È la trentesima volta che compio gli anni.

E sono trenta, chi l’avrebbe mai detto. Quando ero piccola credevo che i quindicenni fossero vecchi, poi ho iniziato a pensare che solo coi diciotto si diventasse grandi. A ventitré credevo che a trent’anni ci sarei arrivata diversamente. Credevo che sarei stata una donna realizzata sotto ogni aspetto, ricca, felice e di successo. Non che abbia troppo di cui lamentarmi, ci mancherebbe. È ovvio qualche zero in più in banca farebbe comodo a tutti, ma va bene anche così. Insomma ho capito che man mano che si cresce s’invecchia più tardi, che si diventa grandi tra qualche anno, un po’ come le diete del lunedì. È banale, no, iniziare la dieta il primo giorno della settimana? Propongo di farlo di mercoledì, una media perfetta tra lavoro e weekend. Propongo di decidere di crescere a metà della decina, di fare i propositi per l’anno nuovo a ferragosto.
Stavo pensando al liceo, alle prime ciucche, ai primi amori che ti spezzano il cuore come un ramo secco. Stavo pensando a quanto fosse facile quando l’unico problema era essere bella, prendere un bel voto a scuola.
Ricordo l’università, l’erasmus, i sogni che ho vissuto e quelli che vedo solo la notte quando chiudo gli occhi. Era davvero perfetto ma, si sa, non c’è nulla di eterno.
Bacerei ognuno di voi,amici miei. Bacerei chi mi è sempre stato accanto, chi ha abbandonato il nostro cammino per seguire nuove strade, chi si è aggiunto per strada e non lo scolli più. È strano a pensarci ma tutti, nessuno escluso, avete apportato qualcosa alla mia vita, fosse anche un sorriso o una lacrima amara. Da piccola pensavo che a trent’anni la mia vita sarebbe stata già scritta, che non avrei avuto più nulla da scoprire e invece adesso che trent’anni li ho tutti,  bè adesso penso che sia appena cominciata.
Ho imparato a seguire i miei sogni senza illudermi, ho imparato che devi sudare per essere felice, che l’amore non basta a se stesso. Ho imparato che con un paio di cocktail siamo tutti più saggi, che quando siamo soli abbiamo tutti più paura. Ho imparato che non voglio fermarmi,costruirò fondamenta solide per i miei castelli in aria.
È la trentesima volta che compio gli anni e ho imparato, soprattutto, che io qui ho ancora molto da imparare. Per fortuna.

Buon compleanno Lauretta.

Manifesto per te.

Oggi non lavoro, oggi non studio, oggi manifesto per te.

Tu mi dirai che ascolto troppo quel gruppo di vecchi, i Bandabardò, e hai ragione.

Se mi rilasso? In realtà non saprei dirti, è troppo tempo che non lo faccio.

Scendo in piazza con i cartelloni, ci scrivo “conosci te stesso”.

Un bel gioco dura poco ed il marketing, in amore, non so a quanto serva.

Anzi guarda in questa manifestazione io ti faccio psicologia inversa, ti sbatto in faccia i miei difetti e tu scoprirai di amarli tutti, uno ad uno, come io faccio coi tuoi.

Sarebbe troppo facile dirti perché dovresti amarmi, sarebbe troppo ermetico un elenco vuoto.

E quindi eccoti qui il perché tu dovresti ridermi in faccia, ed eccoti qui perché non lo farai.

Non sono testarda, devi solo usare le parole giuste per convincermi a cambiare idea.

Amo litigare, proprio mi piace a livello viscerale. È che credo che la rabbia elimini ogni maschera, quando perdi il controllo riveli chi sei. Ed io mi sono innamorata perdutamente dei tuoi nervosismi. È bellissimo vedere il fuoco che nasce piano piano fino a che non riesci più a tenerlo, fino a quando i tuoi occhioni si accendono di luce pulsante anche se il meglio, si sa, è fare pace.

Sto sempre sulla difensiva. Da grande stratega quale sei, tu stesso m’insegnasti che la miglior difesa è l’attacco, chiediti ora perché a volte sento il bisogno di essere velenosa.

Me ne vado. Quando ho paura, me ne vado. È strano sai, mi capita solo con le persone. Sul lavoro per me esistono solo sfide, è quando incrocio sguardi cupi che inizio a tremare.

Non bevo vino scadente. Se ci pensi è un bel problema, però proprio non ce la faccio, piuttosto ceno ad acqua.

I calzini spaiati sono all’ordine del giorno. Neanche il mio cassetto dell’intimo riesce a sostenere una relazione stabile.

Ti amo. Questo poi è proprio il difetto peggiore, quello che sono anni che t’imponi di non vedere, di superare, d’ignorare. Io ti giuro che litigo un decimo di quanto facevo un tempo, ho imparato a fidarmi delle persone anziché partire prevenuta, le mie gambe non hanno più voglia di correre senza contare che ho, addirittura, bevuto un vino che anche per cucinare sarebbe stato imbarazzante.

Non ho mai smesso di amarti.

Sono qui, oggi, davanti alla tua università aspettando che tu esca da lezione e ho questo cartello in mano.

Conosci te stesso.

Mi sono organizzata, ho uno zaino da campeggio con tenda, fornellino e viveri in abbondanza per una settimana.

Io sto qui e non mi muovo. Se piove forse mi prenderò un raffreddore ma non m’importa perché mi si gonfieranno i capelli e tu potrai prendermi in giro dicendo che sembro una pecora pronta per essere tosata. Amo quando mi prendi in giro.

Conosci te stesso e scava a fondo, scava come questo chiodo tra i san pietrini.

Io, oggi e domani, sono qui ad aspettarti.

Manifesto per il tuo amore, questo è il manifesto del mio amore.

Verrà quel giorno.

Verrà quel giorno e ti guarderò negli occhi.

Tu già conoscerai le mie parole così che potrò tacere e cingerti tra le mie braccia finalmente sicure.

Verrà quel giorno e chiuderemo le palpebre guardando il futuro.

Mi stringerai, la mia aria sarà la tua aria così che consumeremo tutto l’ossigeno restando inspiegabilmente vivi, più vivi che mai.

Verrà quel giorno e indosserò un vestito verde, una primavera anche in pieno autunno.

Guarderemo quei paesaggi di cui siamo innamorati, con cui ci siamo innamorati.

Non so dirti quando, forse tra un’ora, forse tra dieci anni. Ma tu non disperare e io non dispererò.

Tu non smettere di crederci ed io ti seguirò.

L’avresti mai detto? Ora, ti dico, sì.

Prenditi il tuo tempo, concedimi il mio tempo. Lasciami riordinare casa prima di accoglierti, ti lascio scegliere i vestiti prima di giungere.

Sai che odio le mele, dunque ti dico che siamo due metà della stessa fragola.
Una fragola selvatica con tutti quei semini e il suo sapore che, se colta prematuramente, ti stordisce per l’acidità.

Ed è per questo che ancora la osserviamo, perchè abbiamo imparato ad aspettare la dolcezza della maturità.

Ed è per questo che morderla sarà tremendamente rosso, tremendamente bello.

Un frutto spontaneo non soggetto a regole.

E noi le regole le abbiamo infrante una ad una.

Verrà quel giorno ed è già un po’ più vicino.

Ancora.

Caro Amore,

spero che la tua giornata a lavoro sia andata bene. Spero che tu non ti sia stressato troppo, spero che tu non abbia inveito contro gli automobilisti che non scattano un millesimo di secondo dopo il verde come fai sempre.

Mentre leggi questa lettera sentirai un profumo dalla cucina, sono le lasagne che ti ho lasciato in forno. Le ho fatte con le mie mani, le ho cucinate per te.

Sarai entrato in casa chiamandomi e, non sentendo risposta, avrai pensato che sono ancora alla mia stupida lezione di yoga.

Non avrai notato che ho tolto il quadro della ballerina dal soggiorno. Bene, ora che hai guardato il muro avrai visto il tuo poster preferito con cui ho colmato il vuoto di quella parete.

Oggi non sono andata a lavoro, ho preso qualche giorno di ferie. Mi dispiace per le sbavature d’inchiostro su questa lettera, è che sono un po’ emozionata.

Ho deciso che non ti sposo. Né ora né mai.

Ho già portato via tutte le mie cose, non preoccuparti. Non che tu l’abbia mai fatto, s’intende, ma lo dico nel caso decidessi di iniziare a farlo oggi. So badare a me stessa, e lo sai bene.

Ora ho un dubbio atroce nella testa: cosa starai pensando della mia frase “ho deciso che non ti sposo”?  ho due ipotesi a riguardo: nella prima tu stai ridendo della grossa pensando che sia una delle mie solite crisi, di quando mi sento confusa, agitata e depressa ma dopo quarantotto ore torno normale. Nella seconda stai inveendo contro di me dandomi della stronza e scervellandoti sul perché io abbia deciso di scriverti anziché guardarti negli occhi e dirtelo. In entrambi i casi, spero che tu non abbia ancora stracciato questi pochi fogli e che stia continuando leggere.

Ho chiesto il trasferimento a lavoro, torno a casa mia. Sono tre mesi che aspetto questo momento e finalmente è arrivato. Avevo anche provato ad accennartelo ma, come al solito, i tuoi capelli fuori posto erano più importanti dei miei inutili “problemucoli da femminuccia”.

Non voglio che tu ora pensi  io sia arrabbiata con te, che ti reputi una persona malvagia o quant’altro. Ho semplicemente deciso di cambiare vita.

La verità è che quando ci siamo conosciuti all’università tu eri devastato dai tuoi problemi esistenziali e credevi fossi la tua ancora di salvataggio. E lo sono stata. Credevo di essere felice, l’ho sempre pensato. Ti avevo preso per mano e insieme avevamo sorriso, e insieme abbiamo amato. Quello che non sapevo è che le ancore sono fatte per essere gettate a fondo, e tu mi hai gettata con una violenza inaudita. Un po’ come una spugna dopo aver lavato i piatti sporchi. E tu eri il piatto sporco, ed io la tua spugna. Ho assorbito il tuo nero dandoti indietro bianco senza mai chiederti nulla in cambio. Ho accolto il tuo amore sempre più sbriciolato pensando che fossi io il problema, pensando che fossi io a non essere abbastanza.

La verità, Amore, è che non è mai stato amore vero. Pensavamo di essere due formine complementari come in quei giochi per bambini, solo che io sono cerchio e tu un cubo pieno di spigoli. Sei entrato nella mia vita come un caterpillar nato per distruggere ed io ora esco dalla tua in punta di piedi, anzi di penna. Non siamo fatti per stare insieme ma ciò non ti rende peggiore, ma ciò non mi rende migliore. È semplicemente la verità, Amore. Io ho bisogno di sorrisi, di un tè caldo la sera e una carezza prima di dormire. Ho bisogno del mare sulle ciglia d’estate, di sudare scalando le montagne. Ho bisogno di sapere che se voglio partire, la persona al mio fianco è disposta a seguirmi. E vedi bene che adesso ho il coraggio di essere egoista, di non pensare innanzitutto ai tuoi problemi. Perché non mi riguardano. Perché ho la nausea delle tue inutili lamentele su come il lavoro ti distrugga, su come la tua vita non abbia senso.

Reagisci per Dio, alzati. A volte ho come l’impressione che tu ami crogiolarti nelle tue piccole disgrazie, nei tuoi drammi da soap opera. Ma io cerco il Sole, e tu sei nube che mi porta pioggia. Aveva ragione il nostro amato Battiato, arrivederci amore ciao le nubi sono già più in là. Ti prego non cercarmi, nemmeno io sono ancora riuscita a trovarmi. Sii semplicemente forte una volta nella vita, te ne prego. Abbi, da domani e per sempre, il coraggio di essere sfacciatamente felice come io, a tuo dire, so essere.

C’è un marron glacé nel frigo,

il nettare degli dei.

Tua,

Lady M.

Vorrei sapere chi ti ha ucciso

Vorrei sapere chi ti ha ucciso. Vorrei  conoscere chi ti ha tagliato in mille pezzettini e stringergli la mano. Lo inviterei a prendere un caffè, gli chiederei che arma ha usato, se un coltello da cucina o uno da barca. Il pugnale sarebbe troppo scontato, farebbe troppo professionista ma nessun professionista ti farebbe fuori. Sì perché tu hai sempre pensato di essere importante e invece, invece forse no.

Vorrei sapere chi ti ha ucciso e organizzare una festa, come quelle che fanno gli zingari quando muore qualcuno. Brinderei con un martini come piaceva tanto a te. Brinderei alla tua nuova vita chissà dove, chissà con chi.

Perché io sono convinta che esista la vita dopo la morte e tu ne sei la dimostrazione. Forse esiste pure la resurrezione. Così, penso, se t’incontrassi per strada ti chiederei di risorgere.

Alla fine qualcosa l’ho capito. Si può accoltellare l’anima senza ferirne la carne. Ed è strano ma me l’hai insegnato tu, l’ho visto su di te.

Vorrei conoscere chi ti ha tagliato in mille pezzettini e chiedergli come ha fatto a non lasciare segni, se ci sono tecniche particolari o basta seguire l’istinto. Gli chiederei se hai lottato o se sei rimasto imbambolato col tuo sorrisetto idiota.

Come ci si comporta davanti a un assassino? Uno che magari ti chiede di seguirlo, uno che premedita. Ci vuole un bel coraggio per resistere, ci vuole un bel coraggio per non lasciarsi andare a quello che crediamo sia il nostro destino, a farci uccidere. Ma non è che puoi pensare di essere lucido in quegli istanti, non è che se uno ti mette spalle al muro non hai scelta.

Ricordi il giorno del tuo assassinio? Mi chiedesti di non seguirti, che da solo andavi più veloce. Solo che non avevi calcolato lo schianto. Non avevi calcolato che la difesa non è mai stata il tuo forte, eri un animale da attacco, eri tu quello che faceva gli agguati, mai il contrario. E così ti sei lasciato uccidere come un povero stronzo qualunque.

È vero, non si dovrebbe parlar male di chi non c’è più ma concedimelo lo stesso. È dura riprendersi da un lutto quando realizzi che semplicemente, puff, non rivedrai più quella persona. È dura perché io sono della scuola “nulla si crea e nulla si distrugge”, ma la morte in un certo senso fa eccezione.

Sei stato un bello stronzo a lasciarmi qui col peso della tua scomparsa, senza preavviso come al solito. Un messaggio sarebbe stato apprezzato “ciao, vado a morire, è stato tutto molto bello”.  Perfetto, almeno uno lo sa e si prepara, almeno uno non lo viene a sapere da uno sconosciuto.

Ho creduto di vederti per strada certe volte, iniziavo a correre sorridendo ma poi mi ricordavo che non c’eri più e chinavo il capo. E dire che avresti potuto lottare, magari avresti pure vinto. Invece la paura ti ha paralizzato il cervello. Ti è mancato il fegato, forse l’avevi annegato in troppi martini. Così adesso io vorrei sapere chi ti ha ucciso e dirgli che è proprio un bello stronzo. Siete stati due egoisti. Non avete pensato a chi sarebbe rimasto qui ad affrontare la dura realtà, ma no certo in fondo dura poco un assassinio.  Meglio risparmiare le energie della lotta per un paio di drink. Bè io quei drink se t’incontrassi per strada te li tirerei in piena faccia, stronzo.

Non avere fretta.

Ci sono frasi che ti si attaccano dentro non sai nemmeno bene come. Vien da chiedersi se sia una questione di nodi, come se tutte le frasi che ascoltiamo cercassero di legarsi alle nostre sinapsi, ma solo alcune sapessero fare nodi da marinai, di quelli che si sciolgono solo quando lo decidi tu. Allora la nostra mente è davvero un porto di mare, noi vi facciamo entrare tutto e la selezione vien da sé. Ci sono frasi che ti si attaccano dentro e invecchiano con te.  Sono quelle che la notte a volte tornano, e t’addormenti col sorriso.

Sì, parlo proprio di quella frase che mi dicesti tu. No, sono sicura che non mi stai leggendo a meno che io non scriva da Dio, a meno che anche in paradiso prenda il wi-fi. Nel caso, la password è sempre la stessa.

Non avere fretta. Ci ho provato spesso ad ascoltarla. Non avere fretta. Avevi ragione, dannatamente ragione. Mi arrabbio sempre meno, conto fino a dieci prima di agire. Fino a cinque. Va bene, a volte solo fino a tre ma apprezziamo lo sforzo. E poi non scendiamo nel dettaglio, sai che ho sempre odiato i puntini sulle “i”, se ne stanno in alto a vigilare su quello stelo e si credono chissà chi. Vorrei incontrare un puntino e dirgli che io la “i” riesco a leggerla benissimo anche senza di lui, che scenda pure da quel piedistallo.

Non avere fretta. Giuro che mi sono impegnata, ma continuo ad impostare le lancette cinque minuti in avanti per non arrivare in ritardo. E sono talmente tonta che me ne dimentico e penso che il mondo viva cinque minuti indietro.

Nessuno mi ha mai fatto gli auguri di buon compleanno a mezzanotte, sempre almeno a mezzanotte e cinque. E in quei cinque minuti ci concentro la solitudine nel realizzare che il mondo ancora non si è accorto che sono un anno più vecchia, che ho almeno due nuove rughe d’espressione, che ho stappato lo spumante da un pezzo. Poi tutto passa, e io sorrido con un anno e cinque minuti di vita in più.

Non sei fatta per il quotidiano.

Avrei anche da ridire, sono una persona molto costante: faccio tre pasti al giorno tutti i giorni, il caffè al bar la mattina è la mia unica religione, dormo tendenzialmente tutte le notti.  È impossibile dire che non si è fatti per il quotidiano, un po’ come andare da un pesce e dirgli “bè non è che nuotare sia il tuo forte”. Non esiste, lo è per natura.

Dovrei smetterla di attaccarmi al significato letterale delle parole, dovrei guardare più lontano. Sarebbe così banale sottolineare che sono miope che ho deciso di non farlo. Che mossa astuta, no? Però in fondo è vero, in un certo senso non sono fatta per il quotidiano. Ho anche discrete difficoltà a scrivere la parola “stabilità”.

Vedi bene che nemmeno nel camminare l’equilibrio è il mio forte, possono testimoniarlo i miei sei tutori, la vecchia che mi ha soccorsa svariate volte sotto casa, la farmacista che si è comprata la casa al mare a forza di vendermi creme all’arnica.

Forse è vero, non sono capace di stare ferma. Mi muovo, faccio, disfo, viaggio, leggo, scrivo, strappo, inizio, devio, cambio, ricambio, salto, cado.

È un po’ come se l’equilibrio fosse la meta ultima, ed io non riuscissi mai a raggiungerla. Mi pongo obiettivi che so essere impossibili ed inizio a correre come una dannata, senza sosta. Corro, corro, corro fino al bivio. Se la lepre è troppo lontana mi fermo a riprendere fiato e aspetto qualcosa di nuovo, se la vedo ad un passo da me mi volto e inizio la fuga divertita.

Io e l’equilibrio flirtiamo senza mai concludere. Siamo due profumieri non v’è dubbio. Il problema non è il gusto della conquista, il problema è che tu, cara stabilità, non mi piaci abbastanza. Vorrei davvero poterti dire adesso che non è colpa tua, che sono io, che tu sei stupenda ed io mi pentirò di questa scelta. Ma la verità, la mia verità, è un’altra.

È che il giusto mezzo a me non basta, io voglio l’intero. È che anche il fiume prima di diventare pacato e sereno è stato cascata violenta ed energica. È che se tu sei la mia nuova alba, io adesso ho voglia di vedere quant’è buia la notte.

Ti dedico parole come di un innamorato, ti chiedo il tuo tempo. Ci sono frasi che ti restano dentro.

Ed allora io sono ad implorarti di aspettare, a pregarti di non avere fretta.

Non preoccuparti, sai bene che arriverò cinque minuti prima.

Un, due, tre.

Voglio diventare responsabile, questa è la mia più grande aspirazione nella vita. Responsabile non di negozi, imprese, cose a caso. Voglio diventare responsabile della mia stessa vita.
L’ho capito l’altra mattina mentre mi lavavo la faccia. Ho la barba, il pomo d’Adamo, un sopracciglio pronunciato : in poche parole, sono un uomo.
Forse la maturità non si prende alla fine del liceo con una data prestabilita, forse arriva mentre sei sulla tazza del cesso a leggere topolino, come il flash di un autovelox sulla statale. È fulminante. È come se di colpo la tua unica paura fosse quella di rimanere per sempre bambino, di non saper crescere. Un giorno ti svegli e pensi che qualcuno tu lo vuoi crescere.
A me è successo così : una mattina, mentre mi lavavo la faccia, ho capito che volevo un figlio. Sarà stata colpa della nuova acqua di colonia, o che ero semplicemente felice.
A Marta non l’ho ancora detto, devo saper garantire un futuro al mio bambino. Con che coraggio potrei chiederle « facciamo un bimbo ? » sapendo di guadagnare una miseria ?
Ma questo sono io ? Io che ho sempre sognato grandi cose lasciando la vita privata privata dietro le quinte, io che ho sempre sognato di diventare il numero uno adesso spero di vivere in tre. Subito ho pensato fosse colpa del vino della sera precedente, « una bella giornata a lavoro e passa tutto ».
Ho ignorato il pensiero per giorni, settimane, mesi sperando se ne andasse come i pakistani che ti vendono le rose il sabato sera. Vabbè suona razzista ma è il mio pensiero, mica una convention di emergency.
Col passare del tempo, mattina dopo mattina, doccia dopo doccia, ho realizzato mio malgrado che ci stavo pensando più del dovuto. E se l’idea di avere un figlio non fosse stata totalmente campata in aria? In fondo ho quasi trent’anni, amo Marta più del caffè di prima mattina e voglio qualcosa di nostro, qualcosa di mio e suo ma, allo stesso tempo, indipendente. Voglio un motivo in più per cui svegliarmi la mattina, un figlio a cui fare da modello e da cui imparare a vivere. Perchè per me questo è l’amore : dare e avere. Dare la vita e ricevere una pupù nel pannolone, questo è ciò che voglio. Inciampare nei primi passi incerto e correre insieme a mio figlio col passare del tempo, lasciandogli infine il testimone, sedendomi a godere lo spettacolo della nostra esistenza. E sulla panchina insieme a me io ci vedo Marta coi suoi vestiti un po’ retrò e quel modo di fare apparentemente svampito. Ci vedo i suoi capelli e quel sorriso che porta sole anche nei giorni di pioggia. In fondo adesso, mentre aspetto che il momento venga, un motivo in più per sorridere già ce l’ho : pensare che ogni euro che guadagno lo accantono per un figlio, per nostro figlio. Pensare che quando vedo lo stipendio non sono solo affitto e birre ma anche pannolini. Pensare, forse, che un bambino non è il compimento di una vita, ma l’inizio di un’altra.
Ed è sorprendente come tutto questo coincida col mio modello di vita: porsi sempre nuovi obiettivi, nuove sfide, mettere a dura prova i nostri limiti per raggiungere quel traguardo che tutti chiamiamo felicità ma che ognuno mette in posti differenti. Il mio, Marta, è al tuo fianco. Tutti e tre insieme.

Per caso, amore.

Tu ci credi ai miracoli ? Io si. Hai mai pensato al destino ? Io si. Ti sei mai fermato a riflettere mentre andavi di fretta ? A volte, io si.
Tu pensa a che regalo ci ha fatto la sorte oggi. Tra tutte le combinazioni possibili al mondo, tra tutte le teste che popolano il mondo, oggi ci siamo io e te.
Io e te nello stesso emisfero, nello stesso continente, nello stesso paese, nella stessa capitale, nello stesso metrò. Andiamo pure nella stessa direzione, che caso no ?
Ho controllato, passa un treno ogni due minuti. Ho contato, ci sono sei vagoni. Ho verificato, ci sono quattordici linee metro, quattro linee RER e infiniti bus. Eppure, io e te, siamo qui.
La gente pressa così tanto che non avere un ottimo deodorante diventa attentato alla pubblica sicurezza. Il tizio accanto a me ascolta r’n’b di terza scelta e se non abbassa quel dannato volume diventerà sordo prima dei trent’anni. Io e te invece niente cuffie, sappiamo ancora ascoltare il rumore della gente.
Ma ti rendi conto del caso ? Guarda che se ci pensi è incredibile, sono qui solo perchè ho perso di un soffio il treno prima e dio, che fortuna averlo perso. Ora tu mi guardi e mi sembra che non ci sia nessun altro nel vagone. Tu mi guardi e io penso che è stata una pessima scelta non mettere un velo di trucco. Avrai notato le mie occhiaie, sembro un panda. È che sono stanca, normalmente non le ho. Ho dormito male, capita sovente. Mi perdo nei pensieri e non ne esco più. O forse, semplicemente, bevo troppi caffè. Sarà che sono nervosa. Un bella cazzata essere nervosi e bere caffè sperando di rilassarsi. Un po’ come lamentare una tendinite e andare a correre la maratona di new york. Un po’ come aspettare un tuo sguardo e abbassare gli occhi quando lo vedo.
Sullo stesso vagone, cioè è pazzesco, assolutamente pazzesco. Averti qui davanti a me è l’equivalente di un assetato che trova un’oasi nel deserto. Senti allora che dici, lo sfruttiamo questo miracolo della statistica, questo capolavoro del Caso ? Io scendo alla prossima, vieni ? Facciamo un gioco : io scendo e non mi volto prima dell’uscita, so già che ti troverò lì. Vero ? Conta fino a tre e buttati nel vuoto, buttati sul marciapiede mentre le porte suonano e la giacca per un soffio non rimane impigliata. Battimi sulla spalla e sorridimi, non è difficile. Ti accetto anche senza cavallo non preoccuparti. Mostrami il tuo regno, a cosa pensi quando piangi ?
Tre, due, uno.
Le porte si chiudono, sono fuori. Non resisto a non voltarmi fino all’uscita. Mi giro subito, in fretta, con la sicurezza di chi sa cos’ha alle spalle anche se paradossalmente sei il mio futuro e non il mio passato.
Non ci sei, il treno è ripartito. Non ti vedo, ti cerco tra la folla che va controcorrente al nostro destino.
È un attimo, è un flash. Era tutto nella mia testa.
È che a volte, sovente, molto spesso, la maggior parte del tempo, quasi sempre, non do voce ai miei pensieri. Me li chiudo nella testa a doppia mandata e il massimo che riesco a fare è metterli nero su bianco. Perchè li vedo e li controllo. Lasciarli andare con un po’ di vibrazioni e qualche molecola d’ossigeno non fa per me. Lasciarli andare come ho lasciato andare te, non fa per me.

Un giorno in meno al mai.

Chiudi gli occhi e assapora le mie mani, chiudi gli occhi e senti il mio respiro.
Io ti parlo, tu in silenzio annuisci. Ti racconto di luoghi lontani, di cose che ho vissuto in un passato che non esiste più eppure è sempre lì.
Chiudi gli occhi e fingi che sia vero. Un paradosso lo so, fingere che sia reale ciò che di reale non ha nemmeno il sangue. Ma con l’immaginazione sei già altrove, sei già oltre. Oltre la siepe, il tempo, oltre il fuso orario che ci separa come una gelida lama d’acciaio.
Chiudi gli occhi ed è vero, il profumo dei tuoi capelli, il calore della tua voce. Niente è più potente di una mente che vola.
Prendimi per mano e raccontami di te, fallo con gli occhi le parole son superflue.
Lo vedo in fondo all’iride quell’amaro che attenta alla tua purezza. Ma sei diamante e nulla ti scalfisce. Ma sei diamante e da te non nasce nulla.
Shhh non dire niente, perché mediare l’immediatezza dei tuoi occhi? Sarebbe come dire il grano color oro, vedi bene che è ridondante oltre a suonar male.
È passata un’ora da quando siamo qui, io nella mia casa e tu chissà dove. Un vento dell’ovest che mi soffia dritto in faccia, è vita che si muove e mi commuove. È come mano tra i capelli con un po’ di polvere negli occhi. È come che vorrei non ritornarci al vero perché il vero ce l’ho in testa.
La sveglia suona e il caffè passa più inesorabile del tempo. Il caffè passa e tu con lui, più inesorabile dei miei pensieri. Passerà anche oggi ed è un giorno in meno a quando ti rivedrò. Un giorno in meno al mai. Se solo quel giorno ti avessi detto ciao. Se adesso non sapessi che coi se e coi ma si scrivono solo belle storie, non potrei dirti che niente è più reale dell’immaginazione.