battevano forte le mani, alla fine del gioco di prestigio quasi urlavano di gioia. Io ad un certo punto non ho poi mica capito se sorridevo per il mago o per l’allegria che mi circondava. So che non mi andava di interrogarmi, è bello guardarsi l’ombelico ma se si esagera poi ti si blocca il collo.
C’erano colombe che apparivano, altre che sparivano, c’erano palline colorate, carte truccate. Truccate ? Non è possibile, è un mago vero mica un imbroglione ! Non è possibile, è stata solo una di quelle impressioni sbagliate che a volte si hanno, il solito voler pensar male. Il mio Merlino è semplicemente bravo, non ha bisogno di barare per fare le magie. Elimino quel pensiero dalla testa e torno a ridere coi bambini. Dovrei imparare ad ascoltarmi a ben pensarci. Ma che bravo ma che bello! A me che ha sempre fatto paura la magia, a me che ha sempre intimorito sentirmi come sotto l’effetto di un incantesimo senza sapere come e perchè, a me ora brillano gli occhi. Sono felice, rilassata, sono a mio agio con i miei timori. Ho sentito la paura bussare ma non ho aperto la porta. Non ero in casa.
Un bambino si mette a piangere, tutti lo guardiamo, non capiamo il perchè. C’è una colomba morta per terra, vicino ad una gabbietta. È piena di sangue, non ha certo avuto un colpo al cuore, non lei. Le mamme sconvolte guardano il mago, lui non sa che dire, è senza parole nonostante il monologo dello spettacolo. Ci guarda, si scusa, si avvicina a noi grandi. “Sono davvero mortificato per l’accaduto, il bambino ha preso la gabbietta da sotto il tavolo mentre io ero distratto. Non sapete che è tutto un trucco? Mica sono un vero mago, io faccio l’illusionista”. Ma come? Sul cartello c’è scritto mago, m-a-g-o non illusionista, è ben diverso. È molto molto diverso. Lei non illude lei inganna. Un bambino la guarda e crede che lei abbia davvero dei poteri magici. Lei suscita ammirazione nelle menti di giovani innocenti vittime della sua incapacità di essere sincero, di dire che lei vive di trucchi.
Illusionismo : effetto artistico diretto a suscitare nello spettatore l’impressione di trovarsi a contatto diretto con la realtà e non con una sua rappresentazione.
Magia : capacità di dominare e trasformare le forze della natura mediante il ricorso a pratiche di natura benefica (bianca) o malefica (nera).
Lo vede se è vero? Lo vede se è vero?
Noi ci siamo seduti qui, le abbiamo dato la nostra fiducia, il nostro stupore, i nostri sorrisi. Lei se li è presi con avidità, dopotutto lei con il pubblico ci campa. Qui ci sono bambini dio mio, persone che dovrebbe proteggere, che dovrebbe mettere in guardia da.. da quelli come lei. Ce l’aveva quasi fatta a illuderci ma sono i particolari che fanno la differenza. Lei ha ucciso una colomba bianca facendoci credere di averla smaterializzata così, puff. Ha fatto comparire dal suo cilindro un coniglio che già c’era. Ha detto che sapeva leggere nel pensiero invece aveva solo carte truccate. Ha trasformato i nostri sorrisi in sguardi tristi, ha tolto la vita ad una colomba che voleva volare solo per nutrire quella voragine mai colma che lei chiama ego. Vorrei dirle che avrei fatto meglio a non sedermi, a perdermi nel flusso delle persone giusto alle mie spalle che non si sono degnate di guardarla prese com’erano dal loro tempo che fuggiva. Invece la ringrazio, è stato bello ed istruttivo. Ed istruttivo. E distruttivo. Vede? Anch’io conosco un paio di trucchetti con le parole. È un bravo illusionista, certo potrebbe migliorare ma chi di noi può ritenersi davvero soddisfatto? Mi ha strappato un sorriso fino a quando non ha scoperto le sue carte, quelle non truccate e se posso un po’ vecchiotte. Ha attirato la mia attenzione dandomi la voglia di fermarmi un attimo, di non chiedermi cosa ci fosse dietro, di lasciarmi prendere dallo stupore vero. Ecco il mio stupore era la sola cosa reale del suo spettacolo che, comunque, è degno di un professionista non v’è dubbio.
Io, però, continuo a preferire i maghi veri, quelli che se dicono salagadulamegicabula ti portano lontano, in un mondo fantastico.
Che poi avrei dovuto capirlo subito, quale mago userebbe i suoi poteri per elemosinare soldi ai bambini?

Grazie del ritardo

E così sono qui seduta su degli scalini di pietra. Quelli davanti alla libreria l’arbe à lettres, di fronte al bistro cave la Bourgogne. sono in anticipo, per ammazzare il tempo scrivo. Certo sarebbe più poetico se avessi dietro un quaderno ma devo accontentarmi del telefono. C’è una fontana spenta, non è ancora il suo momento o forse è già passato. Una coppia è in piedi proprio al centro esatto della piazzetta.
Lui cerca di prenderle la mano, lei non distoglie lo sguardo da terra.
è proprio vero che Parigi è la città degli innamorati solo se quando ci vieni innamorato lo sei già. 
Due vecchi seduti nel bistro fanno gesti che il tempo ha consolidato. Lui le serve da bere, lei sorride mostrando un po’ di rossetto sui denti. Lui, forse per galanteria forse per la cataratta, finge di non vedere.
Non parlano ma si leggono dentro. Che strano, un amore ancora acerbo di due giovani sta per morire mentre quello di due vecchi sembra appena sbocciato.
Due donne, amiche dai tempi del liceo, parlano delle loro frustrazioni senza gustarsi l’anatra e il vino rosso. Guardo l’orologio, dovrebbero essere già tutti qui da un pezzo. Dove sono i miei amici?  Possibile che non si arrivi mai insieme? Possibile che debba sempre esserci un primo ed un ultimo? Che poi non m’interessa nulla degli altri, io sto aspettando te. Sono passati quindici minuti. Una ragazza mi chiede indicazioni e mi stupisco di me stessa quando, sorridente, le rispondo con sicurezza che deve andare a destra poi prendere Rue Monge ed è arrivata. Nessun messaggio, nessuna telefonata. Le lancette continuano a girare senza sosta scandendo un tempo che vorrei si fermasse. Vorrei giustificarti, magari ti si è scaricata la batteria, magari sei in bici e non puoi scrivere, magari sei solo uno stronzo.

Fumo una sigaretta. Coi pulman funziona così, no ? È scientifico, almeno credo. Ovviamente tu sei la mia eccezione che conferma la regola.

Me ne vado, basta. Resto.

Mi alzo. Ancora un minuto.

No.

Ancora due.

No.

Ancora. Anzi basta, questa volta non mi fermo. É da una vita e trentacinque minuti che aspetto e sono stanca oltre che piena di freddo. Buona serata, buon divertimento, buon ritardo. Io mi prendo il mio tempo e il mio tempo di stare ferma su uno scalino pieno di merde di piccione è finito. Vaffanculo. Vaffanculo tu, i tuoi amici e le promesse che non sai mantenere. Compro una birra dall’afghano all’angolo per guadagnare qualche minuto, per darti qualche minuto. Esco, mi guardo intorno, non ci sei. Magari mi hai cercata e non ho sentito la suoneria. Magari la smetto di trovare delle scuse ad errori che non ho commesso io. Magari le scuse le ho finite, le hai finite.
Ti scrivo Buona serata, mi chiami e ti dispiace, non credevi fossi già arrivata e dici che sei mortificato, gli altri sono già lì? No. Poi io aspettavo te, non gli altri.  Un messaggio sarebbe stato carino, è mezz’ora che sono qui. Lo so ma la metro, i mezzi, ma sto ancora cinque minuti a bere una birra, ma… ma non ho voglia di ascoltare. Che fai, non mi aspetti ? Vado da amici non stare ad affrettarti, prenditi tutto il tempo che vuoi perché io, da stasera, mi prendo il mio. Sono davvero mortificato. Non ti dispiacere anzi guarda grazie. Di cosa ? Di avermi lasciata qui senza darmi notizie per quasi un’ora, di avermi fatto trovare il coraggio di dire no ed andare fino in fondo. Vedi è che normalmente mi sarei innervosita ma avrei accettato le tue scuse, ti avrei fatto un gran sorriso e ci saremmo bevuti una birra come se il rispetto non contasse, come se di rispetto io non ne meritassi poi così tanto. Invece io questa sera non mi arrabbio, ti ascolto parlare e lo so che ti dispiace ma vedi è che non ho voglia di passarci sopra, di farmi ancora passare sopra. Sono sincera quando ti dico che ci vedremo un’altra volta, lo sono ancora di più quando ti dico che adesso io non torno indietro. Senti guarda sono lì in cinque minuti. E io non sono più lì da dieci. Ci eravamo detti ora e luogo, tu avevi già cambiato i piani almeno tre volte e ti ho sempre detto si. Mi sono seduta come un cane fedele che scondizola aspettando il suo padrone ma questo vento freddo ha congelato ogni entusiasmo. Ho girato i tacchi anche se sai benissimo che non gli avevo, ancora mi fa paura l’instabiltà nell’avanzare, quella fisica meno di quella mentale è ovvio ma tant’è.

Non ho nè la testa alta nè la coda tra le gambe. Guardo i piedi mentre cammino, voglio essere sicura di aver preso la strada giusta, almeno quella per la metro. Mi scende una lacrima e mi sembra tutto così assurdo, così stupido. Forse ho esagerato, in fondo era in ritardo solo di quarantasei minuti. Dai ora torno indietro come nei film romantici e, abbracciandoci, ci diremo che siamo due imbecilli. Il destino mi precede, il vagone della linea 7 si apre giusto davanti a me. Ci salgo e si chiudono le porte.

Non so cosa ho lasciato alle spalle, non so bene dove sto andando. Una ragazza mi guarda dolcemente, quasi a consolarmi, quasi a dirmi « mi dispiace, andrà tutto bene ».

Non dispiacerti, anzi grazie.